29.6.11

Se diario deve essere...


Il blog è un diario. 
Un diario in pubblico.
Manco fossi Musil. O Oblomov.
Ha senso pensare che un blog sia un diario in pubblico? 
Mi è capitato ultimamente di leggere diverse considerazioni in proposito qui, considerazioni che innegabilmente mi hanno fatto riflettere.  Altre riflessioni le ho trovate poi qui, nate come risposta alle prime. Di lì nuove considerazioni, riflessioni e pensieri.
Che cosa ne penso? 
Beh, non facile provare a organizzare il proprio pensiero in proposito. 
Diciamo che tutte le riflessioni lette mi hanno condotto a pensare che, in fondo in fondo, un blog dovrebbe essere - o forse può esserlo almeno per me - una stanzetta di disimpegno nel design personale della propria vita. Un luogo dove scaricare i pensieri ancora grezzi o dove provare a organizzare o riorganizzare i pensieri incerti, un luogo dove stivare e collezionare «Osservazioni poco sistematiche e riflessioni confuse di un indeciso a tutto» come giustamente ho scritto nell'intestazione del mio blog. 
Trattandosi di «Osservazioni POCO sistematiche» e «Riflessioni CONFUSE» non mi aspetto di risvegliare chissà quale simpatia o antipatia o catalizzare ferocie e appassionate convinzioni. Infatti posso contare su ben pochi insulti, contumelie e minacce in quattro anni più o meno di funzionamento di questo blog. 
«È perché non ti legge nessuno», osserva il mio SuperIo. 
Probabilmente ha ragione. Ma sul blog è passato qualche migliaia di persone. Possibile che nessuno abbia preso in esame la possibilità di dir male, dissentire, opinare a pera, attaccare a testa bassa l'autore delle riflessioni presentate? Che nessuno troll abbia preso di mira le mie pagine?
«Ma non far ridere. È perché le tue riflessioni sono povere, confuse, pasticciate e insignificanti». Di nuovo il mio SuperIo. 
Beh, non proprio sempre. 
Talvolta ho usato - anche se un po' maliconicamente - le pagine del blog per sostenere una causa che ritenevo importante.
«Chissà quanta gente hai convinto...»
Decido di ignorare l'altra metà di me. Non è facile convivere avendo un corpo e una mente unica. Ogni tanto conviene far finta di nulla. 
Allora. 
Un blog serve a seminare dubbi, ovvero a cercare di scioglierli parlandone. 
Questo non serve, temo, a mostrare che si è dei fighi nè a dimostrare che si è dei fighi. Al massimo a suscitare in chi legge - il risultato migliore, per me - un «eh sì, è successo anche a me».
Poi mi è capitato anche di divulgare elementi del mio passato, come il (tentativo di) corso di scrittura, vantare qualcosa di scritto da me, partecipare a esperienze nate altrove - Sick building house ne è un esempio -, raccontare il mio mestiere di libraio e i suoi infiniti e infinibili problemi. Dar spazio a dubbi, lasciar emergere perplessità, titolare dilemmi. Avvisare di incontri, conferenze, convegni o dell'uscita di libri editi da noi.
E mi è capitato di usare queste pagine come semplice diario. 
Né più né meno. 
E il futuro?
Non penso di lasciar perdere il blog. 
Magari cercherò di essere un minimino più puntuale. 
E credo proprio che userò davvero queste pagine come un diario. 
«Gli ultimi giorni di un libraio senza qualità», insinua il SuperIo.
Infatti. 
Magari qualcuno le troverà interessanti.

P.S.: non ignoro che L'uomo senza qualità non è un diario. Ma nel raccontare il vuoto e il nulla di una vita ha qualcosa di profondamente, intrinsecamente legato all'esercizio di scrivere un blog...






