27.11.10

Piramidi e ziggurat

Ci sono poche cose più piacevoli per me di un sabato mattina passato in libreria.
Curioso, eh?
Si tratta, probabilmente, della dimostrazione che non ho ancora perso entusiasmo per il mio lavoro.
Che non è poi così scontato. Siamo al secondo anno di seguito in perdita - senza scherzi - e non so bene se sarò ancora qui tra un anno. Ma non lo dico per richiedere aiuti, compassione e possibili contributi. Non è una situazione soltanto mia, ma abbastanza generale, parlando di librai e librerie. Sono a una distanza piuttosto pericolosa dalle nuove, meravigliose librerie di catena tipo la Feltrinelli Express sistemata nell'atrio di Porta Nuova, distante da me al massimo un chilometrozzo malcontato. La libreria dove puoi trovare, penso, più o meno il quadruplo dei libri che ho disponibili qui. Anche se, immagino, non il quadruplo dei titoli. Forse il doppio o una volta e mezzo.
«Perché le librerie di catena sono molto più attente nel selezionare i titoli», dice il mio feltrinelliano superIo.
«Perché se scegliessi i libri soltanto sulla base della loro piatta probabilità di vendita sarei circondato di libri dei quali, onestamente, me ne fregherebbe meno di zero», risponde il mio modesto e scalcinato Ego, per niente normalizzato.
Quindi il sabato mattina arrivo in libreria contento di ritrovare oltre i libri che hanno qualche probabilità di vendita anche quelli per i quali la vendita è soltanto possibile. Libri inutili, temo.
Una distinzione non tanto piccola, questa.
Un libro inutile può essere un capolavoro assoluto e indiscutibile, ma che non è nato nella famiglia giusta. O è nato nella famiglia giusta - Mondadori, Garzanti, Einaudi, Feltrinelli - ma è stato dimenticato, trascurato, vilipeso e schiacciato dalla produzione «seria», ovvero dal mass-market.
Gli orfanelli, sia di malafamiglia, cioé pubblicati da editori poveracci, che di famiglia bene, si possono fiutare senza difficoltà. Hanno il nome dell'autore scritto più piccolo del titolo. per cominciare. Hanno rovesci di copertina che non gridano al miracolo, non tirano in ballo Tolstoi, Flaubert o Crichton, Stivenking e Accapilovecraft. Raccontano modestamente la trama e lasciano intuire una certa possibile o probabile originalità. Hanno copertine dai colori freddi, immagini delicate, font attenti. O copertine ipnoticamente colorate, curiose, stridenti o elusive.
Sono questi i libri che mi affascinano il sabato mattina. In quella oretta libera prima che si facciano vivi i primi clienti. Libri non immancabilmente destinati al dimenticatoio e alla resa a 90 gg. ma che cercano un lettore. Qualche volta può trattarsi di un fiasco, naturalmente, ma in genere si tratta perlomeno di un buon tentativo, di un modo un po' diverso di presentare fatti e personaggi. Sono i libri che mi danno la voglia di continuare a fare questo mestiere, nonostante il momento.
Qualche esempio?
Tre, presi praticamente a caso, Roberto Pazzi, La città volante, Corbo Editore; Jim Crace, Tutto ciò che abbiamo amato, Guanda editore; Paul Collins, Al paese dei libri, Adelphi. Ma sono soltanto tre possibili esempi su migliaia e migliaia che escono tutti gli anni.
Non è un discorso troppo serio, il mio.
Non è una curiosa critica paradossale e non intende suggerire subluminalmente titoli per il Natale.
Semplicemente cerca di spiegare e di spiegarmi perché mai a cinquantacinque anni continuo a vedere i libri come li vedevo a otto anni.
Senza una risposta ragionevole.
Quell'ora di solitudine in libreria la dedico a scegliere alcuni di quei libri, a esporli meglio, a rendere loro un minimo di giustizia. Li dispongo in modo tale che passino sott'occhio ai lettori prima o insieme agli Wilbussmith, ai Brunovvespa, ai Kenfollet, agli Ecoumberti. È possibile che lo sguardo dei lettori li salti tranquillamente - come in effetti accade (quasi) sempre - ma qualche rara volta capita che qualcuno li guardi, li prenda in mano.
Magari che giunga a chiedere informazioni.
A comprarli.
Se fossi circondato di probabili o di sicuri besseller non mi divertirei. Lavorare in una libreria sarebbe una'inutile corvée. Non è per questo che ho iniziato.
«Ma vuoi mica divertirti? Stai lavorando, checcapperi!» Sibila il mio temibile superIo.
Come sempre ha ragione.
D'altro canto, se cercassi di comprare e vendere soltanto besseller non durerei molto, carissimo superIo. Perché accidenti la gente dovrebbe venire fin qui a cercare ciò che può trovare senza fatica in un qualsiasi librificio? Ciò che incombe in artistiche ziggurat e pericolose piramidi librarie come alla Feltrinetti Village di 8 Gallery. Cinquanta vetrine e dieci titoli esposti in sessanta-settante copie ognuno: Brunovvespa ecc. come se piovesse.
Il mio ego sogghigna.
Il temibile superIo ha bisogno almeno di una mezzoretta per elaborare una risposta.
Giusto il tempo per dare un'occhiata in giro.




