28.1.09

Limatura di ferro

Movimenti tra editori.
Una cosa fisiologica, in apparenza. Ma forse nemmeno così normale come appare.
Siamo abituati, per lo meno noi "habitué" del settore librario, ad accoppiare inconsciamente autore e casa editrice. Bevilacqua e Mondadori, Moravia e Bompiani, Bassani ed Einaudi eccetera. I passaggi di casa editrice sono possibili ma non troppo frequenti e, in genere, non riguardano i "big". Eco e Bompiani, per dire. O Biagi (il fu) e Rizzoli. Ma le cose hanno iniziato a muoversi più velocemente, di recente.
Ieri è arrivato il nuovo libro di Culicchia.
Marchiato Mondadori.
Culicchia, per chi non lo ricordasse, ha pubblicato finora praticamente tutto con Garzanti.
Sotto Natale è uscito da Mondadori l'ultimo libro di Maurensig. Nato Adelphi.
Attenzione: non mi interessa in questa sede discutere dei pregi o difetti della produzione narrativa, ma soltanto constatare la scuderia.
Farinetti, uscito Marsilio, pubblicato da Mondadori.
Genna, pubblicato in origine da Einaudi, uscito in Mondadori.
Mondadori ha anche pubblicato di recente: Mazzantini (da Marsilio), Evangelisti (Einaudi), Abate (Fazi), Siti (Einaudi), Favetto (Utet), Van Straten (Bompiani), Corona (Biblioteca Immagine), Pinketts (Feltrinelli) . È una storia vecchia quella del fantasma di Calvino "rapito" da Mondadori a Einaudi o di Busi passato da Adelphi a Mondadori o il curioso tandem di Camilleri che passa da Sellerio a Mondadori senza particolari problemi, o meglio, grazie a un contratto raffinatissimo. Mentre il ritorno di Brizzi da Mondadori a Baldini è semplicemente il risultato di un contratto non perfettamente riuscito. Resta il fatto che tra gli scrittori italiani di media caratura è in atto uno spostamento graduale e apparentamente impossibile da fermare dai medi editori a Mondadori. Più o meno, a voler fare un paragone irriverente, ciò che avviene per il Milan o l'Inter.
Mondadori ha denaro, questo è indiscutibile, e i suoi contratti hanno qualcosa al quale risulta molto difficile resistere. Se si ha avuto un certo successo (dalle 10.000 copie in su, approx) difficile non cadere sotto lo sguardo mondadoriano. Non solo: i nuovi autori "di successo" (Giordano, chi se no?) vengono proposti direttamente da Mondadori. Torno a ripetere, per evitare maledizioni e accidenti di ogni genere, che non sto parlando della "qualità" dei testi ma della loro capacità di muovere lettori e attirare quella vasta fascia di lettori "incostanti" che leggono meno di 12 libri all'anno pescandoli dalle classifiche di vendita.
In sostanza Mondadori può allineare, a essere precisi, 3-4 autori "importanti" a ogni uscita. Nomi da spendere e da vendere. Poi si può benissimo pensare che l'ultimo della Mazzantini è una ciofeca o che i numeri primi di Giordano sono di una povertà desolante, ma resta il fatto che è Mondadori a "fare" il mercato.
Il problema grosso, il "baco" della cosa, è il tipo di clima che si viene a determinare.
Mondadori, il numero 1 dell'editoria italiana, punta dichiaratamente su autori già affermati. Crea una "scuola" di autori affermati che (ahimé) scrivono pescando nella loro carriera ormai pluriennale. Pensano in primo luogo al successo che i loro testi sono in grado di garantire loro senza preoccuparsi, si può supporre, di tentare nuove vie o nuove soluzioni. Bene o male, anche se sono prontissimo a ricredermi, Culicchia scriverà un altro culicchiade, Mazzantini una mazzantinata, Farinetti una farinettata. Nulla di male se si apprezzano le produzioni di questi autori, anche se - ovviamente - tutto ciò definisce un paesaggio "fermo", ovvero autori che producono letteralmente "a richiesta" titoli molto simili l'uno all'altro, destinati (condannati?) a un successo inevitabile.
E gli altri, gli autori meno noti e non appetiti da Mondadori?
Ai lettori tirare le conclusioni. Una volta stabilito che tali autori non possono ambire a vivere scrivendo e quindi difficilmente potranno giungere a costruire un'estetica letteraria personale, la conseguenza è che "il nuovo" narrativo farà fatica a emergere. La caccia nelle riserve dei nomi famosi ha questo come conseguenza, impossibile non arrivare a pensarlo.
Siamo in un momento pesante, nel mondo letterario. Da una parte gli scrittori - coccolati, viziati, strapagati purché non smettano di scrivere ciò che può puntare al successo - dall'altra i perenni dilettanti, armati di qualche buona idea ma eternamente inchiodati nella posizione di chi sta iniziando una corsa.
Manca l'aria, secondo me...