 

20.6.11

Personaggi



Non è un problema poi tanto piccolo. 
Quando si racconta una storia è quantomeno normale inserire dei personaggi, ovvero delle rappresentazioni più o meno fedeli di altrettanti esseri umani. Esseri umani ovviamente virtuali, ognuno nato da un frammento dei propri ricordi, desideri, timori, esaltazioni, aspirazioni e delusioni. Personaggi maschili e femminili, umani o non umani, reali (nell'ambito del racconto) o irreali come dei, elfi, fantasmi, psicopompi, animali parlanti, mostri, lamie, vampiri, avatar, sirene e defunti. La separazione tra questi generi di personaggi - ovvero tra reali, realistici e d'invenzione - è, naturalmente, lavoro di chi scrive. La credibilità di personaggi dichiaratamente irreali - un mostro innominabile come una fatina distratta - è legata al grado di sospensione di incredulità richiesta dal testo e in secondo luogo all'abilità di chi scrive.
Ma per il momento lasciamo perdere i personaggi irreali e i personaggi potenzialmente possibili - alieni o robot - e pensiamo esclusivamente a personaggi reali e verosimili. 
Un padre, una figlia, la sorella della moglie, un collega, un capufficio, un piccolo truffatore, un guardiano notturno, un idraulico, un transessuale soltanto nelle ore notturne e un piccolo genio che ha terminato le superiori a 7 anni. Tutti personaggi possibili, scelti del tutto arboitrariamente e con gradi di verosimiglianza più o meno alti, ma che possono rientrare perfettamente in un romanzo, poliziesco, noir, realistico o fantastico senza che qualcuno possa eccepire alcunché. 
Si può immaginare che il padre, rimasto  vedovo con una figlia a carico, si consoli la notte in compagnia del transessuale (di giorno un assicuratore imbranato) fino a quando un collega non lo sorprende all'uscita da un club privé e va a spifferare tutto al capufficio e alla sorella della moglie defunta, madre del piccolo genio. Al povero padre, calunniato e duramente penalizzato sul lavoro, non resta che andare a piangere dal transessuale che con il suo amico idraulico escogiterà una lunga serie di vendette ai danni del collega blaterone. Con la collaborazione del piccolo genio. 
Una storia a metà tra la commedia americana e la vaudeville almodovariana. 
Ma si può giocare diversamente la partita, rendendola più triste - siamo nel pieno di una crisi economica mondiale, dopotutto - o farne una sit-com da sbellicarsi dalle risate, o ancora un poliziesco dai risvolti finemente psicologici, o perfino un horror nel quale uno alla volta i personaggi moriranno in maniera atroce.  
Il problema maggiore di una storia di questo genere è il grado di credibilità che vorremo attribuire a ciascuno dei personaggi. 
Ci possiamo attenere a un grado basso di credibilità, affidando la vicenda al semplice rapido mutare di fatti, sfondi, vicende, creando un intreccio complesso e vivace, dove i personaggi saranno in definitiva poco più della loro qualifica iniziale: un pade, una figlia, un idraulico, un genio eccetera. Nulla di male in questo. P.G.Wodehouse è un ottimo creatore di questo genere di storie e, in tempi più moderni, lo è Tom Sharpe, geniale autore di vicende perfide e grottesche con risvolti sexy-comici che avrebbero fatto provocato più che qualche  disturbo nel povero Wodehouse. 
Oppure possiamo puntare a un maggior grado di approfondimento di ciascuno dei personaggi, decidendo di «staccarne» alcuni dallo sfondo. 
Possiamo stabilire di raccontare un frammento o più frammenti della vita del padre o del transex, della sorella della moglie morta o dell'idraulico. O del collega traditore e bastardo.
Da notare come raccontando la storia personale del personaggio siamo bene o male costretti e «limitarne» le possibilità. Se raccontiamo che il collega bastardo è un single con l'abitudine di andare a spiare le bambine in altalena sperando di cogliere qualche fuggevole visione delle loro mutandine, dovremo probabilmente evitare di raccontare la sua passione per la cognata del padre. Una sessualità così evidentemente infantile e immatura non può accontentarsi di una passione reale per una donna adulta. Nello stesso modo, dopo aver presentato il transessuale come un amante del tango argentino e dell'amore disperato, tanto da ospitare in camera da letto un ritratto di Kathy di Cime Tempestose con finta dedica, avremo se non altro qualche difficoltà nel dichiarare qualche pagina dopo che ama comparire in deshabillé sulle riviste per soli uomini. O facendolo, comunque, dovremo regalargli ulteriori caratteristiche.
Attribuire una storia a un personaggio lo rende fatalmente meno libero ma, d'altro canto, è il solo modo perché i lettori possano davvero affezionarsi a lui/lei e partecipare profondamente ai suoi drammi e alle sue gioie. 
Forse - ma qui un «forse» è davvero essenziale - il profilo profondo del personaggio può emergere per contrasto dalle sue reazioni, dal suo modo di agire e comportarsi, dall'interazione tra i suoi desideri e le sue azioni. Dai discorsi e dai desideri, dal suo personale e inimitabile modo di rispondere a domande banali come «Che ore sono?», «dormito bene?», «Esci, più tardi?».
Se pensate a Charles Swann della Recherche o a Leonard Bloom dell'Ulisse avrete forse un'idea (grandiosa) di che cosa intendo - faticosamente - dire. Ovviamente così agendo (o tentando di agire) ci si allontana da qualsiasi «genere» letterario per avvicinarsi alla grande letteratura. 
...
Ma forse anche nell'allineare righe «di genere» - fantascienza, horror, poliziesco - può rivelarsi necessario «entrare» nel personaggio, raccontarne la storia, le passioni, le tendenze, i sogni, i desideri, le passioni e le disillusioni. Sapere la storia - o le storie - che sono alle spalle del personaggio può aiutare (o forse determinare) la narrazione del suo presente e futuro.  Può segnare più profondamente la sua rottura col passato o riaffermare la sua impossibilità di distaccarsi da se stesso.
Perché i personaggi possono persino diventare, in qualche caso, persone.
E scrivere è anche creare altre, ulteriori vite.