18.11.10

Giorni di pioggia




Uno dice: «ma per che che cosa mai ha aperto un blog? Per fare che cosa? Per dire che cosa?»
Vero.
Un blog è un diario in pubblico. E quando mai in un diario si parla di libri, lettori, case editrici eccetera? O di libri già scritti o da scrivere?
In un diario si parla di dispiaceri e di gioie. Di soddisfazioni o di dolori. Al limite si parla del tempo, in senso meteorologico. Di cose avvenute o di cose che debbono accadere.
Beh, questa volta farò così. Disserterò di eventi e fenomeni che mi riguardano da vicino.
Parlando di ciò che mi è accaduto e che merita almeno un accenno in questo diario in pubblico, parlerò del mio nuovo cane, ovvero del cane nuovo di mia figlia.
Un affare alto più o meno venti centimetri al garrese, di sesso femminile e quasi del tutto nero - escluse le punte delle zampette, bianche, e una macchia candida sul petto - ancora piuttosto timido ma parecchio curioso e del tutto incapace di sporcare dove le viene indicato.
Il padrone di un cucciolo si riconosce da lontano perché armato di scottex, glassex, alcool, detergenti assortiti per il pavimento di casa - ridotto in uno stato pietoso - e di fazzoletti di carta e sacchetti a perdere per le passeggiate. Passeggiate che debbono calcolarsi sulle funzioni fisiologiche del cane. Quindi ogni 3-4 ore (di giorno). Da notare che generalmente il mio cucciolo, anzi il cucciolo di mia figlia, tiene strenuamente tutto ciò che dovrebbe mollare per depositarlo poi in libreria o in casa. Se sgridato - cosa che avviene sistematicamente, siamo una famiglia prussiana, noialtri - si appollottola in un fagotto fuligginoso con due occhioni che diventano grandi il doppio per risvegliare l'istinto parentale di noialtri scimmioni. Basta dirgli «vabbé, lasciamo correre» perché la trucida ricominci a saltare a mordere i libri alloggiati nei piani bassi della libreria di casa. In casa ha già danneggiato in maniera irreparabile una «Storia della letteratura italiana», vol. IV, UTET editore, e in libreria ha già tentato di deteriorare l'ultimo libro di Umberto Eco. Fortunatamente non c'è riuscita, anche perché non saprei come curare un'aerofagia canina da ingestione. Libri, ma non solo. Praticamente tutto ciò che di incustodito si trovi alla sua altezza diventa sua preda. Mirra (questo è il nome alfieriano appioppatogli da mia figlia), colpevolmente da me degradata a Mira con una «r» sola - ma nome astronomico, a pensarci bene - possiede alcuni oggetti che dovrebbero indurla a rodare i denti senza combinare casini in giro. 5 dinosauri di colori assortiti, un verde, uno arancione, uno giallo, uno viola con spaghino per farglielo penzolare davanti e uno blue. Da notare che i cani i colori li vedono poco.
Un pezzo di una scaffalatura plastica di colore giallo. Nessuno tiene a sapere da dove viene.
Una bottiglietta di minerale vuota.
Due confezioni plastiche che appartennero eoni fa a due pellicole kodak.
Un orsetto di peluche con braccia e gambe fatte con uno spago ritorto.
Un mappamondo (senza asta) di gomma piena che salta esageratamente e che induce il cane a saltare altrettanto esageratamente ma con minor fortuna.
Le mie pantofole e quelle di mia figlia. Abusivamente.
Una chow-chow di tre anni del padrone del negozio accanto al mio.
Il preferito a casa è l'orsetto di peluche.
In libreria è il chow-chow. Grande, grossa e scatenata come lei.
Il cane piace ai clienti della libreria. Almeno a quelli giovani e simpatici.
Ai corrieri che portano libri, agli omoni che ritirano la carta, alle immigrate che puliscono i gradini delle case, che la salutano con frasi e parole che Mir(r)a non capisce. Ancora meno io. Però lei, almeno, scodinzola.
Ma piace anche ai passeggeri dell'autobus che prendo per andare a lavorare.
Alle signore anziane che incontro per strada.
Alle signore più giovani.
Ma soprattutto piace alle ragazze, più o meno carine. Piace da impazzire.
Ho capito che a vent'anni avrei dovuto girare con un cagnino invece che con la mia faccia troppo seria.
Avevo una gatta, prima.
E prima ancora un'altra gatta.
Dio, che signore che erano.
Adesso ho un catastrofico cane (in condominio).
Un curioso apprendistato al mestiere di nonno.



