31.8.07

Rassegna stampa


Questo, a sinistra, è un pavone.
Chi sta scrivendo, invece, non lo è ma rischia di apparirlo.
D'altro canto mi hanno detto in tanti: «non nasconderti, sii sfacciato, sii protervo, esibisciti, spettacolarizzati». Tra questi anche l'editore (vedi un paio di post precedenti) ovviamente preoccupato per la tiratura e la fattura del tipografo, già scaduta, peraltro.
Oggi è passato in libreria il mio amico Alessandro Defilippi. Coraggiosamente si è detto pronto a leggere altre cose mie e, nel caso, a scriverne una presentazione.
Lusinghiero, no? Sì, molto lusinghiero.
Ma veniamo al senso di questo post.
Non sono un pavone, dicevo, forse illudendomi.
Ma mi è venuto in mente che con 2 o 3 passaggi alla settimana su questo blog il rischio di raccogliere fischi e pernacchie è comunque limitato. D'altro canto mi fa piacere riportare qui i pareri su «In controtempo» di altri autori e recensori, anche per dimostrare che mi sono accorto dei loro messaggi e gliene sono immensamente grato.

Cominciamo da Malpertuis, ovvero Elvezio Sciallis, con una parte della sua recensione apparsa sul suo blog: http://mal-pertuis.blogspot.com/

Fantasmi di fantasmi.Dovessi riassumere in una sola frase l’opera di Citi non avrei esitazioni.
Figure femminili tratteggiate con molta più cura e attenzione rispetto a quelle maschili, oggetti quotidiani che perturbano senza i soliti chiassi tipici di larga parte dei romanzi horror, il lento logorio della quotidianità che agisce come personalissima chiave per Kadath e declinazioni d’incubo varie.
Chiave che, al contrario di quanto accade in altri scrittori, una volta inserita innesta un meccanismo che non permette di tornare indietro a un passato o stato di veglia salvifici: i personaggi di Citi si destano lentamente e si trovano spiaggiati in isole in lenta decomposizione, senza avere una zattera pronta per fuggire né, tanto meno, la voglia o la forza di costruirsene una.
Citi ha alcuni punti di forza rari negli scrittori di genere fantastico in Italia, segnatamente la cura delle psicologie e, ancora più inconsueta, una grande attenzione nella costruzione dei dialoghi che suonano credibili e raramente artefatti, una boccata d’ossigeno in un campo dominato da pagine e pagine di descrizioni barocche e monolitiche.
Ne riporto soltanto una parte, visto che la recensione è piuttosto lunga. Specifico anche Elvezio non ha trovato soltanto pregi, ma anche qualche difetto. Per sapere quali sono basta andare sul suo blog.

Veniamo a Gordiano Lupi, con una recensione apparsa sui siti:
www.tellusfolio.it, www.kulturalvirtualpress.com e www.ilpungolo.com della quale riporto un frammento:

...Massimo Citi prova a unire i due aspetti della narrativa fantastica e senza indugiare sugli aspetti spettacolari delle vicende, senza farsi prendere la mano da atmosfere splatter o gore, realizza racconti che seminano inquietudine e angoscia ispirandosi alle costruzioni del vecchio racconto gotico. Le storie di Citi sono fatte di suggestioni, l’orrore e il mistero vengono soltanto suggeriti […] 
 
Ho ricevuto anche lettere private di alcuni amici ai quali ho fatto leggere l'antologia.
Anche qui riporto soltanto qualche frase:

Da Patrizia Zappa Mulas (su «Linea di confine», uno dei racconti dell'antologia):

L'ho appena letto, ha tutto quello che fa di un racconto un ottimo lavoro. Ci si entra senza avere più la possibilità di uscirne (come quell'appartamento, che è una magnifica metafora). Si è costretti ad arrivare fino in fondo. Questa è buona letteratura.