16.6.11

Nuovo libro, a proposito


Qui in Piemonte sta succedendo qualcosa nella sanità. 
Qualcosa che ha a che fare con i bandi per le forniture senza gara d'appalto, i favori agli amici e agli amici degli amici, i sostegni in vista delle elezioni, le punizioni ai funzionari onesti, i legami (immancabili) con la 'ndrangheta... un insieme di fatti e personaggi - la bionda in politica, il braccio destro intrallazzone, i corrotti contenti e i corruttori intriganti e minacciosi - un insieme melmoso e maleodorante con metastasi che giungono ovunque, alla sanità ma anche all'edilizia, ai comuni, alla politica. Uno scandalo del colore azzurro del partito dell'amore e nero e sangue della 'ndrangheta. 
A noi, inevitabilmente, è venuto in mente, innanzitutto per la galleria dei personaggi coinvolti, il libro che abbiamo appena pubblicato. 
Autore - sotto pseudonimo - un docente dalla facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino e tante vicende, romanzesche solo fino a un certo punto, evidentemente imparentate molto da vicino con il mondo reale. Il mondo della «Sanitopoli», degli accordi melmosi, della politica un tanto al chilo, degli amiconi e della corruzione quotidiana, raccontati in prima persona dall'interno.
Un nuovo libro. Ambientato negli anni '90 ma, come scrive Silvia Treves nella postfazione, «un libro databile ma che non ha una data di scadenza» e con personaggi che si muovono nell'Italia dei primi anni '90.

Lo scenario di allora – più confuso e più torbido – 
è ancora il nostro. E ciò che ascoltiamo ogni mattina dai notiziari radiofonici e che leggiamo sui giornali; medesime, anche se recitate peggio e con maggiore rabbia e volgarità, le pantomime messe in scena ogni sera in TV.

Un libro giunto a proposito, come si diceva. 