8.11.10

Non leggere




Quali e quanti siano i lettori in Italia più o meno lo sappiamo.
I lettori - di almeno un libro all'anno - sono il 45% della popolazione italiana.
A questi vanno aggiunti un 9-10% della popolazione che nel corso dell'anno hanno «letto» o consultato una guida turistica o un libro di cucina, di falegnameria, di orticoltura oppure hanno letto ciò che loro stessi per primi non considerano un libro. Un «Giallo Mondadori», un «Harlequin» o un «Urania» acquistati in edicola o al supermercato. Curiosa distinzione, questa, evidentemente acquisita anche dal lettore che si declassa e semplice semi-lettore se legge Ellroy o Vinge. Comunque, con variazioni intorno al 2-3% in rapporto agli anni, il numero di lettori in Italia raggiunge il 55%.
Ma proviamo a scavare un pochino, ciò che il libro che sto leggendo in questi giorni - Giovanni Solimine, L'Italia che legge Laterza, 2010 - permette di fare, non solo, ma anche creando e incrociando i possibili percorsi.
L'Italia, purtroppo, è tutto fuorché unita. Parlando unicamente dei lettori in senso statistico, ovvero il famoso 45% di lettori, la loro percentuale è poco sopra il 50% al Nord, sotto il 50% al centro e meno del 40% al Sud e nelle isole, con l'eccezione della Sardegna, al 49,6%.
Non solo, si legge di più nei centri urbani che in provincia. Si legge di più se si è donna (51,6% contro il 38,2% dei maschietti), si legge di più se si è giovani e, infine, si legge di più se:
- Si utilizza il computer
- Si leggono i giornali
- Si ascolta la radio
- Si praticano altre attività culturali come andare al Cinema, a Teatro, alle mostre e nei musei...
e...
- ...Si guarda la TV (anche se non per più di tre ore al giorno).
Si legge poco o niente, viceversa, se l'unico consumo culturale praticato è la TV.
Non perché la TV è oggettivamente nemica della lettura, come detto, ma perché non si è in grado di fruire di altri media più o meno culturali.
I tanto vituperati adolescenti «sempre appiccicati al computer» leggono libri (esclusi gli scolastici) per più del 60%, con una quota che, se generalizzata ci spedirebbe dalle parti dei paesi culturalmente sviluppati, mentre se fosse soltanto per i cinquantenni dirigenti, professionisti o imprenditori staremmo comodamente sotto il 50%...
Ma è possibile?
È ragionevole?
No, evidentemente.
I laureati italiani leggono (molto) meno dei loro colleghi tedeschi o inglesi. «Negli anni successivi all'iscrizione all'albo o all'avvio dell'attività lavorativa, i professionisti cominciano a leggere sempre meno», spiega Solimine. Il motivo? Non immediatamente facile capirlo: la carenza e la povertà delle attività di formazione degli adulti e di aggiornamento professionale.
Come dire che se non si è «obbligati» o indotti a leggere si tende a farlo sempre meno.
In Italia gli imprenditori non investono in formazione: «Solo il 32% delle imprese italiane organizza interventi di formazione in itinere e ci collochiamo per questo al terzultimo posto in Europa, subito (e brillantemente, N.d.R.) prima di Grecia e Bulgaria, ma dietro a Ungheria, Polonia, Romania, Portogallo, Irlanda...»
E questo è soltanto una delle assonanze tra i dati disponibili.
