30.9.08

ALIA!


Siamo alla quinta raccolta. Una per ogni anno dal 2004 in poi.
Fantastico misto, ovvero un mix di temi, suggerimenti, idee, soluzioni che è sinceramente difficile trovare riunito in così poco spazio. Diciamo che in questo ALIA ci sono:

- Un divertito e perfetto episodio rock-satanico
- Un episodio della nostra possibile, interminabile degradazione
- Un fantasy che in coda si rivela piuttosto fantascientifico
- Un sontuosa e delicata storia cannibale/epicospale
- Una sorprendente metafora dell'enigmatica situazione umana
- Un delirante (e spassoso) incubo ultra-iper-consumista
- Il punto zero del degrado urbano
- La sottile separazione tra uomo vivente e uomo replicato
- La furia chimicamente indotta
- Un dialogo davvero definitivo
- Una storia d'amore eterna e quasi
- Rimanere uomini pur essendo, praticamente, qualcosa di molto diverso

Dodici storie non troppo normali e non così «italiane» come siamo abituati a pensare.
Non mi dilungo anche perché esistono ben due prefazioni - una di Vittorio Catani e una di Silvia Treves - e correrei il rischio di ripetere, peggio, ciò che è già stato scritto.
Non mi resta di consigliarvi di leggerla...

23.9.08

Dalle stelle alle stalle


Importante premettere che ho letto questo libro quando la mia operazione era ancora recente. Come dire che non posso giurare sulla veridicità del mio parere, né essere poi troppo certo che il mio parere sia del tutto centrato.
Ciò detto, comunque, non resta che ammettere che questo «L'ultima flotta dello Zar» di Costantin Pleshakov si è rivelato quanto meno parecchio inferiore alle attese.
Domanda successiva: perché?
Beh, cerchiamo di approfondire un minimo.
Nel 1905 è in corso una guerra tra il Giappone e la Russia zarista. Una guerra lontana e un po' sfocata per l'Occidente ma di importanza sostanziale per il futuro dell'area. I giapponesi vincono, non c'è dubbio, e la Russia - nonostante impegno e denaro speso - sta perdendo Port Arthur (base militare sul Pacifico) e con questo la guerra. A qualcuno a Pietroburgo viene in mente l'idea di costruire e inviare una flotta a Port Arthur per tentare di salvare la baracca. Detto / fatto si crea la Prima Flotta del Pacifico, formata per la maggior parte da unità recente alla quale si affianca presto una Seconda Flotta, formata da ferri da stiro, e dopo qualche mese una Terza flotta, formata da ferri da stiro ancora più vecchi e al limite dell'utilizzabilità.
A comandare la Prima flotta viene posto Rozhestvenskij , ammiraglio relativamente giovane e di buona preparazione. Questi ha il compito di condurre la flotta da Kronstadt (golfo di Finlandia) alla Siberia. Il tutto in dieci mesi. Lì giunto deve combattere i nippo, sconfiggerli e liberare Port Arthur.
Ovviamente il povero Rozhestvenskij nutre più di qualche legittimo dubbio su tutta l'operazione, dubbio che, una volta conosciute le navi (le proprie e quelle delle altre flotte) si fa certezza: non ce la faranno mai.
Ma questo non lo ferma.
Con una mentalità degna di un samurai il nostro ammiraglio guida la flotta russa per un folle periplo attraverso tre oceani, arriva al largo del Giappone, affronta i nippo e viene sconfitto - due terzi della flotta russa viene affondata - oltre che gravemente ferito.
In ospedale in Giappone riceve comunque la visita dell'ammiraglio Togo, venuto a portargli i propri omaggi che saranno gli unici, peraltro, che riceverà.
Inutile dire che Rozhestvenskij è necessariamente il protagonista di tutta la vicenda. Non solo protagonista per il suo ruolo di ammiraglio ma soprattutto per la cupa determinazione con la quale guidò la flotta russa all'inevitabile massacro. Un uomo rigido e rabbioso, fedele allo Zar ma anche, nel contempo, perfettamente conscio dei profondi e imperdonabili difetti del sistema autocratico.
Si tratta di una storia che ho letto molte volte. Una vicenda che unisce la fama lugubre delle migliaia di marinai morti a bordo delle navi russe affondate con il disperato impegno di Rozhestvenskij. Non solo. Siamo nel 1905, l'anno della prima rivoluzione e dell'ultima tocco di campana per la casa Romanov.
Ho letto credo quasi tutto ciò che esiste in commercio sull'argomento, sia per motivi "militari" che per motivi politici. Quando è uscito il libro di Pleshakov mi sono affrettato a impadronirmene, sperando - un po' superficialmente - che approfondisse e tentasse un profilo più moderno e completo di Rozhestvenskij.
Un tentativo c'è, non c'è dubbio, ma nulla di risolutivo. Pleshakov accompagna la flotta russa per tutto il suo interminabile viaggio, cercando di tenere sotto controllo Rozhestvenskij e i suoi marinai, gli altri ammiragli, lo stato maggiore e lo Zar e Port Arthur fino alla sua caduta. Di ognuno riferisce non soltanto le notizie ma anche le voci, i sussurri, i pareri e i giudizi. Inevitabili farsi un'idea - molto superficiale, purtroppo - del clima a corte ma senza che questo permetta di afferrare in modo più preciso i motivi e le ragioni di Rozhestvenskij. Si partecipa a tutto il viaggio e si arriva alla battaglia nelle ultime 30-40 pagine (decisamente un po' sacrificate) e al rientro dell'ammiraglio nella Russia ormai vicina alla rivoluzione, che gli renderà (almeno lui) l'omaggio dovuto.
La sensazione, in sostanza, è quella di sfogliare un rotocalco dell'epoca. Con «le donne» dell'ammiraglio, i suoi accessi di rabbia, la sua intolleranza, le sue astuzie e le sue trovate per condurre la flotta fino al porto successivo con i serbatoi pieni. La grandezza quotidiana di Rozhestvenskij rimane in ombra, come rimangono in ombra i suoi motivi e la sua tetragona fissazione. Ad apparire e solleticare il lettore soltanto qualche guizzo e alcuni momenti più o meno allegri.
Troppo poco, davvero. Troppo poco.

