26.5.10

Scrivere in Koro 15 anni dopo - Capitolo 3


Siamo alla terza puntata, una delle più interessanti, probabilmente.
O forse solo delle più sorprendenti.
È pur vero che il "tempo" - presente, passato, imperfetto ecc. - di una narrazione viene scelto in anticipo, ma non è male riflettere sulle possibili variazioni che la scelta del tempo può imprimere al proprio testo. Fino alla sorpresa, appunto.

I tempi della narrazione.

Sì proprio i tempi intesi come verbi coniugati.

Calma, non ho in mente una cosa sistematica ed esauriente, ma un semplice esame delle scelte di tempi.

Esempi A1: di passata si era notato che mentre il primo (A1) era basato sul passato remoto (distanza, rigidità, intangibilità), il terzo (A1.2) era al presente (modificabilità, parzialità, partecipazione). Nel secondo (A1.1) l'uso del passato remoto non aveva valore mistico o leggendario, si trattava di un onesto, comune passato remoto narrativo, una scelta comune a molti testi (come lo è l'uso della terza persona).

È comunque interessante che anche in una narrazione che abbia per oggetto (per esempio) le smanie erotiche di Ferdinando per la dolce Dorilù possano rimanere tracce di scrittura sacra e sapienziale.

Il fatto è che la parola è davvero SACRA. Dio nella tradizione religiosa di molti popoli dà un nome alle cose e così facendo le crea, altrettanto fanno gli scrittori, bravi o scarpe che siano.

E siccome la scrittura e la creazione sono operazioni compiute e mistiche, il tempo che si addice loro quello della realtà compiuta e sensibile, il tempo della distanza e della riflessione, remoto per definizione.


A2) ... A non riusciva a dormire di pomeriggio. Per quanto la mamma, dolce mammina suadente e criminale, lo recludesse nella sua stanzetta tappezzata di Bambi saltellanti e oscurasse le persiane come dovesse proiettare un documentario, il sonno non veniva. A pensava ai compiti, al peccato originale, alla casa vuota della nonna ricoverata e gli occhi gli si riaprivano - tac! - da soli.


Esiste un altro modo di inscenare un tempo remoto, il tempo che utilizzano i bambini quando dicono: "facciamo che tu eri...": l'Imperfetto.

Già il nome mi piace: adoro l'imperfezione.

L'Imperfetto è il tempo delle fiabe, il tempo di ciò che è remoto eppure è ancora presente, il tempo di una realtà contigua, inafferrabile ma sensibile. Difficilmente si può utilizzare per tutta la lunghezza di una storia (a meno che non si tratti di una fiaba) ma permette incisi efficacissimi e regala un passato buffo e malinconico ai personaggi del testo.


A2.1)... A non riuscì a dormire [quel] pomeriggio. Per quanto la mamma, dolce mammina suadente e criminale, l'avesse recluso nella sua stanzetta tappezzata di Bambi saltellanti e avesse oscurato le persiane come [per] proiettare un documentario, il sonno non venne. A pensò ai compiti, al peccato originale, alla casa vuota della nonna ricoverata e [ogni volta] gli occhi gli si riaprirono - tac! - da soli.


Si è dovuto fare qualche innesto (le parole tra parentesi quadra) per rendere il brano leggibile. L'uso del passato remoto ha reso ogni cosa più definitiva, quasi drammatica, un filino inquietante. A questo punto la "dolce mammina suadente e criminale" e i "bambi saltellanti" sono divenuti incongrui. Inseriti nel brano originale per rimarcare distacco scherzoso (un autore adulto che racconta di sé - o di un sé - bambino) stonano visibilmente con il registro da telefono azzurro che ha assunto il brano. Notate come l'uso di una parola come "recluso" nell'iperbole scherzosa permessa dall'imperfetto sia divertente, mentre nella tetra rigidità del passato remoto faccia sospettare il trauma infantile.

Ma non è finita;


A2.2) ... A non riuscirà a dormire quel pomeriggio. La mamma, dolce mammina suadente e criminale, lo recluderà nella sua stanzetta, rappezzata di Bambi saltellanti e oscurerà le persiane come per proiettare un documentario. Il sonno non verrà. A penserà ai compiti al peccato originale, alla casa vuota della nonna ricoverata e gli occhi gli si riapriranno - tac! - da soli


Il futuro è difficilmente maneggiabile, siamo d'accordo. Si tratta del tempo della profezia, del destino ineluttabile. Siamo al messaggio oracolare: dal punto di vista artistico si corre il rischio di andare fuori strada.


A2.3)... A non riesce a dormire, di pomeriggio.

Per quanto la mamma, dolce mammina suadente e criminale, lo recluda nella sua stanzetta tappezzata di Bambi saltellanti e oscuri le persiane come per proiettare un documentario, il sonno non viene. A pensa ai compiti al peccato originale, alla casa vuota della nonna ricoverata e gli occhi gli si riaprono -tac! - da soli.


Piccoli aggiustamente inevitabili e il brano assume un carattere ancora differente. Dal tono scherzoso di A.2 siamo passati alla mestizia. Stranamente i passaggi scherzosi sono divenuti frammenti narrativi di un'infanzia infelice, sicuramente solitaria, probabilmente angosciata e gravata da oscuri sensi di colpa.


A2.4)... A non sarebbe riuscito a dormire (quel) pomeriggio. Per quanto la mamma, dolce mammina suadente e criminale, l'avesse recluso nella sua stanzetta tappezzata di Bambi saltellanti e avesse oscurato le persiane come per proiettare un documentario, il sonno non sarebbe venuto. A avrebbe pensato ai compiti al peccato originale, alla casa vuota della nonna ricoverata e gli occhi gli si sarebbero riaperti - tac! - da soli


Il tempo utilizzato è un condizionale passato. Notare come le concordanze di tempi si fanno meno agevoli (la mamma lo avesse recluso, ma forse lo avrà recluso, lo abbia recluso o addirittura lo recluda).

Non siamo al tempo della profezia bensì a quello della Sentenza, di Ciò che è ineluttabile.

E' un tempo di profonda suggestione, adattissimo ai finali, evocativo, ma da maneggiare con cura e da utilizzare con parsimonia.

Siamo così passati, con la semplice modifica dei tempi, dall'ironia al dramma alla profezia, alla malinconia alla sentenza.

Sembra un gioco di prestigio ma non lo è.

Il fatto è che le parole sono dinamite, anzi nitroglicerina. Voi credete di scegliere un tempo, viceversa è il tempo a scegliere voi. Alla faccia della neutralità dello strumento.

Apparentemente ci siamo allontanati dal problema della M. Ma non è così.

In realtà la scelta del tempo dell'azione è già una scelta in merito al tipo di storia da raccontare.

È estremamente probabile che per raccontare le storie 1,4,5,7,10 e 12 utilizziate il passato remoto (storie di genere), come è probabile che per raccontare 2,3,6,8 e 9 il miglior candidato sia il presente (tornate a controllare nel primo capitolo!).