Come il fatto che gli italiani sono in coda alle classifiche europee per quanto riguarda gli acquisti pro capite di libri, sono in coda per l'utilizzo delle biblioteche - i cui stanziamenti sono drasticamente diminuiti negli ultimi anni, in coda nella lettura di testi professionali...
«Alle nostre spalle troviamo solo pochi paesi dell'area meridionale del continente (Grecia, Malta, Portogallo) o molto poveri come Romania e Bulgaria. […] [In più] I dati disponibili sono spesso disomogenei. Per esempio in Italia è considerato «lettore forte» chi legge 12 libri all'anno, mentre in Francia questa qualifica viene attribuita a chi ne legge almeno 20»
Germania e Gran Bretagna ci superano di un 20% (un 65% di lettori).
La Francia di una decina di punti, e si tratta di un paese paragonabile al nostro per numero di abitanti e reddito pro capite.
E, tanto per cancellare eventuali illusioni, è opportuno ricordare che la lettura di libri in formato elettronico - kindle ecc. - totalizza un 5% del fatturato librario americano - che calcolando il prezzo di partenza più basso si può considerare un 10% del totale dei libri venduti - mentre in Italia siamo ai... prefissi telefonici: 0,2-0,3% del mercato.
CHE FARE?
Bella domanda.
Si può cominciare con l'affermare che NESSUNO dei governi degli ultimi 20 anni ha fatto qualcosa per la lettura in Italia. Qualcosa di più è stato fatto a livello di amministrazioni locali, ma non è difficile immaginare che con gli interventi del ministro Tremonti anche quel poco verrà interrotto.
Viceversa servono incentivi alla formazione per adulti, iniziative di sostegno alle biblioteche, una legge sul libro che difenda il sistema di piccole e medie librerie sparse sul territorio nazionale e l'occasione e la possibilità di aprirne in tanti centri attualmente privi di librerie - tenendo conto che la diffusione della lettura viaggia parallelamente alla presenza sul territorio di punti vendita - programmi televisivi in fasce di alto ascolto dedicati ai libri e alla lettura, nuovi sceneggiati televisivi autoprodotti ispirati a saggi storici e a romanzi, biblioteche scolastiche presenti ed affidate a soggetti competenti, iniziative di sostegno alle lettura rivolte ai deboli e medi lettori - un po' sul modello del libro di Salgari a suo tempo regalato dall'amministrazione comunale di Mantova, scuole comunali di educazione alla lettura... E poi mille e mille altre idee che vengono e verranno in mente con il procedere delle iniziative...
La lettura è fondamentale per lo sviluppo di un paese. La lettura, ovvero la cultura.
Senza investimenti in cultura non è difficile immaginare quale sarà il futuro di questo paese.
Senza cultura si è indifesi ed esposti a tutte le mode più futili e idiote, ovviamente, ma soprattutto si è indifesi nei confronti delle bugie di qualsiasi governo che faccia della menzogna la propria condotta quotidiana.
È il caso di fare esempi?
Senza cultura, senza letture le parole perdono il loro significato, si sfaldano, suonano vuote e senza senso, grigie e oscure. Si ha la sensazione di essere tagliati fuori, di non riuscire a comprendere ciò che si muove. Si diventa diffidenti ma senza speranze, confusamente spaventati e aggressivi, vinti senza combattere.
Lasciarci ignoranti è un'attività che occupa profondamente diverse persone.
Non sarebbe il caso di lasciarle senza lavoro?