17.9.08

Riflettere intorno a un punto

Si procede così.
Mezza giornata al giorno (scarsa) in libreria in attesa del secondo intervento.
Lo so, non si dovrebbe parlare troppo di sé in un blog, ma i pensieri inevitabilmente, ritornano sempre da quelle parti. Quando sono in librerie tutto - debiti, fatture, scadenze, urgenze, necessità - fa sì che temporaneamente cancelli la mia condizione di pseudomalato o di quasi-sano. Sono semplicemente me stesso: non troppo in buona salute - certo -, con un sospetto di rimbambimento senile e con qualche occasione debolezza nell'eloquio, ma complessivamente di nuovo me stesso. Poi ritorno a casa e la mia condizione un po' ridicola di uomo sul filo del rasoio ritorna a farsi viva e urgente.
Ciò che in libreria non mi spaventa (oddio! Tra dieci giorni debbo pagare tizio, caio, sempronio...) o perlomeno non mi spaventa troppo, tra le quattro mura della mia casa mi terrorizza, provoca sudori freddi e orrori indicibili. Se non sono in libreria la mia vita mi sembra un po' meno mia. Anzi, mi sembra un frammento d'incubo, un ricordo posticcio sovrapposto all'arcano silenzio della mia vera vita. Un po' come in un personaggio di P. K. Dick al quale sia stato cambiato il passato. Ma non del tutto, non completamente.
Che cosa ho fatto finora, oltre che pagare Mondadori e Messagerie o cercare di tenere buono Rizzoli?
Ho scritto, certo.
Quello che sto facendo anche in questo momento.
Ma mi manca la gioia di farlo, il desiderio di tornarvi.
Già, perché uno degli spunti della scrittura era proprio il desiderio di allontanarmi (separarmi, alienarmi) dalla mia vita quotidiana.
Niente vita quotidiana = nessuna ansia di evadere.
O forse, semplicemente, si tratta di paura.
Scambiare il nome di un oggetto con l'altro senza che il proprio ego faccia una piega («mi passi il riso? Come "quale riso"?») è una condizione che può destare ilarità o pena ma, in ogni caso, comporta l'impossibilità di scrivere. Sic et simpliciter.
Dare a qualcuno da leggere una cartella zeppa di parole che non sono esattamente le parole che volevate ma altre... beh, prima di questa esperienza era un tipo di terrore che non avevo ancora sperimentato.
Si tratta molto probabilmente di una situazione che mi sono lasciato dietro, certo, ma di molto poco e per poche settimane. Giungere a guardare in faccia i propri delicatissimi neuroni è un'esperienza che non auguro a nessuno.
Questa è la mia situazione che, indegnamente, ho pensato bene di eternare su questo blog per potermela rileggere domani, quando starò di nuovo bene, o perlomeno quando questa fase sarà chiusa.
Ma riflettervi un po' non fa male.
Non credo di doverci tornare ancora sopra, consolatevi, navigatori.
Almeno per un bel po'.

