24.4.07

Bambini impossibili


L’uomo qui a fianco è Percival Everett, autore americano finora trascurato dall'editoria italiana ma considerato (cito dal retro di copertina) : «uno degli scrittori più avventurosamente sperimentali della letteratura americana contemporanea».
Fin qui … i geni fin troppo compresi e pronti per l'esportazione in Europa sono una costante e spesso non meritano tutta l'attenzione che si dedica loro. Parlo, per esempio, di Dennis Cooper, un vero bidone spacciato per maledettamente significativo.
Ma qui il caso è diverso. Everett è uno bravo davvero. Non proprio uno scrittore facile, questo no. È uno che mette in ansia il lettore utilizzando gli strumenti narrativi più raffinati, che si nasconde dietro maschere e maschere di maschere. Capace di cambiare stile, velocità, approccio, modi e clima del raccontare senza una goccia di sudore. Un grande, insomma.
Di suo ho letto Cancellazione ma non ne parlo perché ne ho già scritto per LN, per Instar e nonsopiùdovealtro e credo di aver già abbastanza sproloquiato in proposito. E poi in questo spazio parlo soltanto e rigorosamente di libri che non ho letto.
Quindi vengo al punto.
È appena usciro Glifo, ed. Nutrimenti.
Protagonista Ralph, neonato con Q.I. 475.
Tema: il mondo secondo Ralph.
Libro che si presenta complicato e irto di schemi, note, cambi di font, incisi ecc. E che promette di essere carico di quella perfidia dell'assurdo che è un ottimo motivo per leggere un libro di questi tempi.
E comunque mi piace la gente che gioca con le forme della scrittura.

Non si devono iniziare le frasi con una «E» congiunzione.
Ma se lo fa Baricco tutti dicono «Che genio!».
Va bene.
Io non sono un genio e soprattutto non ci tengo che qualcuno lo pensi.
Ma mi capita ugualmente di iniziare le frasi con una bella «E».

Il Ralph di Everett mi ricorda altri due grandi neonati-prodigio della letteratura americana. Uno era in un meraviglioso di libro di Theodor Sturgeon, Più che umano. Il secondo in un buon libro uscito da poco, Futureland di Walter Mosley. Cominciano a essere folla, questi neonati prodigio.
O forse si tratta dell'indizio di qualcosa.
Io ho qualche ipotesi in testa, in proposito. Forse è un modo obliquo di parlare delle pretese che un sacco di gente ha verso i neonati. O un modo per reinventare per l'ennesima volta il Candide della situazione, ovvero l'unico che si accorge che viviamo in modo assurdo in un mondo assurdo.
Ma sarebbe bello sentire qualcun altro a cui capitasse di passare di qui.
Non capiterà, ma se capitasse son pronto a rispondere. O soprattutto ad ascoltare.
Non si cominciano le frasi nemmeno con una «O», credo.

21.4.07

Folle e pedofilo


Libri strani ne escono. Anche se non poi così tanti come si potrebbe credere.
Strani nel senso di bizzarri, non nel senso di assurdi.
Di libri assurdi, viceversa...
Per non parlare dei libri inutili.

Questa volta a farmi esitare prima di mettere il libro a scaffale è stata la copertina.
Da un lato un uomo anziano e baffuto con i pantaloni rimboccati al ginocchio e un paio di calzettoni arrotolati alla caviglia. Pantaloni con bretelle portati ben sopra la vita. Basco sulla testa.
Dall'altra una serie di immagini a cornice del titolo: "Arte e follia in Adolf Wölfli", di Walter Morgenthaler.
Ovviamente l'uomo ritratto in ultima di copertina è proprio Adolf Wölfli, svizzero, condannato per pedofilia e successivamente internato nel 1895 nel manicomio di Waldau dove è morto nel 1930.
Walter Morgenthaler, invece, è uno psichiatra svizzero diventato famoso per lo studio del caso di Wölfli.
Il libro, infine, è edito da Alet, editore capace di tutto. In senso buono.
Pubblicato per la prima volta nel 1921 e meritoriamente tradotto e ristampato nel 2007.