14.6.11

Un piccolo vizio


Già. 
È un piccolo vizio, un'abitudine della quale non riesco a liberarmi. 
Dopo un certo numero di post sui temi più vari e generalmente legati all'attualità una luce dentro di me si accende e una voce dichiara: «Dovresti parlare di libri. Di commercio di libri. Dei libri come sono e come saranno e come non possono essere. Sei un libraio. Devi farlo»
Per qualche giorno riesco a far finta di niente ma alla fine cedo e mi siedo alla scrivania a scribacchiare qualcosa, già stramaledicendo il mio dannato superIo che mi obbliga a mettere in fila problemi, prospettive e difficoltà e a tirare conclusioni non proprio felici. 
Ma la situazione, in definitiva, com'è?
Quasi tutti i giorni mi arrivano e-mail dal gruppo liberilibrai, risolutamente schierato a favore della necessità di fissare anche in Italia un livello massimo di sconto non superiore al 5%, sul modello della legge francese, imponendo tale livello di sconto anche alla GDO e alle catene di librerie. Sacrosanto, secondo me.  
 Evitiamo, per favore, la consueta lamentazione sui diritti dei consumatori. I consumatori - i questo caso i lettori - sono una categoria sufficientemente avvertita da comprendere perfettamente quando un prezzo è frutto di un mero calcolo speculativo piuttosto che di stringenti necessità di mercato. 
Insomma, mi riservo la possibilità di mostrarvi che cosa intendo.
Ma tra un po'. 
Adesso proseguiamo con una riflessione sulla situazione. 
In altri post precedenti ho spiegato la composizione del prezzo di un libro. Qui e qui tanto per fare un paio di esempi, ma, anche se come avrete ormai capito, non sarà difficile trovare altri accenni al tema con una cadenza praticamente mensile nel mio blog. Ho una coscienza, appunto. 
Data una composizione del prezzo che prevede uno sconto intorno al 30% per il libraio, un 15%-20% per il distributore, un 5% più o meno per la società di promozione e il restante per l'editore, proviamo a immaginare che con una buona economia di scala e con acquisti condotti da un unico acquirente per un centinaio o giù di lì di medi e grandi punti vendita si possa giungere a eliminare sostanzialmente la quota del promotore e a spuntare sovrasconti nettamente superiori per il propri acquisti. Ammettiamo che in questo modo il nostro buyer arrivi a spuntare uno sconto medio del 38-40%. Da notare che si tratta di una valutazione prudenziale, nulla, infatti, impedisce di pensare a un 45% di sconto di base, tanto più tenendo conto che gli acquisti di una catena di librerie di queste dimensioni possono realmente decidere la tiratura, l'economicità o addirittura le nascita di un libro.
In sostanza la vostra catena di librerie può viaggiare con uno sconto medio nettamente più elevato di quello di una semplice libreria indipendente. 
Bisogna essere particolarmente crudeli per immaginare che la direzione di questa catena non approfitti della situazione di mercato? Che non batta ferocemente sullo sconto fino ad eliminare il piccolo concorrente? 
E anche, particolare un po' meno ovvio, che il personale - precario quanto un telefonatore per conto Vodafone  - non sia esattamente al centro delle loro preoccupazioni? In fondo con uno sconto medio concesso tanto elevato qualcuno si preoccuperà davvero che i commessi confondano l'Imperatore Bonaparte con l'antropologa Marie Bonaparte? O che ricerchino - come è capitato a uno scrittore mio amico - la Guida galattica per autostoppisti nella sezione «Viaggi e tempo libero»? 
Esiste una funzione dell'essere libraio, non troppo nota e non abbastanza sottolineata, che è quella di essere un animatore culturale. Certo non è una cosa da tutti e che per molti librai è una semplice sinecura, concependo spesso il proprio ruolo come quello di chi «riceve i rappresentanti» e «sta alla cassa», ma che ha un'importanza considerevole. Soprattutto in provincia. E nel contatto con i bambini. Esistono, pare incredibile ma è così, librai che intervengono nelle scuole e che aiutano a sviluppare l'interesse per la lettura in piccoletti dai 6 ai 15 anni. 
Come certi leggendari maestri. 
Detto da uno che, causa una patologica timidezza, deve farsi forza per organizzare poche cose... 
No, questo non è un mestiere che si possa improvvisare recuperando ex-fattorini di pizzerie da asporto o aspiranti parrucchiere in attesa di lavoro, con tutto il possibile rispetto e considerazione per queste categorie di persone. 