17.1.09

Freddo e tormenta

Fa freddo.
Che è un'ovvietà, naturalmente.
Ma fa particolarmente freddo per me, pieno come sono di farmaci che hanno il compito di fluidificarmi il sangue. Questo accidenti di clima ha risvegliato in me un'immagine diversa del freddo e dell'inverno come l'ho sempre immaginato e vissuto. Ho sempre amato maggiormente il freddo e, più in generale, il cattivo tempo o perlomeno il tempo incerto, il cielo coperto, l'imminenza della pioggia, la nebbia, la neve e il vento. Adesso, a essere sincero, attendo con ansia di veder comparire il sole e mi rattristo non appena il cielo si copre. Ho assistito con una intima sensazione di smarrimento alle numerose nevicate dei giorni scorsi e mi scopro a chiedermi quando arriverà la primavera. Ciò che mi è capitato, in sostanza, mi ha sbalzato indietro grossomodo di un secolo, se non di più. Mi mancano soltanto le flebili luci delle candele e gli spifferi dalle finestre gelate perché il panorama sia completo.
Rimpiango sinceramente la sensazione di gioia sottile che il cattivo tempo era una volta in grado di risvegliare in me. D'altro canto adesso faccio persino fatica a immaginare come fosse possibile e ragionevole gioire per un cielo grigio ed esultare per i primi fiocchi di neve.
Ma spero sinceramente che quel piacere ritorni.
Mi sento debole e stanco a fuggire il freddo. Anziano, detto in poche parole.
Qualche lontana speranza esiste, comunque.
Oggi a pranzo, sfidando la mia circolazione idiota, sono andato a fare due passi al Parco del Valentino dove, peraltro, nessuno ha tolto la neve. Il sole nonostante l'ora (le quindici circa) era basso e la luce spezzata da un tappeto, remotissime di piccole nubi. Dopo un quarto d'ora di sofferenza ho cominciato a smettere di avvertire così nettamente il freddo. Il paesaggio nevoso costellato di uccelli - cornacchie, colombi, passeri, anatre - ha lasciato intuire qualcosa del suo enigmatico e silenzioso fascino. Per qualche istante (poco prima dell'assideramento, suppongo) sono riuscito a sentirmi se non proprio la Strega Bianca, perlomeno un suo braccio destro.
Un ottimo risultato, tutto sommato.




9.1.09

Con l'anno nuovo...