Wölfli è considerato un esponente della "Art brut", ovvero dell'arte che non rispetta le norme codificate. Neppure la separazione tra testo e immagine. E, infatti, dando un'occhiata alle riproduzioni poste in mezzo al volume si trovano collage, spartiti circondati e assediati dalle immagini, appunti interrotti da fregi, decorazioni, miniature, riproduzioni di ispirazione sacra stese con un senso del colore che ha del meraviglioso. Che Wölfli fosse un artista non c'è dubbio. Le sue opere hanno qualcosa di eccessivo - troppe cose in troppo spazio - o forse semplicemente danno la sensazione che cogliere l'intera immagine sia impossibile e si debba inseguirla millimetro per millimetro. Il risultato, comunque, è vertiginoso.

Ma Wölfli non era un povero pazzo da canzone di Sanremo.
Prima di finire in manicomio si è fatto due anni di prigione perchè condannato per pedofilia. In manicomio litigava con tutti, infermieri e pazienti, perché non riconoscevano la sua arte. Non era un uomo simpatico, evidentemente. Non era innocuo e non suscitava pietà.
Eppure dalla sua mente autistica, tormentata e rabbiosa, sono nate immagini meravigliose.
Ecco, forse ognuno di noi ha le potenzialità per fare qualcosa di grande. Il problema è che può trascorrere una vita senza che la potenzialità diventi possibilità. Ma quell'unica, esile promessa è probabilmente il motivo per il quale uccidere qualcuno - anche un assassino - è davvero un peccato imperdonabile.

19.4.07

Leggere il mondo

Oggi, un libro davvero curioso.
Cuirioso e interessante anche perché sollecita la mia passione per la storia della scienza. Ma non la storia della scienza in forma di gossip sulle vite private quanto come risposta alla domanda: "Perché i nostri antenati davano risposte così sceme sulle domande fondamentali delle scienza naturali?"
Capita spesso di pensare che i nostri antenati fossero semplicemente un po' più imbecilli di noi, soprattutto quando pensavano che la Terra fosse piatta (anche se andando verso l'Equatore le ombre si accorciavano). O quando pensavano che il basilisco nascesse dall'uovo del gallo eccetera.
Ecco, questo libro di Franco Farinelli (titolo: l'invenzione della Terra, Sellerio) cerca di dimostrare che il concetto di "Terra"non è affatto un concetto condiviso e normale. Per gli antichi la Terra coincideva con il Cosmo, ovvero con quanto esisteva. Non solo, la Terra era per la maggior parte inesplorata (dai soliti europei) e come si può raffigurare a se stessi ciò che è inesplorato?
Insomma, i nostri antenati non erano affatto più scemi di noi. Semplicemente si basavano su un minor complesso di conoscenze. Elaborate, oltretutto, secondo regole diverse.
Il risultato è un complesso di "Terre" perdute tutte ugualmente assurde e altrettanto affascinanti.
Le carte dei mercanti erano più verosimili, ma erano strumenti di lavoro. Le cosmologie di sapienti ed eruditi erano, viceversa, tentativi di rappresentazioni del Reale e, come tali, includevano anche la fantasia, l'immaginazione, i desideri, i gusti e le opinioni.
Non diversamente dagli scienziati contemporanei, le cui ipotesi di partenza sono, in filigrana, pareri sul mondo.
Ancora una piccola osservazione, non troppo fuori tema, credo.
A scrivere carte immaginarie sono rimasti quasi solo gli autori di Fantasy. Se aprite un libro di fantasy, in genere intorno a pagina 2, c'è una carta immaginaria di un paese immaginario.
Impossibile (o molto raro) che tali "carte" non risultino tristissime trasposizioni da cartografi ignoranti di una geografia "oggettiva" fin troppo moderna.
Un po' di nomi pescati a caso qua e là, qualche audacissimo nome generico (punta Uncino per un promontorio a forma di uncino) e così via.
Niente "Hic sunt leones" e nessun mostro che arrota i denti in un angolo della carta.
Carte che non dicono nulla o quasi della società che pretendono di raccontare.
Stendere una carta prima di scrivere un fantasy è utile. Perbacco. Personalmente ho ancora in qualche cassetto una carta per un romanzo fantasy del quale ho scritto più o meno 600 pagine prima di impiantarmi miseramente.
Ma una carta è importante a patto di popolarla gradualmente.
A patto di farne un ritratto possibile di un mondo possibile. Non una Michelin senza autostrade e con i nomi dei boschi scritti in fintoelfico o quasirunico.
Probabilmente un vero "fantasy" sarebbe talmente straniante per il lettore da fargli passare la voglia di leggerlo, tanto più in tempi di Tolkienate senza freno.
Eppure credo sarebbe l'unico motivo per il quale merita scrivere un romanzo fantasy.
O almeno credo.