11.9.08

Le rese e/o la scomparsa

Prima metà di settembre, quando si preparano le rese.
Già, le rese.
Questo non è un intervento serio e meditato sulle rese. Nossignore. Semplicemente una riflessione risvegliata dal momento e, tutto sommato, intrinsecamente prevedibile. Prevedibile nel senso che tra un anno potrò riprenderla e ricollocarla esattamente qui.
Nel settore librario si inventa poco, purtroppo. E quello che si inventa... vabbé.
Le rese, dicevo.
Non so come facciano gli altri, ma per noi è relativamente facile. Si stampa un foglio di possibile resa partendo dal foglio del magazzino, si richiede l'autorizzazione a rendere al promotore e via, si comincia.
Sarebbe un compito apperentemente indolore. Si tratta di trovare i titoli richiesti, controllarne la quantità, inscatolarli, chiudere le scatole, apporre i sovrapacchi, chiamare il corriere e via, eccoci pronti a ricevere il prossimo giro.
Sarebbe un compito apparentemente, se non...
«Questo qui vuoi proprio renderlo?»
Tutto sta a vedere a chi affidare il compito di preparare le rese, certo. Ma non cambia mica molto, tutto sommato. In genere a fare le rese viene scelta la persona che ha curato meno di tutti la presentazione, ovvero chi nell'ambito della libreria ha fatto tutt'altro. È una specie di contrappasso o forse un modo per dare a qualche libro un'ultima possibilità.
Forse.
Quando si fa la scelta dei titoli da rendere si guardano (nell'ordine):
1 - la movimentazione del pezzo
2 - il numero di riordini
3 - la data di arrivo
Poi la decisione è, in un certo senso, presa da sola.
I titoli si guardano relativamente poco, anche per evitare conflitti di coscienza.
Fino a qualche anno fa esisteva la possibilità di "graziarne" qualcuno.
Da tre o quattro anni, viceversa, tale possibilità pare essere completamente svanita. I libri sembrano avere perduto il loro passato e, specularmente, il loro futuro. Ovviamente un libro può essere "salvato" senza problemi, ma le sue possibilità di essere richiesto non tendono a cadere gradualmente quanto a scomparire completamente. Spostato dal tavolo o dai piani a esposizione e trasferito sullo scaffale il libro - romanzo, saggio, pamphlet, saggetto - perde colore e forma e diventa sostanzialmente invisibile.
Forse è perché nessuno guarda più i libri a scaffale?
Interessante domanda questa, quasi istruttiva.
Mi ricordo ancora i tempi nei quali cercavo di leggere i nomi degli LP sugli album riposti sugli scaffali. E ricordo benissimo la sensazione di fatica che dava il frequente cambio del punto di inizio e di direzione della lettura. Il bello era che tale fatica era spesso inutile, ma cercare "nella confusione" era un modo serio e maturo di terminare il viaggio in un negozio di dischi.
Adesso cercare negli angoli poco frequentati è diventato assurdo. Sono in pochi a cercare a scaffale e nessuno cerca più nulla nel silenzio e nella confusione. Adesso i libri si trovano subito o mai più.
Sui tavoli o non si trovano mai più.
Parlo sul serio, fin troppo.
Il libro che vi ha incuriosito - interessato, incapricciato, mosso - resta a vs. disposizione per 90/120-giorni-90/120.
Dopo andrà in resa.
Se pubblicato da un piccolo editore andrà in resa anche prima. O verrà eclissato per far posto all'ultima Strazzullata.
Alle spalle premono 55-60mila novità annue in attesa di uscire, pronte ad aprirsi e a risplendere come in un documentario accelerato...
Ha qualcosa a che vedere tutto ciò con i libri?
A voi ogni giudizio.