In sostanza la prevalenza di librerie di catena - e la diffusione di libri venduti al supermercato - è un problema, non così piccolo come potrebbe sembrare. 
La libreria di zona o di quartiere è un punto d'incontro per lettori, scrittori o aspiranti tali, docenti di ogni ordine e grado, artisti, musicisti, fotografi, disegnatori, appassionati di qualche particolare genere letterario e generici amanti della lettura. 
Persino di pensionati che passano qualche tempo in compagnia di libri che non si possono permettere.
Già, il prezzo. 
Poi ci torniamo. 
Il concetto fondamentale, che non mi stancherò di ripetere, è che un limite allo sconto praticato dai grandi punti vendita permette alle librerie indipendenti di sopravvivere (quelle che se lo meritano, ovviamente) imponendo alle librerie di catena la necessità di competere sul servizio
Non solo. 
Permette ai piccoli e medi editori di sopravvivere, evitando di scomparire tra i best-seller strapromossi nelle librerie di catena.
In sostanza si tratta di uno di quei principi regolatori del capitalismo che i nostri liberali all'amatriciana non hanno ben compreso. O che, evidentemente, non voglio capire. 
E, last but not least, la diminuzione dello sconto impone un calmiere sui prezzi di copertina dei libri. 
Ritorniamo sul prezzo, insomma. 
Prendete un libro uscito di recente. Indignatevi di Stéphane Hessel, pubblicato in Francia da Indigéne editions a 3,00 euro e in Italia da ADD editore a 5,00 euro. 
 Sul momento ho pensato che la differenza di prezzo fosse dovuta al costo della traduzione. E al costo per i diritti per la traduzione. Poi mi sono venute in mente due cose. 
1) in genere il prezzo di una traduzione viene pagato in un'unica soluzione incidendo soltanto sulla prima tiratura. In questo caso, poi, essendo il libro di circa una sessantina di pagine scritte in un francese corrente, la sua traduzione non ha costituito certo una parte notevole del su0 costo
2) stesso discorso può essere fatto sul pagamento dei diritti, anche qui in genere versati in un'unica soluzione e con un prezzo che pesa sulla prima tiratura. Dopo di ché è ovviamente possibile che tale contributo sia stato calcolato in percentuale sulla tiratura, ma si tratta di una soluzione meno usata - fidarsi dei dati forniti dall'editore straniero? - e che comunque non pesa in maniera tale da moltiplicare il prezzo di copertina di un 66%. Già, perché al di là della cifra bassa di partenza, il libro di monsieur Hessel costa un 66% più dell'edizione originale. Come dire che se - putacaso - il libro in Francia fosse stato di 200 pagine e fosse costato 15 euro, in Italia sarebbe costato 24,9 euro...
Semplice avidità di mr. Dalai, proprietario dell'ex-Baldini & Castoldi e creatore di ADD editore? 
No.
Il problema è diverso. 
Se il libro deve essere offerto a supermercati e librerie di catena con un sconto del 40-45% è del tutto evidente che sarà preferibile partire da 5,00 euro, piuttosto che da 4,00 euro, un prezzo in realtà più ragionevole in considerazione della traduzione e dei diritti.
In sostanza, il prezzo del libro è nato dalla necessità di creare una «zona grigia» nel prezzo che permetta di operare riduzioni senza rimetterci... 
Provate ad applicare a tutti i libri in uscita lo stesso meccanismo.
Ne deriva che lo sconto del 15-20-30% è in realtà pura fuffa. Un modo per bidonare i felici lettori, contenti come pasque di avere uno sconto in realtà inesistente. Un po' come il meccanismo - tipico dei mercati di zona - di vendere a 2 euro le mese con un cartello «soltanto oggi sconto del 50% sulle mele!».  
E peggio per i venditori che vendono le proprie mele a 1 euro e basta, senza sconto.
Lo sconto piace, non c'è dubbio, ma forse è il caso di cominciare a capire quando ci prendono in giro...
«Ma adesso ci sono i libri elettronici! I kindle della Amazon! I Nook di Barnes & Noble! Libertà per tutti, prezzi bassi per tutti!».
Beh, sull'argomento è il caso di ritornarci e non mancherò. 
Per il momento di limito a ricordare qui alcune (forti) perplessità sulla proprietà e sul diritto d'uso dell'e-book di Richard Stallmann, padre di GNU e della Free Software Foundation.
Volete cedere i vostri diritti per quattro lire di sconto?
Mah... 