... è abbastanza normale provare a riflettere sui compiti e sulle fatiche che attendono.
Tra queste c'è un problema che per lungo tempo tale non è stato. Parlo della rivista di attualità libraria che stiamo stampando nella nuova versione da undici anni e da ventitré (detto a spanne) comprendendo anche la versione vecchia.
LN-LibriNuovi (www.librinuovi.info) si è portato via buona parte della mia vita, questo è certo. In bene o in male non me ne lamento, anzi, anche se...
Ma non precorriamo i tempi.
Che cos'è LN, innanzitutto?
Si presenta con un formato da libro (150 x 210 mm), una copertina lucida e colorata e conta dalle 130 alle 160 pagine. È un trimestrale che esce a marzo, giugno, settembre e dicembre. Trimestrale di attualità libraria è scritto sulla copertina e di questo si occupa, recensendo, commentando e riflettendo sui libri ma anche sul mondo librario e la sua dinamica. Per farsi un'idea di come funziona LN è sufficiente fare un salto sul sito della rivista: ci sono le recensioni (più o meno 400) e anche i giudizi e i commenti sul mondo librario. È una particolarità tipica di LN, questa. La riflessione - libera e assai poco conciliante - sul mondo e sulle tendenze dell'industria editoriale libraria è sempre una delle caratteristiche distintive della rivista, il suo garofano rosso all'occhiello. A fare compagnia a questa particolare ottica sul mondo del libro (perché escono tanti libri mediocri? Perché una povera donna colpita da Alzheimer ha successo con un libro tristemente furioso e irrazionale come La rabbia e l'orgoglio? Perché uno scrittore mediocre ma abile come Baricco gode di grande successo? Perché l'editoria italiana è così poco attenta alle letterature minori o di genere? E/o perché, ultimamente, l'editoria italiana è così ferocemente e instacabilmente legata al destino del noir-giallo-thriller?) ci sono le recensioni dove i collaboratori della rivista si sforzano:
1) di dare spazio e informazioni su libri e autori meno noti.
2) di affermare un punto di vista originale e personale sui libri di grande successo, senza necessariamente "stroncare" i best-seller ma cercando di capire che cosa "ha funzionato" e perché.
3) di creare dibattito e riflessione su libri e fenomeni culturali che rischiano di essere presto dimenticati o cancellati.
Inevitabilmente LN ha sempre risentito in primo luogo dell'origine e del modo di vedere le cose dei suoi due coordinatori, il sottoscritto e Silvia Treves. I collaboratori fissi della rivista che si sono via via aggiunti condividono con i coordinatori questo sguardo "un po' strabico e un po' diffidente" con il quale ragionano sul mondo. Fatalmente LN, pur avendo ricevuto commenti e giudizi generalmente lusinghieri (o, meglio, cautamente e anonimamente lusinghieri) non ha praticamente mai ricevuto recensioni o segnalazioni dal mondo librario maggiore. Ignorato da TTL e da R2Diario abbiamo al massimo ricevuto qualche segnalazione dal nostro vicino di casa, l'Indice dei Libri (che ne approfittiamo per ringraziare pubblicamente.) Abbiamo capito, comunque, che fare i criticoni in un mondo dove tutto DEVE funzionare come coro, corale o peana è una sicura via all'anonimo e alla marginalità. E questo, fatalmente, pesa. Non pochi tra i nostri ex-collaboratori hanno mollato proprio per questo. Va bene lavorare gratis, va bene affrontare discussioni e polemiche ma che il tutto avvenga lontano dalle luci del palcoscenico non è tollerabile.
Che dire?
Beh, che è vero e che hanno ragione.
Anche se...
Cambiamo discorso, ma non poi troppo.
Si avvicina il numero 50 della rivista. Un numero storico sotto ogni profilo. Sia perché quando abbiamo iniziato nessuno avrebbe mai detto di poter arrivare fino al numero 50, sia perché nessuno avrebbe potuto giurare che i collaboratori sarebbero stati (almeno in parte) ancora quelli... Stiamo meditando di farne un numero storico, certo, ma stiamo anche meditando come rinnovare la rivista. Non solo da un punto formale e grafico - che comunque male non farebbe - ma soprattutto dal punto di vista del contenuto.
Allarghiamo il campo: gli abbonamenti sono in diminuzione lenta e costante da due o tre anni. La domanda tipica che si fa un editore a questo punto è: «ma una rivista di recensioni - anche libere, irrispettose e blasfeme - ha un futuro? Il pubblico ha ancora voglia o desiderio di leggerne?».
Bella domanda.
Possono essere le nostre recensioni a non andare più troppo bene, certo. In fondo siamo praticamente TUTTI dei "dilettanti", nel senso che per nessuno di noi l'attività di recensore è preminente. Possiamo essere noi a essere insufficienti e inefficaci. Come no. Ma la sensazione, a essere sinceri, non pare questa. No i lettori di LN mostrano stanchezza, un sottile e appena afferrabile sentore di nausea, impazienza, distacco. In sostanza una evidente - e dolorosa - intolleranza verso la produzione editoriale contemporanea.
E questo ci rimanda verso il panorama generale. Verso un'editoria maggiore che con ogni evidenza lavora alla ricerca del best-seller, costruendo i propri cataloghi su due gambe - detto con inevitabile grossolanità.
Prima gamba: la gamma dei titoli nati e concepiti per invadere lo spazio disponibile delle librerie di catena o dei supermercati.
Seconda gamba: i titoli nati con l'aiuto o il sostegno economico e personale dell'autore (Vespa, Costanzo ecc. ecc.).
In mezzo tra questi due estremi i titoli "normali": i saggi, la narrativa, i pamphlet eccetera destinati gradualmente a scomparire.
Inutile dire con un panorama di questo genere quale sarà il destino di LN.
E non solo, anche delle librerie indipendenti e più in generale di chi si preoccupa della qualità di ciò che offre al pubblico dei lettori. I titoli meno frequentati , spesso proposti dall'editoria minore di proposta, si trovano a essere posti in vendita dal personale poco preparato di alcune Feltrinelli - la consueta umanità varia che passa da McDonald alla consegna di pizza a domicilio alla collaborazione a ore con le compagnie telefoniche - e rischiano fortemente di essere emarginati. Inutile dire che senza questo genere di sottobosco di sostegno la studiata e preparata collezione di grossi fiori nati per piacere a tutti o quasi (il vampiro sentimentale, l'adolescente irriverente, l'ex-trafficante redento ecc. ecc.) possono trovare facilmente un posto in commercio paradossalmente anche senza le librerie...
Ovviamente in un mercato di questo genere LN non ha più molto da dire o da esprimere...
Che fare?
Cominciamo la discussione per il numero... 51.