È interessante notare che per la vicenda 12, la questione è più delicata. Kafka la risolve con il passato remoto:


“... Samsa, svegliandosi una mattina da sonni agitati si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.”


(di passata: nell'originale tedesco si parla di SOGNI inquieti e l'immondo - pesante come una bestemmia - è una cortese aggiunta del traduttore Mondadori). Volgere al presente la nitida, surreale leggerezza di Kafka è impossibile. Forse non è neppure consigliabile: il passato remoto è un tempo che crea inconscio distacco. Il tempo presente rende tutto - per l'appunto - presente, reale.

Si potrebbe eliminare il cognome del protagonista, particolare paradossalmente burocratico che funge da ulteriore elemento di distacco.


“Svegliandosi una mattina da sogni inquieti A si trova trasformato, nel suo tetto, in un enorme insetto”


Non funziona.

Riproviamo:


"Di solito A dorme sonni profondi e rassicuranti. Ma al risveglio, questa mattina, dopo una notte di sogni inquieti scopre di essere diventato un enorme insetto."


Può andare. Il registro non è più paradossale ma sottilmente umoristico. Da notare: l'umorismo è un elemento di distacco e di fronte a un evento tanto improbabile e insieme terrificante il distacco è d'obbligo. "Scopre" e meno incisivo di "si trovò", su questo siamo tutti d'accordo, e proprio la scelta di scoprire - verbo che si addice alle grandi imprese geografiche o all'autodiagnosi, ... si scoprì un foruncolo sul piede... (tipicamente) - funge da ulteriore elemento di distanza.

Nel caso 12, "A si sveglia ecc. e la moglie non fa una piega", un presente umoristico può essere adeguato, a patto di volgere la storia in farsa macabra. Nota Bene: Kafka non ha scritto una farsa macabra ma un'allucinazione psicologica dai risvolti sardonici.


*** a rileggerci con il IV capitolo...

19.5.10

Scrivere in Koro 15 anni dopo - Capitolo 2


Secondo capitolo del nostro "manuale", a volerlo chiamare così.
Mi rendo conto che spezzarlo in diversi pezzi non è proprio il massimo. Un primo capitolo troppo lungo... un capitolo due che inizia con una raffica di esempi... Abbiate pazienza, via. Non è nato per la pubblicazione on line ma per essere letto e discusso in seminario. Quindi il passaggio - in realtà - è da un testo corale a un manualetto on line. Sinceramente non ho proprio idea se funziona, ma sono sempre qui per sentire i vostri riveriti pareri.

VIA CON GLI ESEMPI:

A 1).. A si guardò intorno corrucciato. I Ghugh 'k sarebbero scesi da oltre il cielo, vomitati a migliaia dalle loro oscure e gigantesche navi interstellari Avvertiva il peso sulla spalla del Betatrone a raggi YW, la prodigiosa invenzione del professor Maddox...


É evidente che in Al, esempio di FS come non ne scrive più nessuno, la scelta delle parole e il respiro delle frasi sono molto strettamente connessi alle necessità del testo.

Ci sono dei perfidi alieni (i Ghugh'k) "vomitati da oscure e gigantesche navi", simili a una legione infernale o ai germani raccontati da Tacito. il romanzo di genere si avvale frequentemente di immagini mutuate dal mito e dalla classicità. Non è quindi strano che si trovino spesso in questo genere di letterature stilemi appartenenti alla lettura profetica e sapienziale, ai viaggi di Erodoto alla letteratura di viaggio e di esplorazione, alla saga celtica e al poema cavalleresco (il betatrone ecc. ecc. ricorda molto la spada del Cid Campeador e il buon professor Maddox - c'è sempre un Maddox nella FS - è una reincarnazione di Mago Merlino).

L'A 1 è un esempio (voluto, sia chiaro!) di stile pleonastico, basato sulla mancanza di chiaroscuri e sull'enfasi, talvolta rozzamente efficace proprio per la parentela con le letture dell'infanzia e con l'immaginario umano (con l'inconscio collettivo, avrebbe detto Jung).


A1.1) ... A strinse più volte gli occhi arrossati il visore antiemissione non reagiva nei tempi previsti allo spettro della Stella Mansel. Il peso del proiettore BYW, un prototipo di efficacia solo teorica, dopo ore di attesa era divenuto insostenibile. I nemici, i Ghugh 'k, erano in avvicinamento costante e ogni volta che alzava lo sguardo al cielo dalle sfumature mattone si aspettava di scorgere le loro navi, curve e opache come scarafaggi.


Siamo passati dall'inferno alla cucina, ovvero dalle legioni infernali alle fognature intasate di scarafaggi. L'effetto negativo dei Ghugh'k (al di là della scarsissima eufonia del nome) è ora affidato alla parentela con gli scarafaggi, ma l'insieme del testo, meno retorico, lo rende più simile a una cronaca di guerra raccontata da un ignoto soldato che a un'epica.

Il punto di vista è strettamente personale, affidato a un individuo reale e non un eroe; l'A di A1.1 fa di mestiere il milite spaziale ma potrebbe facilmente essere un bancario davanti a un terminale che trasmette quotazioni di borsa in picchiata o un pescatore siculo che teme l'arrivo di una motovedetta tunisina. Non c’è nessun Mago Merlino in vista, A ha gli occhi arrossati (i piedi gonfi,

la gola secca, i muscoli irrigiditi si deducono agevolmente dal contesto) fa un caldo bestiale e l'equipaggiamento non è troppo affidabile: decisamente siamo molto lontani dal videogioco.

Il lettore non si aspetta una facile vittoria, forse neppure una vittoria. Fiuta guai e se dopo poche righe A comincerà a farsi domande sulla famiglia avrà la certezza che non è incappato in un romanzo triviale.


A1.2)... Mi chiedo come cazzo ci sono finito.Io, A, qui in mezzo a un fottuto deserto in compagnia di un centinaio di coatti tutti e cento a sudare come cammelli nell'equipaggiamento da pianeti glaciali Mi cullo sulle spalle uno sturalavandini d'acciaio, pesante come una montagna. Non so nemmeno se funziona. Due ore di istruzione: "Arma sperimentale, terribile, zip, trac, wow! Tutti i nemici morti" Cazzate: si incepperà a metà e ci friggeranno come rane. Aspettiamo i Gugg o comecazzosichiamano. Dicono che sono brutti. Schifosi come un mese di astinenza. "Non peggio del sergente Warrior" dice Tris "strani ma simpatici, da ubriachi."


Ultimo esempio di questo giro (giuro). Qui il pezzo è in prima persona invece che in terza. E al presente e non al passato remoto. Svanita ogni drammaticità, vi sono inserti di linguaggio parlato, sincopi, ritmo, esasperata paratassi, sentimenti quotidiani, ironia, atteggiamento antiautoritario e antiretorico. lì lettore si attende uno scioglimento grottesco della vicenda, avendo ben presente che il presunto nemico (del quale è storpiato anche il nome, reso solo attraverso la sua pronuncia) fa molti meno danni delle alte gerarchie militari.