Da Vittorio Catani (sul racconto «Vetro di seta»)

Ho apprezzato moltissimo il rimando a un passato che, in fondo, e' in ciascuno di noi: quello... alternativo, o sognato, o forse davvero vissuto. Un passato con i suoi incubi, trasalimenti, ma anche con le sue estasi, perché il tempo trascorso, in se', credo racchiuda fra altre cose anche una visione del paradiso. Confesso che questo richiamo talora ossessivo, sempre misterioso, a un tempo "altro" forse felice (forse no), nelle ultimissime due o tre pagine mi ha un po' commosso per la sua intensità. Un passato del genere può' stroncare ma può anche purificare una vita; e infatti "purissimo" come nessun altro amore, angelico, mi e' parso quello - seppure lesbico - fra la protagonista e Olga. Ho terminato di leggere queste pagine con la sensazione di essere stato messo a parte di segreti che spiegano, che riempiono l'anima, ma anche inquietano. Siamo nel vero cuore del fantastico.

Da Consolata Lanza:

Il tema sotteso in quasi tutti i racconti è la fuga dalla (della) vita, che cola via da una crepa della realtà. I tuoi personaggi scelgono sempre la solitudine in compagnia di una percezione diversa, più sottile, di qualcosa che non so come definire - non è la vita come la si intende banalmente, non è morte -, sembrerebbe un occhio, un orecchio, interiore, quello che le persone "normali" chiamano pazzia? ossessione? Insomma qualcosa di estremamente affascinante, un livello più alto del quotidiano. Mica semplice il tuo immaginario, eppure tenta come ogni esplorazione di mondi sconosciuti. Penso che puoi essere assai fiero e soddisfatto del tuo libro. Ha una originalità senza cedimenti, scrittura personale, suscita inquietudini, fa venire voglia di rileggerlo.
 
Mi fermo qui.
Per quanto riguarda questi ultimi tre pareri sottolineo che si tratta di scrittori, certo, ma anche di amici, persone che mi sono care e con le quali condivido non soltanto molti gusti e interessi ma anche qualche progetto comune. Posso immaginare che da parte loro ci sia stato, nella lettura, un surplus di attenzione ma so, conoscendoli, che hanno troppo a cuore la nostra passione comune - la scrittura - per prostituirla dandomi un parere addomesticato.

I pareri ricevuti mi hanno convinto che pubblicare «In controtempo» non è stata una follia o un delirio egolatrico. Alla mia età, d'altra parte, non si cercano altre possibili sbocchi professionali né è così facile abbandonarsi al narcisismo.
Si scrive per essere letti, d'altra parte. Per comunicare qualcosa di più di quanto si riesce a fare a voce, con una lettera o anche con questo o altri blog.
Inventare e descrivere altri mondi e altre vite è l'unica caratteristica che condividiamo con una possibile divinità. Perché lasciarsi sfuggire l'occasione?

22.8.07

Rivoluzioni mancate e illusioni da verificare

Kronstadt, 1921.
«L'Armata Rossa attacca Kronstadt» è la didascalia di questa fotografia, ripescata nel sito di Wikipedia.
Qualcosa di strano?
Non troppo, in apparenza.
Non troppo se a difendere Kronstadt fossero stati i «bianchi», ovvero i partigiani dello Czar.
Ma Kronstadt - base navale della flotta russa del Baltico - è stato il luogo della più importante rivolta antisovietica condotta da 270.000 marinai e soldati del tutto convinti di essere altrettanto sovietici quanto i soldati inviati a eliminarli.
Di Kronstadt sentii parlare per la prima volta ai tempi della mia ormai remota militanza politica.
All'epoca non diedi troppo peso a Kronstadt e ai suoi marinai così evidentemente antiparalleli a quelli della celeberrima corazzata Potëmkin. Vennero poi altre notizia, seppure ammantate di leggenda. Da comunista libertario mi parve la testimonianza di un comunismo "originario", bello e, naturalmente, sfortunato. Un po' la stessa sensazione che mi diedero gli spartachisti di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (pron: «libknekt»), altrettanto belli, libertari e destinati a fare una brutta fine.
Quando la mia passione per la nobiltà della sconfitta si univa alla fede politica ne nascevano di questi miraggi, basati sulla speranza giovanile di poter riconoscere in altri la mia convinzione - innocente, non ingenua - che si potesse davvero cambiare il mondo.
I marinai di Kronstadt pagarono carissima la loro rivoluzione nella rivoluzione. E non parliamo degli spartachisti. Né gli uni né gli altri furono soggettivamente innocenti. Ma la loro leggenda dà un colore diverso al secolo appena trascorso. Lascia aperte porte, permette di immaginare che le cose avrebbero anche, forse, potuto prendere strade diverse.
O forse - o più probabilmente - gli uni e gli altri sono stati pericolosi fanatici, tipo Guardie Rosse maoiste. Un libro ormai esaurito di Pierre Broué (Rivoluzione in Germania) dava degli spartachisti un ritratto pieno di chiaroscuri. La biografia di Werner Heisemberg li presenta come sanguinari fanatici. Vista la fonte , ho qualche dubbio. Infine, per i marinai di Kronstadt posso suggerire (anche a me stesso) di leggere un libro uscito quest'anno per la UTET. Il libro (Jean-Jacques Marie -Kronstadt 1921)