7.9.08

Soddisfatto a percentuale

Mi è arrivata in questi giorni l'introduzione di Vittorio Catani alla sezione italiana di ALIA, ALIA Italia. Un paio di pagine dove Vittorio, uno dei pochi "nomi" della letteratura fantastica italiana, presenta e commenta i dodici racconti e i relativi autori.
A parte la sensazione di piacevole gioia che dà poter leggere il commento positivo di Vittorio alla propria "storia" - il dubbio che il proprio racconto non sia all'altezza degli altri permane come un piccolo fastidioso disturbo per tutto il tempo della lettura - e la sensazione altrettanto gradevole che anche le altre storie siano risultate all'altezza della necessità (subito seconda nella classifiche dei timori), rimane comunque un grado ulteriore di curiosità. Il racconto ha funzionato, d'accordo, ma quanto? Avrebbe potuto essere migliore? E in che modo?
Ansie e paranoie, d'accordo, ma che chiunque scriva - anche come secondo mestiere - non può fare a meno di porsi.
Un passo indietro.
ALIA Italia è un'antologia tematica, nel senso che accoglie esclusivamente narrativa "fantastica".
"Fantastico" nel senso più ampio che vi possa venire in mente. Per fare un esempio, in questo ALIA trovano posto, rubando la parole a Vittorio: «...dalle musiche diaboliche ai roghi di lettori di libri, dai minatori nello spazio agli avvelenamenti ambientali, dal fascino ambiguo di creature ibride a misteriosi simulacri provenienti dal futuro...», ovvero un mix quantomeno curioso e vario. Bene. Quale domanda un autore può ragionevolmente porsi? Che so, una domanda tipo: «Sì, va bene, ma la mia storia sarà abbastanza vivace? Sarà sufficientemente sorprendente? Mossa? Movimentata? Ci sarà abbastanza azione? Colpi di scena?»... e così via, meditando e immaginando.
Che poi i dubbi, i giudizi a posteriori, le reprimende, i pentimenti abbiano o meno una buona ragione è tutto un altro discorso, in realtà. Personalmente mi dicono che ho qualche resistenza nell'inserire scene "forti", preferendo quasi sempre uscite o soluzioni più sottilmente elusive. Sarà vero? Può darsi. Talvolta mi piace che le scene più violente avvengano "fuori campo" e che i protagonisti si trovino a fare i conti con gli esiti più piuttosto che con le premesse. Tutti elementi che hanno provocato infinite (e amichevoli) discussioni con Catani, sempre concluse con promesse (mie) di essere più "deciso" e da parte di Vic con l'osservazione che, in fondo, può trattarsi semplicemente di gusti. Fino alla successiva occasione. Resta il dubbio se il passaggio alla categoria professionisti possa avvenire quando si ritiene perfettamente adeguato il proprio "pezzo". O no? Secondo me no, per farla breve.
Essere soddisfatti a percentuale (da 65% in su) di ciò che si è pubblicato è diventato per me una sorta di "sigillo", una garanzia che sì, ho dato il massimo di me, ma che avrei potuto fare anche meglio.
Un'illusione, probabilmente, ma qualcosa di curiosamente importante.

3.9.08

Incontri

Obbligato a rimanere a casa per buona parte del giorno, perdo molto più tempo di quanto avrei ritenuto possibile. Non riesco a scrivere recensioni né ho voglia di leggere qualcuno dei tanti libri tra quelli la libreria riceve.
Colpa della produzione?
No, onestamente non credo.
Il problema reale sta, probabilmente, nel troppo tempo passato a leggere.
Nel leggere troppi libri dei quali, sinceramente, non importa nulla o dei libri dei quali importerebbe qualcosa giusto in un altro momento, in un altro tempo, in un altro segmento della propria vita.
È capitato a tutti, no, di leggere qualcosa di importante in quel momento ma del quale, sinceramente, in un altro momento della propria vita non ci sarebbe stato nulla di particolare da ricordare. Posso anche fare degli esempi - L'uomo che fu Giovedì di E.T.Chesterton o Furia dall'ignoto di Lloyd jr. Biggle - due libri a caso tra i tanti che mi hanno regalato e che, letti in un viaggio o nel corso di un soggiorno, mi diedero qualcosa di inestimabile. Poi, una volta ripresi in mano a distanza di tempo, si sono rivelati - nonostante tutto - normali. Eppure i personaggi, i luoghi, la vicenda o l'intreccio non erano cambiati. Era qualcosa in me stesso il problema, probabilmente, qualcosa che non era possibile recuperare se non casualmente e per un breve istante.
C'è qualcosa di sottile e inestimabile che un libro può regalare. E ciascun libro, viceversa, può assumere diversi connotati e fisionomie in attimi differenti della nostra vita.
Che è un po' come dire che cercare furiosamente & disperatamente un libro che finalmente può saziarvi ed essere allineato sullo scaffale d'eccelsa bellezza è, in definitiva, una cavolata.
I libri che valgono sono quelli che vi regalano qualcosa. Magari l'assurda storia degli anarchici-poliziotti di fine '800 o l'avventura di un monco lungo l'asse del tempo della Terra.
O quello che preferite.
E nel momento che preferite.
Il problema - in definitiva- è soltanto quello di riuscire a incontrarla.