12.6.11

Una sala da ballo...


Nuovo capitolo del romanzo Sick Building Syndrome. 
Non è che d'ora in avanti ho intenzione di rompere le tasche a ogni nuovo capitolo, tranquillizzatevi. Solo che qui appare un tipo particolare di orrore, che credo meriti  sottolineare. 
In der Sandmann (l'uomo della sabbia), di E.T.A. Hoffmann appaiono alcuni temi che poi ritorneranno molto spesso nell'horror. Tra questi il complesso rapporto tra l'orrore e l'infanzia, un genere di smarrimento strano e complesso che contemporaneamente attrae e terrorizza; il sottile ineffabile senso di un terrore onirico senza nome e senza speranza. Un orrore tanto profondo e insondabile da essere divenuto un esempio «storico» ne Il Perturbante di S. Freud.  
Nel 1821 Adalbert von Chamisso pubblica la Storia meravigliosa di Peter Schlemihl, curiosa vicenda di un uomo al quale viene sottratta l'ombra e con essa - si suppone - l'anima. Un caposaldo del romanticismo notturno tedesco. 
Ecco, il quinto capitolo non ha ovviamente la pretesa di imitare Hoffmann o di fare il verso a Von Chamisso, ma riesce egregiamente ad alludere a un universo di dolore e di smarrimento degno di un Hellraiser.  
Qualcuno riesce a immaginare l'orrore di Margherita che ha perduto la sua ombra? 
Non c'è da morire dal ridere, solo all'idea? 
Non perdetelo. 
Basta cliccare in alto a sinistra...

9.6.11

20% per un 50%+1!


È un momento nel quale chiunque si trovi nella possibilità di farlo offre qualcosa per convincere i possibili votanti ad andare a votare sperando che attraverso internet la società civile si renda conto che è buono, giusto e assolutamente necessario partecipare ai referendum (referenda, al plurale) e votare. 
Questo nonostante - o forse malignamente proprio perché - i grandi media TV di proprietà legale o illegale del nostro (poco) amato Cavaliere - ultimamente piuttosto appiedato - boicottino la partecipazione con tutti i possibili mezzi, giungendo fino a coprirsi di ridicolo sbagliando le date del voto...
Come voterete non mi riguarda, anche se io voterò sì a tutte e quattro le domande.
Il perché l'ho spiegato di recente e non mi sembra il caso di ripeterlo qui. La cosa importante è che se martedì 14 giugno vi farete vedere qui in CS, v. Ormea 69 a Torino con la ricevuta timbrata che testimonia il vostro voto per i referendum riceverete immantinente lo sconto del 

20% 

su qualunque cosa acquistiate 
e del 30% sui libri di nostra edizione. 

Lo so, il 20% non è chissachè. 
Lo so, le librerie di catena vi fanno il 30% - anche se solo su qualcosa, siate onesti - perché è sicuramente in atto un qualche straccio di campagna. 
Lo so, noi siamo piccoli e non abbiamo tanti libri e non possiamo fare più del 20 perché compriamo i libri al 27% /(quando va bene).
Lo so, le librerie indipendenti sono in estinzione e non è un'idea geniale frequentare un dinosauro vicino a scomparire.
Ma, intanto ci siamo ancora e facciamo qualcosa per sostenere i referendum. E anche per dare un nostro, piccolo contributo a buttare giù il regime Berlusconista. 
Noi vi aspettiamo per festeggiare, speriamo, o per consolarci insieme. 
In questo secondo caso noi vi offriamo da leggere, voi portate qualcosa da bere. 
Di forte.  