18.4.07

Colpo di timone

Di mestiere faccio il libraio.

Un lavoro strano e sempre più raro.
Pregio principale di questo lavoro è di vedere molti libri, moltissimi (troppi?) libri. Da qui a leggerli però... Assaggiarli, questo sì. Sbirciarli, considerarli, valutarli, dedicare a ognuno una manciata di secondi. Non di più.
Si diventa parecchio skizzo così. Anzi parecchio dissociati.
È incredibile il numero di libri che suscitano curiosità. Uno se ne accorge soprattutto quando li manda indietro, pensando "questo non lo vedrò più, peccato".
Eppure i libri sono fatti apposta per essere letti. Lo diceva (mi pare) Plinio il vecchio. "Non c'è un libro tanto brutto che non contenga in sè almeno un briciolo di conoscenza". Se poi non è stato Plinio il vecchio pazienza. È comunque molto vero.
Così ho pensato di usare questo blog abbandonato per parlare di libri. Ma non di libri dei quali tutti parlano. E nemmeno per segnalare capolavori misconosciuti. Bisogna averli almeno letti.
No, qui parlerò dei libri più assurdi, demenziali, curiosi e sorprendenti che mi passano per le mani.
Senza averli letti, beninteso.
Parlerò di come sono fatti da un punto di vista puramente morfologico, di quale tema affrontano, di come si propongono ai potenziali lettori e se qualcuno se li fila. se li è filati o se li filerà mai.
Recensirò senza leggere, insomma. Cosa che fanno in molti ma senza il coraggio di dirlo.

Per oggi un libro abbastanza assurdo ma non è detto.
"Romanzo".
107 pagine.
Per me "romanzo", checché ne dica Vittorio Catani (uno dei padri della fantascienza italiana, per chi non lo sapesse) comincia a potersi chiamare tale dalle duecento pagine in sù.
Ma si tratta di un aspetto minimo.
Qualcuno ha visto "Cantando dietro i paraventi" di Ermanno Olmi?
Raccontava la storia di una piratessa cinese del 1700. C'era anche un incredibile Bud Spencer nei panni di un avventuriero portoghese. Un film bello, lento e intenso.
Davide Vanotti, autore di questo quasi-romanzo (non è un giudizio, soltanto una constatazione) racconta, direi, la stessa storia.
Con una copertina piuttosto penosa e un look da libretto da istruzioni per motofalciatrici.
Edizioni "Lampi di stampa".
Che poi sarebbe come dire editoria di vanità, ovvero almeno in parte a carico dell'autore.
Anche se questo di per sè non significa nulla sulla qualità del libro. Per essere pubblicati anche solo da un medio editore bisogna far parte dei "giri" giusti o essere famosi per altri motivi. O, ancora, essere dei fenomenali rompicoglioni come Antonio Moresco, uno dei pochi grandi scrittori italiani contemporanei ma irrimediabilmente spanato.
Leggiucchiata una pagina direi che perlomeno Vanotti non eccede in avverbi e preziosismi.
L'ambiente è quello della Cina del Settecento.
Dubito che qualcuno se lo filerà e personalmente preferirei sentire parlare di Cina da uno scrittore cinese.
A proposito. Da leggere assolutamente "Andante al chiaro di luna" di Chi Zijian, una raccolta di racconti uno più bello dell'altro. Edizioni Pisani.
Ma non è detto. Magari il signor Vanotti merita.
Se non altro fa nascere una certa curiosità.