è basato su documenti recentemente riesumati dagli archivi sovietici e promette di essere parecchio interessante.
Se ne scriverò la recensione la potrete trovare nelle pagine di LN-LibriNuovi.
Se non la scriverò... beh, se siete interessati sappiate che il libro costa 23 euro. Che non è poco, d'accordo. Ma, se siete davvero interessati, non è nemmeno troppo.

2.8.07

Zeppelin

Questo qui a fianco è un Zeppelin, ovvero un LZ (Luftschiff Zeppelin). La foto è una di quelle di repertorio dello Zeppelin Museum di Friedrichshafen. Sono appena ritornato da un viaggio di una settimana nel Baden-Württemberg e in Baviera, tra Freiburg e Ulma, con una visita - forse dovrei dire un pellegrinaggio - al museo dei dirigibili sul lago di Costanza, quello dov'è ambientato il Frankenstein di Mary Shelley, detto per inciso.
La ricostruzione dell'ambiente interno dell'Hinderburg, l'ultimo dei grandi dinosauri dell'aria, era curato (impressionante) e affascinante e il museo era pieno di persone di tutte le età e tutte le possibili lingue e nazionalità. Accomunati da una passione per qualcosa che praticamente per tutti noi era una favola finita male, con l'incidente di Lakehurst, i 35 morti e la fine del dirigibile. Una favola finita in piena era hitleriana con il povero LZ divenuto un elemento della propaganda nazista.
Eppure il fascino delle navi dell'aria rimane, evidentemente, intatto.
Perché sono morti i dirigibili?
Perché erano pericolosi? Certo, gonfiati a idrogeno erano pericolosissimi. Ma gonfiati a elio no.
Ma non credo si tratti solo di questo.
I dirigibili, dal punto di vista militare, erano un incubo. Grandi, relativamente lenti, delicatissimi. Nonostante qualche utilizzo nella prima guerra mondiale, erano essenzialmente macchine volanti di pace. Gentili elefanti adatti al trasporto di cose e persone.
I dirigibili, grossi e fragili, vennero soppiantati dagli aerei grazie allo sviluppo della tecnologia aereonautica conseguente alla guerra. Da qui la loro fine.
Il mondo nel quale viviamo, in sostanza, non è il risultato della migliore tecnologia possibile, ma quello nel quale hanno prevalso le tecnologie dei vincitori. E le tecnologie non si affermano soltanto grazie alla loro intrinseca bontà ma in base alla situazione generale. All'ambiente o all'ecosistema, direbbe un biologo evoluzionista.
Sono importanti, i dirigibili, perché ci dicono qualcosa di fondamentale sul nostro mondo e sul modo nel quale procede l'innovazione tecnologica. Niente marcia trionfale del progresso ma tentativi, errori, fallimenti, amnesie e resipiscenze.