Per successivi accostamenti siamo rotolati dalla FS anni '50 fino dalle parti di

Salinger e Pynchon.

Soprattutto il primo è un vero MITO per i provincialissimi lettori e autori

nostrani (come si chiama la scuola di Baricco? Ecco, avete capito).

E adesso beccatevi Salinger in persona:


«Non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella. Vi racconterò soltanto le cose da matti che mi sono capitate verso Natale, prima di ridurmi cosi, a terra da dovermene vonire qui a grattarmi la pancia. Niente dì più di quel che ho raccontato a D. B., con tutto che lui é mio fratello e quel che segue. Sta a Hollywood, lui. Non è poi tanto lontano da questo fetido buco, e viene qui a trovarmi praticamente ogni fine settimana. Mi accompagnerà a casa in macchina quando ci andrò il mese prossimo, chi sa. Ha appena preso una jaguar. Uno di quei gingilli inglesi che arrivano sui trecento all'ora. Gli è costata uno scherzetto come quattromila sacchi o giù di li. È pieno di soldi, adesso. Mica come prima. Era soltanto uno scrittore in piena regola, quando stava a casa».


Vi piace? Sembra Culicchia, vero? O forse è il contrario.

Vi rimando - a proposito di Salinger - al libro di David Lodge - L'arte della Narrativa, pagina 28 e segg. che, peraltro, dovreste aver già letto.

NOTA: (agevolmente saltabile). Credo che questo genere di narrazione, con la sua carica di ribellismo e anticonformismo, sia largamente superata. Diversamente dal resto del mondo, qui siamo ancora alle prese con gli scazzì e gli svacchì di una generazione di quarantenni che non si rassegnano a diventare vecchi e finiscono per imporre anche ai nuovi autori il canone di una scrittura falsamente nervosa, rabbiosa, polemica e irriverente. Ma i nati negli anni '50 e '60 sono convinti che il mondo prima e dopo di loro non esista. Bisogna diffidarne.

Abbiate pazienza, ma non riesco proprio a evitare le digressioni. l'intenzione originale era di esemplificare il rapporto di necessità che lega forma e contenuto.

Ritorniamo agli esempi Al, A1.l e Al.2. In tutti e tre i casi ci muoviamo nell'ambito del romanzo di FS, anche se diversamente definito. Alle tre fasi dello stile corrispondono (grossolanamente) alcuni autori e alcune serie di romanzi.

Ma tutto il meccanismo presentato sa un po' di artificiale, di troppo ovvio. Qualcosina l'abbiamo definito, qualche corrispondenza significativa l'abbiamo esibita (paratassi e atteggiamento anticonformista, linguaggio pleonastico e intento mistico, attenzione al particolari e punto di vista personale) ma, come dire, siamo ancora molto lontani dal nocciolo del problema.

Ricapitolo:


Di importante finora è stato detto:


- Che la narrazione come flusso di coscienza ha determinato la parzialità del

punto di vista e quindi I 'ERRORE, inteso come dissimmetria tra il personaggio,

I nostro A, e il mondo reale.


- Che il personaggio, in quanto percipiente (ma quanto è brutta questa parola), è l'architrave del testo. in realtà l'atto del percepire è attuato in complicità tra l'autore e il personaggio (o il nugolo di personaggi). La scrittura ”oggettiva” è semplicemente una mistificazione, neppure troppo raffinata.


- Che la caratterizzazione del personaggio non deve (dovrebbe) avere caratteristiche “fotografiche”, ma essere il risultato di un processo indiziario, di un pedinamento, una rappresentazione che nasca dal rovescio di un profilo, dai difetti e dagli ERRORI del personaggio piuttosto che dalle sue belle imprese.


(a tal fine allego due pagine tratta l'una da Mozzi - La felicità terrena - e l'altra da Böll - Foto di gruppo con Signora. Due scrittori cattolici, ohibò, non me ne ero accorto. il commento alle due pagine seguirà prima o poi. Leggetele religiosamente, che poi vi interrogo).


- Che lo stile (la forma, i modi, la tessitura, la struttura intima della lingua adoperata, chiamateli come preferite) è una funzione obbligata del tema (almeno nei buoni libri).

A tale proposito si sono fatti anche alcuni esempi e si sono notate alcune corrispondenze abbastanza significative.


INTERVENTO (non strettamente necessario).

Lo stile in un libro è come l'arbitro nel calcio: non si dovrebbe avvertire la sua presenza in campo. Essenzialmente dovrebbe essere inafferrabile, condurre/sedurre il lettore come una movenza, una musica, un profumo.

Voi cosa ne dite?

A questo punto si tratta di fare un piccolo ulteriore passo.


Da: Giulio Mozzi "La felicità terrena"


Paperoga fa il razionale. Non crede assolutamente che a una certa faccia o a un certo portamento corrispondano determinati aspetti del carattere. Le pretese scientifiche di Lombroso gli sembrano assurde. Secondo Paperoga, semplicemente Lombroso non credeva ai suoi occhi. Mi­surava fronti, nasi, diametri delle cavità oculari, omeri, zi­gomi. Si era costruito una collezione di strumenti apposi­ti, ingegnosissimi, per misurare qualunque parte del cor­po: cigliometri, stincometri: tutto per non guardare. Chissà se aveva mai misurato se stesso per concludere: fronte, naso, occhi, mento, tempie, capelli, orecchie, tut­to fa di me un fisiognomicista. Ridicolo. Eppure le strade sono piene di persone che volontariamente modificano il proprio aspetto conformemente a canoni precisi. Tutte queste persone vogliono che il loro aspetto produca un cer­to senso: e raggiungono lo scopo. Eppure non hanno mai studiati i libri di Lombroso o di Lavater. La fisiognomica pratica, reale, batte quella teorica. A Paperoga vengono in mente certi favolosi parti della Disney Corporation. Cru­delia De Mon, ad esempio: la più cattiva di tutte (di tut­ti), una collezione di tratti somatici, vocali, comportamentali al limite dell'insopportabile: capelli bicolori, men­to sporgente, occhi spigolosi, trucco pesante, bocca all'ingiù, voce strascicata e falsa, gomiti sporgenti, siga­retta con il bocchino, ginocchia aguzze, gesticolazione in­vadente. Da fare invidia a Messerschmidt. A conti fatti, pensa Paperoga, la fisiognomica non serve a niente se si vuole conoscere la natura spirituale delle persone reali, ser­ve invece se si vogliono costruire personaggi la cui natura spirituale sia immediatamente percepibile.