1.1.09

Costruire un mondo


Costruire un mondo è il genere di fatica (e di piacere, beninteso) che si assume chi scrive un romanzo di sf. Certo, tutti scrivono o (ri)scrivono un mondo, anche quello che incontriamo quotidianamente, ma "inventare" un mondo, nel senso di inventarne dalle forme di vita alle tradizioni, alla storia, alla geologia è un lavoro che appartiene prevalentemente alla fantascienza.
Nell'ambito della sf, poi, la descrizione di nuovi e diversi mondi appartiene a un suo sottosettore, la space opera. Nella space opera, di regola, qualcuno è chiamato, costretto o spinto a vagare tra diversi mondi di qualche sconosciuto e gigantesco ecumene extraterrestre inseguendo o fuggendo qualcuno o qualcosa. Non casualmente si tratta, in linea di principio, della medesima traccia di alcuni dei telefilm più noti come Star Trek, Spazio 1999, Buck Rogers, Stargate. Alieni come se piovesse e in qualche caso enigmi etici particolarmente spinosi.
Tutto il discorso mi è tornato in mente leggendo un «Urania» di qualche tempo fa: Pianeta senza nome [prima parte] di Sarah Zettel del settembre 2005. Sarah Zettel, nata nel 1966, è stato un autore di un certo successo, pubblicato in «Urania» almeno 4 volte. Alla serie fantascientifica è poi seguita una serie definita di «fantasy romantica» ambientata nel mondo di Camelot. Tanto per cambiare, vien voglia di dire. Nell'universo che fa da sfondo a questo Pianeta senza nome si muovono alcune razze umane o umanoidi e qualche razza per nulla umana, anzi vagamente insettoide. Il pianeta senza nome, detto per inciso, è la nostra Terra della quale, con il passare degli anni, si è perso anche il ricordo.
Zettel si impegna senza risparmio, è bene dirlo, e la descrizione delle diverse razze è approfondita e complessa. Persino troppo, verrebbe da dire. I personaggi sono numerosi - anche se non eccessivamente dettagliati - e le loro vicende si susseguono con un discreto ritmo.
Senonché...
Beh, sì a questo punto ci vuole.
Il problema principale è che sono a circa due terzi del romanzo e che della vicenda me ne importa poco o nulla... Prosieguo per pigrizia (un po' come mi era capitato con il romanzo pubblicato in precedenza: Salva il tuo pianeta) ma i personaggi non riescono a risvegliare in me... nulla. Manca un protagonista ben definito, i "cattivi" non sono abbastanza cattivi e i buoni sono incerti e dubbiosi. I due protagonisti, un contrabbandiere casinista e una creatura di genere femminile presumibilmente di natura artificiale, hanno dialoghi incerti e nebulosi mentre cercano di sfuggire alle indefinite mire dei perfidi, che sono però anche gli unici che paiono avere qualche idea sulla situazione generale. Non esiste, almeno finora, un quadro decente della situazione politica e manca - o almeno io non sono riuscito a trovare - una forma di autorità o di potere che dia alla situazione un ordine qualsiasi. Sinceramente, siamo un gradino sotto persino al quadro politico un po' puerile di Star Trek. Si ha la sensazione di uno zoo - non sto scherzando, giuro - nel quale il lettore è di volta in volta chiamato ad ammirare una nuova, enigmatica creatura, dotata di otto braccia (e anche qui non scherzo) o dalla pelle eccessivamente candida. Siamo ancora in tempo a cambiare, certo, ma ho qualche dubbio che riuscirò ad arrivare al termine del doppio volume.
Eppure la space opera è uno dei generi che preferisco.
Di chi è la colpa?
Interessante domanda, ulteriormente tenendo conto di alcuni interrogativi:
1) la sf è nel momento più basso della sua storia, perlomeno in Italia
2) Urania produce essenzialmente ristampe - basta fare un salto sul blog di Urania per sincerarsene.
3) È una vita che non riesco a leggere una space opera capace di tenere il confronto con Le Guin, Vance o Poul Anderson.
Che Urania si sia accontentato di una sottoproduzione di Zettel in mancanza d'altro? Ovvero che in realtà la sf sia definitivamente esaurita?
Qualcuno ha ancora voglia, desiderio e inventiva sufficiente a scrivere una buona space opera o si tratta di uno sforzo inutile?
O la colpa è tutta o quasi dell'attuale redazione di Urania?
A chi passa da queste parti la possibile risposta.