Da: Heinrich Böll: “Foto di gruppo con signora”


Leni riprese i suoi tentativi pianistici, con intensità e «con una faccia improvvisamente ostinata» (Hoyser sen.), e il già nominato Schirtenstein, il quale (come dice lui stesso), fin lì, quando stava alla finestra, l’aveva ascoltata «non senza un certo interesse, comunque più o meno annoiato», soggiunge: «Ma di colpo drizzai gli orecchi, e quella sera di giugno udii la più sbalorditiva interpretazione che avessi udito mai. C’era, in quel pezzo, una nuova durezza, direi quasi una fredda durezza che non avevo mai sentito prima. Se vuol permettere a questo vecchio che ne ha stroncati tanti un’osservazione che forse la sorprenderà, le dirò che ascoltai Schubert ex novo, come come per la prima volta, e chi lo suonava così – non avrei saputo dirle se era un uomo o una donna – non solo aveva imparato, ma anche compreso qualcosa... e succede solo di rado che un non professionista arrivi a comprendere. Non è che là qualcuno suonasse il pianoforte, ma... ma nasceva della musica, e io continuai a sorprendermi nell’atto di di stare alla finestra e di aspettare, in genere la sera tra le sei e le otto.


arrivederci al capitolo 3...

14.5.10

Scrivere in Koro 15 anni dopo - Capitolo 1


Di seguito pubblico il manuale di «scrittura creativa» partorito per i lavori del Koro, seminario autogestito di scrittura creativo che visse e fiorì per un paio d'anni, tra il 1994 e il 1996.
Si interruppe per diversi motivi.
In primo luogo per motivi di tempo - scarso per tutti i partecipanti, un numero variabile tra le 10 e le 20 persone - e in secondo perché avevamo comunque completato un ciclo di attività, sfornando i nostri compiti e le nostre interminate e interminabili discussioni/riflessioni. Avviare un secondo ciclo era sinceramente troppo persino per me e Silvia Treves (che si firmava e si firma tuttora come S_3ves) che abbiamo condotto e animato il seminario per tutto il tempo della sua esistenza.
A ripensarci è stata davvero una bella esperienza, comunque.
Eravamo su un piano di assoluta parità, ansiosi di afferrare e padroneggiare gli strumenti della lettura e della scrittura, felici come bambini che guardano la notte da una finestra del tetto, ancora svegli nonostante gli ordini dei genitori...
Sono passati più o meno quindici anni e il panorama è drasticamente mutato. Il mondo dei libri è cambiato fino a diventare irriconoscibile. E non è soltanto il problema di un'insufficiente conoscenza del mondo editoriale dell'epoca. E nemmeno di illusioni perdute. Semplicemente l'attuale mondo letterario è una conseguenza logica dell'editoria di allora. Un'editoria che ha perduto indipendenza e autonomia intellettuale. Autori italiani di successo consegnati a una fastosa mediocrità, felicemente obbligati a una povertà di stimoli, idee, suggestioni che all0ra - ingenui come eravamo - non avremmo neppure potuto concepire.
Ci illudevamo che scrivere fosse la possibilità di comprendere il mondo e anche noi stessi. Adesso siamo più grandi e, nonostante tutto, abbiamo fatto esperienza del tempo e di noi.
E anche se è diventato più complicato e faticoso non abbiamo rinunciato a guardare il cielo di notte.
***
Il testo del "manuale" - del quale mi incaricai io con contributi di S_3ves - risulterà un po' debole come costruzione e organizzazione, dopo tutti questi anni. E tutt'altro che completo. Un po' supponente ed eccessivamente brutale, rigido e inflessibile, intollerante verso certi autori e un po' svenevole verso altri. Ma credo di potermi ancora riconoscere in essa.
E certe parti le riscriverei anche più cattive e dispettose.
È bene, comunque, sottolineare, che il testo è stato scritto avendo presente la sua lettura e il commento ad alta voce, seminariale.
Buona lettura, comunque. Qualsiasi commento è graditissimo.

***
Premessa

Ogni scuola di scrittura che si rispetti, in ogni angolo del globo terraqueo ha prodotto materiali scritti, manuali, sussidiari, schemi, temari ecc. ecc. Non si capisce come mai il Koro, pur essendo un seminario autogestito e scassone, non dovrebbe fare altrettanto, anche perché persino una caterva di scemenze e ovvietà, purché scritte, hanno il pregio di suscitare discussioni e confronti. Nella peggiore delle ipotesi cementano l'unità dei partecipanti, accomunati dalla convinzione che l'estensore del sussidiario, manuale ecc. ecc. sia un modesto fesso o anche un fesso colossale (anzi. kolossale, visto che si parla di Koro).

E allora eccovi qui, alla portata della vostra malevolente attenzione, il nostro manuale, dal titolo:

SCRIVERE IN KORO

Il compito di scrivere queste note mi è stato cortesemente affidate da S_3ves in base al fatto che sia pure in vesti differenti e con esiti indefinibili sono, tra i membri del Koro, quello che ha scritto di più ( 4 romanzi completi, un romanzo in condominio con S_3ves, un altro romanzo in corso di scrittura, un numero esagerato di racconti e una mezza sceneggiatura, il tutto inedito al 99%).

Talvolta sospetto si tratti semplicemente di tempo perso, ma non è questo l'aspetto rilevante della cosa.

Il fatto è che avendo scritto per svariati chilometri è statisticamente probabile che abbia inciampato con più frequenza in due ordini di problemi che tutti ci attanagliano: la costruzione di una trama (M=MACROSTRUTTURA) e l'organizzazione della lingua [m= microstruttura].

Nello stendere questa preziosa operina mi sono reso conto della necessità di corredare il testo con esempi, cosa che ho tentato di fare. Per ragioni di tempo e di pigrizia, tuttavia, ne ho inventati alcuni di sana pianta. Spero si rivelino almeno adeguati, ma - se non vi piacciono - potete proporne di migliori, non chiedo di meglio.

Ulteriore raccomandazione: un carneade della narrativa come me non può dare consigli davvero utili a nessuno e ciò che segue non può evidentemente essere un baedecker alla pubblicazione e al successo, ma semplicemente l'illustrazione della mia personale linea di condotta nella scrittura. Non voglio dare consigli, nè tranciare giudizi: semplicemente mi propongo come materiale di discussione. Non è una svista, Mi propongo nel senso che ciò che ho scritto rappresenta buona parte del mio gruzzolo di lavoro e di esperienza in campo creativo (creativo, Signùr).

Intendetelo come un intervento particolarmente lungo a una riunione del seminano.

Se a qualcuno venisse poi voglia di integrare, correggere, ampliare il lavoro è il benvenuto. Alla fin fine potremmo persino stampare il tutto e venderlo o regalano come prodotto del seminario.

Prima di cominciare, tuttavia, una bella CITAZIONE

Trattasi dì “Poetica della prosa" di Tzvetan Todorov, sottotitolo "le leggi del racconto", pag. 96

Nel celebre racconto La Cifra nel tappeto (1896) James racconta come un giovane critico che ha appena terminato dì scrivere un articolo su uno degli autori che più ammira - Hugh Vereker - lo incontri per caso poco dopo. L'autore non gli nasconde di essere deluso dello studio a lui dedicato. Non certo perché manchi di sottigliezza, ma per il fatto che non riesce a dare un nome al segreto della sua opera, segreto che ne costituisce, insieme, il principio motore e il senso generale. «Vi è nella mia opera un'idea», precisa Vereker, «senza la quale non mi sarei affatto interessato all'universo rappresentato dai mestiere di scrittore. Un'intenzione preziosa come nessun'altra. La sua attuazione è stata, almeno così mi sembra, un miracolo di abilità e perseveranza [...]. Essa segue il suo corso, come un personale piccolo gioco di prestigio che attraversa tutti i miei libri, e tutto il resto non è al confronto che un superficiale trastullo». Incalzato dalle domande del suo giovane interlocutore, Vereker aggiunge: «Tutto l'insieme dei miei lucidi sforzi non è altro che ogni mia pagina, ogni mia riga, ogni mia parola. Ciò che dev'esser trovato è tanto concreto quanto l'uccello nella gabbia, l'esca appesa all'amo, il pezzo di formaggio nella trappola. È ciò che compone ciascuna riga, sceglie ogni parola, mette un punto su tutte le i, traccia tutte le virgole».

Cosa c'è di tanto importante in questa citazione di H.James da parte di Todorov?

Il Segreto.

Tanto per citare Mario Giorgi: "non credo che si possa DAVVERO insegnare a scrivere a qualcuno

Eh, già, perché sotto c'è un segreto: c'è quel tanto di inafferabile e irriducibile che PUÒ sorprendere voi stessi quando rileggete le vostre pagine migliori, ciò che vi strappa un moto di stupore: “... ma chissà da dove cazzo mi è venuta fuori questa..."

Questa stupore di fronte al segreto della scrittura - che poi è il semplice segreto del nostro Esserci [dasein, secondo Heidegger] - è anche il motivo per cui si perde tempo davanti a un computer a comporre parole che ben pochi leggeranno. È ciò che ci smaschera come individui immaturi che hanno ancora bisogno di sapere cosa faranno e come saranno da grandi.

La fase attuale e i nostri compiti.

Finora si sono fatti numerosi giri di ricognizione intorno al castello della narrativa: quanto sono alte le mura, quanto sono munite, i turni, le abitudini, delle sentinelle. Si sono interrogati coloro che hanno commercio con i castellani e compiute ripetute osservazioni a diverse distanze.

Si sono costruiti modelli del castello, studiati camminamenti, spalti, torri, barbacani, ridotti e li si è riprodotti. Ma rimangono aperti due problemi essenziali: L'ARCHITETTURA e la STRUTTURA INTIMA del castello.

Per Architettura intendo il disegno complessivo e il progetto, in poche parole tutto ciò che ha a che vedere con il complesso della narrazione (trama, intreccio, sviluppo ecc.).

Ossia:

... Dato A come personaggio principale, B sua moglie, AB il figlioletto adorato:

l. A uccide incidentalmente B

2. A scopre di non amare più B

3. A prova dolore e disagio nel suo rapporto con B

4. A viene rapito dagll Ufo e scopre che B è un agente venusiano

5. A è una spia yemenita all'insaputa di B (agente segreto della Padania)

6. A beve come una spugna e maltratta B

7. A convince B a partecipare a uno scambio di coppie. Amplessi, stravaganze e perversioni vengono rigorosamente descritti.

8. A analizza in un diario i propri rapporti con B

9. A scrive lunghe lettere alle quall B non risponde.

lO. A si sveglla un mattino senza ricordare più nulla di B e di AB.

11. A dopo una memorabile sbornia scopre il cadavere offendamente sfigurato di B. La polizia lo considera colpevole e nemmeno lui è troppo sicuro della propria innocenza.

12. A si sveglia una mattina trasformato in scarafaggio e B e AB non fanno una piega.

Si tratta come si vede, della risposta alla domanda che vi fa l'amico al quale avete appena dello: "bello questo libro" (o questo film), cioé: "Di cosa parla?"

Per molti, innanzitutto il nostro beneamato – per quanto ormai remoto - Gruppo 63 (Fofi, Balestrini, Guglielmi, Cherchi ecc. ecc.) l'arte del narrare è morta e quindi preoccuparsi della vicenda nel testo che parla di A è inutile, risibile, assurdo, patetico. Forse anche antidemocratico, sottilmente reazionario, rozzo e volgare. Per costoro la sorte di A non può essere neppure accennata.

Programmaticamente, A (di frequente espresso in prima persona) è chiamato a portare a termine operazioni banali: lavarsi i denti, vestirsi, scendere le scale, salire in auto, infilare la chiave nel cruscotto, partire, NON schiacciare un ciclista o arrotare una carrozzina, arrivare al lavoro, ricevere e fare telefonare e constatare progressivamente il vuoto/alienazione/assurdo del proprio esistere.

È anche possibile che A svolga operazioni banali ma emblematiche, all'interno di un contesto linguistico innovativo o comunque sorprendente.

ESEMPLIFICHIAMO:

A crea una programmata collisione/frizione tra i propri incisivi e le setole bianche dello spazzolino.

Quel mattino lo spazzolino avrebbe giurato din non essere costretto a lavorare che molto tardi, ovvero che A non si sarebbe alzato che a giorno inoltrato.

Lavarsi i denti il guaio è la faccia: gonfia, inerte, vuota e insulsa ma irritante, come quella di uno sconosciuto che non si decide a uscire dalla cabina del telefono quando ti serve disperatamente..

... Denti. denti, denti. Ce ne sono ancora. Non tutti, ma quasi. Le setole scivolano negli spazi, accarezzano le pareti bombate come quelle di un B-52. Denti: aggressivi, candidi, feroci... essere senza denti, non mordere, non capire... perdere i denti Una linea il unisce al cervello, ai ricordi, al modo in cui affronto le cose. Da perdente. Da sconfitto in partenza...

Prima solo il candore del lavabo... Calma, c'è un capello! Non si può parlare di candore! Ma via, candido in senso lato. Ierisera A è rientrato tardi, si è guardato nello specchio, si è accarezzato la fronte. Un capello fa presto a cadere... Vedi? A perde i capelli. Non ho detto che il capello fosse suo... e poi, in ogni caso, io sono qui per descrivere una scena: A che si lava i denti

Sgorgalito impestato di mosca morta. Spazzzzzolinare vvviolentemmmente, INTENSO. Piuvveloce menoveloce, PIUVVELOCE MENOVELOCE, momento angolare dell'avambraccio in moto semirotatorio, a cono apertura n tendente a infinito. Lucido d'acqua sapone-menta candido.

Me l'hanno insegnato fin da piccolo. Denti, orecchie, naso, acqua fredda, meglio freddissima. E non riesco a smettere. Una scimmia odiosa e perbene che non posso scrollarmi di dosso.

Vi prego di notare che in alcuni degli esempi appena presentati è possibile cogliere i modi di uno stile sperimentale o provocatorio, in altri lo stile si può definire "contemporaneo" o "psicologico" (termine che detesto, ma è per capirci) ovvero basato sulla confessione, l'introspezione, il monologo interiore.

Per esprimere l'interiorità, il flusso di coscienza - nella definizione di Andrew James, fratello di Henry (cfr. Ulisse di Joyce) - uno stile basato sulla semplice scansione cronologica è probabilmente del tutto insufficiente. Notoriamente i pensieri tendono a interrompersi, ad accavallarsi, a contraddirsi. Possono mutarsi e virare in ricordi, unire riflessioni, emozioni e giudizi e possono assumere un andamento a matrici progressive:

(...fanculo, bastardo, fanculo a me... Ma forse io l'altrieri non avevo compreso... ma come era possibile, tra lui e Jenny non era finita?.. Ma Jenny pensava che lui fosse preso da Hanna... Hanna. Che gran gnocca Hanna... da non pensarci prima di dormire... Ma tanto dormo male di questi tempi...)

e così all'infinito. Potete fare la prova a casa vostra con poca spesa.

L'ingresso del flusso di coscienza nella narrativa del nostro secolo ha profondamente alterato il rapporto tra M ed m.

Sicuramente il romanzo in senso classico, di scuola ottocentesca, è stato in gran parte soppiantato dalla cronaca mentale, dal sismogramma di passioni e pensieri. É probabilmente venuta a mancare l'unicità definita, il valore esemplare del personaggio borghese, al quale era inutile attribuire - oltre un certo limite - passioni e pensieri. Il meccanismo del pensare si riteneva un tempo doverosamente controllabile e vagamente indecente, un po' come raccontare un quarto d'ora alla toilette del personaggio femminile principale.

Era spesso preferibile trasferire l'irrazionalita profonda del sé, il conflitto, il malessere, nel tema fantastico, alterando l'universo sensibile.

Poe, Stevenson, Hawthorne, lo stesso H.James hanno efficacemente rappresentato l'alterazione della coscienza collocandola all'interno di un tema fantastico e penetrando profondamente nei territori della percezione alterata e della follia.

Questo genere di temi (alterazione, squilibrio, follia, percezione alterata) sono spesso demandati in grado maggiore alle letterature di genere (noir, horror, FS) alle quali è affidato il compito catartico di esplorare e disinnescare passioni e follie.

Non è un caso che autori come J.Ballard e P.K.Dick - tra i maggiori della FS - basino i propri romanzi e racconti sulla percezione e sulla reazione all'Evento, più che sull'Evento in sè.

In Blade Runner, tratto dal racconto di P.K.Dick "Gli androidi sognano pecore elettriche", non vengono spese più che tante parole sulla guerra interplanetaria in corso. Dei Ganimediani si hanno poche nozioni, ciò che conta è il tipo dì realtà che l'Evento ha determinato.

PUNTO: Notare il particolare: si può chiedere al lettore di empatizzare con il protagonista o i personaggi (... Mi va tutto male, ma proprio male, e siccome tu mi leggi certamente capirai...) oppure sforzarsi di ridefinire i sistemi di riferimento propri e del lettore (...Mi va tutto male, ma forse qualcosa di oscuro e terribile [in me o nell'universo] sta facendo in modo di indurmi a scelte sbagliate... Forse ciò che arrivo a percepire non è in alcun modo significativo o sono io a organizzare male la mia percezione, unendo ciò che doveva restare separato e separando ciò che deve restare unito....)

Inutile dire che personalmente non ho dubbi su quale sia l'approccio più fecondo e appassionante per il lettore. Diffido del testo che suscita emozioni prevedibili in chi legge.

Non necessariamente per arrivare a questo genere di narrazione si deve scrivere FS. Pensate a Giorgi (Codice) o a Kafka (Il Processo).

La sensazione di inadeguatezza, di insufficienza, di incapacità a cogliere i segnali provenienti dal mondo reale, la conllisione, i messaggi non integrabili, i blocchi, le paralisi, le rimozioni, l'abitudine, la forma mentis, le cecità selettiva sono tutte caratteristiche attribuibili a un personaggio in modo da ottenerne una rappresentazione "a scandaglio", un profilo tridimensionale convincente per qualunque lettore.

Nota di S_3ves: tuttavia, il genere Fantastico e tutte le sue molteplici filiazioni (narrativa dell'orrore e del soprannaturale ecc.) si prestano molto bene perché spingono il lettore a mettere in discussione i confini del possibile.

PUNTO: Nessuno, credo, ritiene possibile rappresentare integralmente un personaggio. In genere ci si arrangia con una breve descrizione (non strettamente necessaria, peraltro) qualche cenno di storia personale, modi peculiari di interloquire, cenni sulla sua visione del mondo, prassi e reazioni. Si può scegliere di eliminare la ridondanza del dubbio, delle indecisioni e degli scacchi parziali o totali del personaggio, ma la conseguenza probabile sarà un individuo goffo, irritante, non sufficientemente conscio di sé.

Sono, queste ultime, caratteristiche comuni alla media dei narratori italiani contemporanei. Mimare la superficialità del pensiero è un'operazione complessa e ardua, che se non ben condotta determina distacco, sufficienza, malevolenza, facile iroma.

Molti dei personaggi della Tamaro non deteminano nè curiosità nè inquietudine nel lettore. Si tratta di individui definiti e monodimensionali (quindi a loro modo rassicuranti) nei quali ogni conflitto è trasferito al passato e ogni riflessione è compiuta e non conduce a sviluppi credibili. La nonnina terminale di Va' dove ti porta il cuore è una fenomenale testa di cazzo, convinta che la morte imminente la liberi dalla necessità di comprendere le proprie essenziali idiozia e insensibilità.

Alésa dei Fratelli Karamazov si sbatte come un povero cristo nel tentativo di comprendere cosa non va in lui e negli altri, dubita anche di se stesso, si arrabatta, teme, si angoscia, si dispera. Alla fin fine non è proprio che riesca ad imbroccarla, ma il lettore è comunque conquistato dalla sua fatica, dalla sua essenziale anche se fallimentare buona fede e chiude il libro pensoso e rigenerato, sospettando che la vita sia una cosa decisamente (e felicemente) più complicata di quanto appaia.

Come dire che in una scala da uno a dieci Dostojevskj sta dalle parti del dieci mentre la Tamaro non arriva nemmeno a uno. E questo era ovvio anche prima di tutto questo bel ragionamento.

Nota di S_3ves: A proposito della difficoltà di rendere la superficialità del pensiero credo siano in ballo due aspetti differenti:

Indeterminatezza del pensiero, ossia flusso di pensiero non diretto verso un obiettivo: ciò che ci attraversa la mente momento per momento. Backer ha fatto già molti tentativi su questo fronte, con risultati alterni, che spesso determinano nel lettore una sensazione non tanto di utile malessere quanto di sterile disorientamento.

Mancanza dì profondità: come dire descrivere un vero stupido. Anche su questo terreno si possono citare molti onorevoli fallimenti (Flaubert era ossessionato dal tema). Si parva licet, ci ho provato anch'io e sono d'accordo sull'affermazione di Massimo che mostrare la superficialità come mancanza dì autoosservazione rende il personaggio banale e non significativo, al limite rassicurante.

Ho compiuto alcune evoluzioni impreviste. Mi propongo ora di tornare PUNTO: M e m.

I) Il personaggio è il grado zero della narrazione. Non è semplicemente possibile supporre una realtà non percepita. La narrativa è completamente e assolutamente berkeleyana (da Berkeley, filosofo idealista). Esiste solo nel momento in cui qualcuno - autore o personaggio - la racconta.

La realtà nuda senza parzialità percettiva esiste solo nei verbali di polizia e nelle barzellette mal raccontate (oltre che nei pessimi libri).

Persino Culicchia, mediocre (de)scrittore dell'ovvio, si preoccupa di illustrare la percezione fintamente alienata del proprio personaggio che si aggira per un centro di Torino colorato di claustrofobia.

Il conflitto tra personaggio e vicenda - ovvero, entro certi limiti, tra stile e contenuto - è molto più apparente che reale. Un monologo può essere appassionante e tagliente quanto un'avventura nel tempo e nello spazio, ovvero un'avventura ecc. ecc. può essere noiosa quanto una messa cantata se non vi è definita alcuna PARZIALITA' PERCETTIVA, cioé nessun ERRORE. (ricordatelo, questo concetto dell'ERRORE, è importante e ci torneremo sopra).

2) Non è semplicemente possibile scegliere tra la M di MACROSTRUTTURA e la m di microstruttura. Lo stile, ossia la tessitura, la struttura intima della lingua, è in gran parte una funzione obbligata del tema e del genere (almeno nei buoni libri).

***

arrivederci al secondo capitolo...


8.5.10

A piccoli passi

L'altro giorno - più o meno - parlando con Davide Mana ci è capitato di chiederci perché e come mai è possibile che esistano individui che mettendo su una «scuola di scrittura creativa» riescano a sbarcare il lunario. Che esista un tale numero di appassionati (o di polli) ben felici di foraggiare qualcuno con il compito ben preciso di valutare e nel caso massacrare i loro elaborati di narrativa italiana, come nemmeno a scuola.
Ognuno di noi aveva la propria esperienza - personale o amicale - di scuole e scuolette varie di scrittura creativa animate da docenti o relatori narrativamente oscuri, non proprio famosissimi e non esattamente di chiarissima fama. In non pochi casi emeriti Carneadi. Nulla di (troppo) male in questo, per carità, ma ci risultava francamente difficile credere che chi non abbia anni e anni di esperienza e un rapporto maturo con lo scrivere e la scrittura sia davvero in grado di «insegnare» a chi non ha esperienza e abitudine alla scrittura.
Si ragionava che, anche ammesso sia possibile «insegnare» a scrivere narrativa e questo non sia un semplice assurdo, è probabilmente possibile provare a inquadrare un po' meglio l'attività dello scrivere, passare qualche suggerimento sul come procedere, fornire qualche strumento scavando nell'enorme, rutilante e interminabile ricchezza della lingua, ma nulla, per carità, sull'espressione e sul modo e il motivo dell'esprimersi.
Non confermare la convinzione corrente che esista davvero una formula narrativa alla quale attenersi per essere pubblicati e diventare così inutili e vacui narcisi.
Non suscitare speranze e illusioni nei millanta visionari che si immaginano autori di un thriller al sangue o i numerosissimi ingenui sicuri di aver scritto il romanzo italiano del XXI secolo...
No, questo ci pareva un'attività sottilmente truffaldina, un modo poco rispettabile di mettere insieme il pranzo con la cena.
D'altro canto... esistono realmente migliaia e migliaia di persone, di ogni età e formazione sociale e intellettuale, che vorrebbero scrivere per essere letti, anche senza puntare a diventare lo Stephen King o il Clive Cussler de noantri. Come esistono insegnanti non truffaldini che si sforzano di condividere - senza imporle - le proprie conoscenze sulla lingua e sull'espressione.
Un'esperienza che non ci dispiacerebbe affatto condurre in prima persona.
Che fare? come disse un secolo fa un tipo poco raccomandabile.
Beh, abbiamo girato per un po' intorno all'idea - forse peregrina o forse no - di arrivare a creare una sorta di seminario sulla scrittura «automodulabile e a geometria variabile» utilizzando i locali della CS, come insegnanti i sottoscritti più un po' di amici della rivista LN e inventando qualche occasione di incontro con scrittori nostri amici di vecchia data come Arona, Bajani, Defilippi, Lanza, Catani, Masali e altri. Ci stiamo ancora girando intorno, detto per inciso, annusandola, misurandola, valutandola, pesandola e considerandola.
Sarebbe accettabile farla pagare «al costo», ovvero facendo discendere il prezzo dai costi delle iniziative e delle strutture e non, piuttosto, dalla necessità di far cassa.
Sarebbe interessante se non proponesse un diploma o qualcosa del genere al termine del lavoro ma un lavoro comune, uno o più romanzi a più mani, come uno steampunk ambientato a Torino, per dire.
Sarebbe...
Mah, non abbiamo deciso nulla.
Ma l'idea ci segue e ci tormenta.
Non dico che ci svegliamo di notte con gli occhi sbarrati ma al mattino sbarbandosi capita di pensarci.
Intanto, tanto per testimoniare che in fondo in fondo facciamo sul serio, comincerò pubblicando a puntate su questo blog il «manuale di scrittura creativa» a suo tempo stampato dal Koro, - il seminario autogestito di scrittura che ha operato tra il 1993 e il 1995 - l'ormai storico (per noi, ovviamente) Scrivere in Koro.
Possibile che non ve ne facciate nulla o giù di lì. Ma è divertente e può darsi che qualcuno ne tragga un minimo beneficio. Magari evitando di prendere sul serio i nostri suggerimenti.
Per il momento è tutto.
Ma, come dice sorridendo il villain della situazione, ne riparleremo.



1.5.10

Passaggi di proprietà e altre sconfitte

C'è ancora, a cercarla on line.
Con le notizie, le attività e la storia.
Ma si tratta di una finzione. La Torre di Abele, una delle migliori, più attive, più vivaci e anticonformiste librerie di Torino è chiusa. Quando riaprirà, penso presto, sarà una grossa libreria di catena, una «Giunti al punto».
Basta un giro su internet per capire quanto contasse l'attività della Torre di Abele e quali autori fossero presentati o partecipassero alle presentazioni. Tra gli ultimi - calendario incontri marzo/aprile 2010 - Nando Dalla Chiesa, Andrej Longo, Giovanni De Luna, Giancarlo Caselli, Margherita Oggero, Luciano Gallino, José Saramago... Cosa resterà di questa attività? Difficile dirlo ora, naturalmente, anche se le librerie Giunti non sono, per quanto a mia conoscenza, così famose per la vivacità culturale.

«I reparti trainanti sono novità, varia, manualistica ed editoria per bambini e ragazzi. Ai lettori più piccoli è rivolta una parte rilevante degli eventi “in store” e delle iniziative promozionali. L'assortimento fa leva sui reparti nei quali Giunti è tradizionalmente più forte e leader di mercato. In termini di catalogo non è sufficientemente profondo per poter sostenere la posizione nel centro di grandi città. Ma è una scelta strategica.»

Questo il parere del Sole 24 Ore in un articolo
da Mark Up 175.
«Catalogo non sufficientemente profondo» significa più o meno: «teniamo solo i libri che hanno un indice di rotazione elevato. Gli altri si arrangino». Il che spiega perfettamente l'altrimenti incomprensibile «... ma è una scelta strategica».
Io riviste come Mark Up le bombarderei. A tappeto.
Poi ritornerei indietro per bombardarle un'altra volta.
Lo so, lo so ci vuole anche qualcuno che presenti le fesserie come mirabolanti avanzate dell'ingegno del Capitale, ma i giornalisti leccapiedi mi danno fastidio, non c'è nulla da fare.
E li bombarderei volentieri. Punto.
Una libreria Giunti (come una Feltrinelli, una Mondadori o quello che volete) - dicevamo - si preoccupa di tenere i libri che si vendono. E che si vendono velocemente.


Se un libro ha bisogno di tre/quattro mesi o più per emergere, beh, si fotta. Noi librai di catena abbiamo bisogno di soldi veloci e non ce ne importa un bottone assoluto dei lettori. Vendiamo sottospecie di barzellette la cui soddisfazione dura dal mattino alla sera.
E se Dostoevskij fosse venuto da noi l'avremmo messo alla porta.
Questa linea non ha praticamente nulla a che vedere con la precedente gestione della libreria.
Che ha fallito non per la dabbeneggine del direttore ma semplicemente per il drammatico aumento dell'affitto, per quanto ne so passato da 8.000 euro/mese a 15.000 euro/mese.
15.000 euro al mese significano 180.000 euro all'anno. Che con il margine dei medio dei libri per una libreria di quelle dimensioni significa dover vendere almeno tra i 500.000 e i 600.000 euro /anno solo per l'affitto, senza contare le altre spese, il personale ecc. ecc.
Quanto basta per decidere che non è più tempo di essere coraggiosi e autonomi e affidarsi a un grosso marchio, una garanzia, una speranza in tempi grami come questi.
Accettando che sia la linea del gruppo a decidere anche delle tue scelte. «Questo non lo voglio perché è stupido... no, no, pardon, me ne mandi 50 copie: farò di tutto per venderle».
Dici che non sarà così, Rocco?
Me lo auguro. Ma ci conosciamo bene, no? E conosciamo bene anche gli editori.
Insieme abbiamo fatto parecchie cose. Siamo stati librivendoli, abbiamo fondato slow book in compagnia del povero Salsano, siama stati librai indipendenti per Torino Capitale del libro, librai indipendenti per i Portici di Carta.
Tu sei anche diventato presidente regionale dell'ALI, associazione librai italiani.
Mi sento un minimo in colpa per non averti seguito ma non ho mai avuto né ho nessuna simpatia per l'ALI. Poi sono stato male, lo sai, e una volta ritornato non avevo più voglia di discutere con te che cosa fare. A essere sincero mi sono sentito un po' preso in giro. Ho avuto un pochino la sensazione di avere egregiamente fatto da quinta colonna per aiutarti a arrivare fino al desiderato trono: responsabile regionale ALI.
Miiii... Cheffigo.
Ma non ce l'ho con te, ci mancherebbe. Ma debbo ammettere che mi è bastato sapere che volevi infilarti nell'ALI perché tutte le cose che dicevi prendessero un brutto suono. Un suono un po' di fasullo, da politico. Non è una buona fama quella di politico, lo sai no? Se un collega o un rappresentante dicono di te «è un politico» è come se ti dessero dell'ipocrita, del presuntuoso, dell'avido e del pirla insieme.
Non sono mai arrivato a trovarti un politico. Un cattolico sì, pieno di fervente impegno, un ambizioso - certo, ma anche uno con belle idee e il coraggio di portarle avanti.
Io no, non sono mai stato un buon parlatore né tantomeno un comunicatore. Annuisco ascoltando i colleghi, al massimo dissento gentilmente se sparano una grossa kazzata.
Niente di più.
Ho avuto qualche idea, è vero, ma io sono un franco tiratore. O forse soltanto un saltamartino.
...
E adesso?
Non verrò a trovarti nella nuova Torre di Giunti in Abele al punto.
So che molti colleghi più o meno ufficialmente ti detestano: «Tanto casino per poi diventare un uomo di paglia della Giunti». Hanno ragione, non c'è molto da aggiungere. Ma teniamo famiglia tutti quanti e, parlando chiaro, è meglio un asino vivo di un dottore morto.
Tutto ciò che abbiamo inventato nel corso della nostra vita l'abbiamo alle spalle.
Il grosso problema è che fino a qualche giorno fa potevo illudermi che fosse possibile ridare vita alle nostre iniziative, riprendere la nostra lotta contro i grandi gruppi e le librerie di catena. Adesso, viceversa, so che sono balle.
Compreso il nostro libro, te lo ricordi?
«Da far pubblicare a Laterza. Perbacco».
Già.
Sarò sincero: temevo di doverlo scrivere per il 90% io.
Così invece è morto senza nemmeno essere concepito.
Buon lavoro, comunque.
Il migliore che riuscirai a fare. O che ti lasceranno fare.


P.S. Aggiunta in data 7.5.2010.
Non ho avuto direttamente tue notizie ma sulla storia della Torre di Abele - come saprai - girano molte voci. Tra tutte una delle più interessanti, anche se non necessariamente vera, afferma che tu sia stato «venduto» (passami la forma) insieme alla libreria in un accordo tra Gruppo Abele e la Giunti. Se questa fosse tutta o in parte reale saresti stato la vittima di una situazione imprevista e irreparabile. Da capofila dei librai indipendenti a direttore di una libreria di catena.
Non è male, vista da lontano, ma avendoti conosciuto in altri tempi mi rendo conto che si tratta di un contrappasso dantesco.
Non ho motivo per cambiare nulla di ciò che ho scritto ma sappi che ti sono vicino.