6.6.11

Scrivere esageratamente


Come ormai i lettori di questo blog avranno capito mi sono impelagato in un «round robin» particolarmente pericoloso, almeno per me. 
Soprattutto perché mano a mano che il progetto procede e prende corpo mi rendo conto che il concetto di fantastico - e conseguentemente di orrore soprannaturale - che ho sempre avuto non ha molto a che vedere con quello di molti altri scrivani e scriventi. 
Poco male, certo, c'è da imparare, come no. 
Solo che dubito molto di poter essere all'altezza del compito che mi sono dato.  
Personalmente ho sempre avuto un certo ritegno - non trovo un altro modo per definirlo - nel mettere sul piatto di gioco il corpo, inteso in senso letterale di corpo fisico, dei personaggi creati. Ho sempre preferito lavorare sulla mente, sulle sensazioni, sulle percezioni - più o meno distorte - lasciando intuire la sostanziale instabilità o inafferrabilità del reale, lasciando che tra realtà e percezione crescesse uno iato incolmabile. Ultimo esempio, a suo modo tipico, è il mio racconto pubblicato su ALIA Storie, la vicenda banale di un ex-arrivato, un arrogante self-made-man la cui percezione del reale si sfalda lentamente, tanto da spezzare definitivamente ogni speranza di poter ritornare a misurarsi con il mondo reale.
Storia di una malattia mentale, naturalmente, ma anche cronaca di un fallimento personale. Un modo un po' contorto - ma questo è del tutto normale per chi scrive - per esorcizzare un possibile mio fallimento. 
Nel corso della vicenda, orrorifica ma pochissimo gore lo ammetto, non scorre una sola goccia di sangue e latitano le apparizioni oltretombali. Questo perché, personalmente, subisco molto di più il fascino di ciò che accade in un altrove indefinito, piuttosto della semplice materialità dell'apparizione o dell'evento presente.
Un po' come non riesco a credere in un dio assiso nei cieli mentre non posso negare la vaghissima e remota possibilità di una sconosciuta e inconoscibile volontà non umana. 
Possibilissimo che il mio racconto e tutto il castello di conclusioni che riassume e presenta valgano meno di zero, ma tutti coloro che scrivono - e pensano, leggono ecc. - hanno una propria estetica alla quale si sforzano di rimanere fedeli. 
Ecco, il mio (piccolo) problema è che il romanzo SBS ha - almeno per il momento - preso una piega nella quale fatico a orizzontarmi. 
Ripeto: c'è da imparare, come no.
Ma non posso fare a meno di farmi alcune domande che non avrei il coraggio di fare altrove. 
Anche perché costituiscono una buona base per una discussione più ampia, che esuli dall'andamento puro e semplice di SBS.  
Prima domanda: è possibile, mantenendo un livello sufficiente di sospensione di incredulità, moltiplicare il numero di possibili vittime di una sconosciuta abominazione senza rischiare un possibile scivolone nel ridicolo? 
Orrore e ridicolo sono, come tutti avranno ormai capito, sono due gemelli che è estremamente complicato tenere separati. Qualunque scena comica nasconde in sé una possibile tragedia e qualsiasi orrore si presta felicemente a un'interpretazione comica. Temo che moltiplicare senza un motivo ben definito il numero di vittime faccia scricchiolare qualsiasi script, lasciando che il ridicolo, come un trenino all'orizzonte, si faccia sciaguratemente vivo. 
Ma il problema è forse semplicemente di formazione (mia). 
D'abitudine resisto per un quarto d'ora / mezz'ora a Saw o a Non aprite quella porta o qualsiasi altro horror cinematografico 'mmericano prima di cominciare a sbadigliare o a ridacchiare come un idiota. Mi sono formato, anche vista la mia età, su Montague Rhodes James, Arthur Machen, Algernoon Blackwood, Walter De La Mare e altri simili soggetti e ho non poche difficoltà - o forse un robusto scetticismo - ad abbandonarmi facilmente ad un horror tutto fatto di urli, schizzi di sangue e parti del corpo che volano da ogni parte. 
Troppo vicino al ridicolo, come dicevo. 
Seconda domanda: è ragionevole intervenire moltiplicando il numero dei personaggi? 
Va bene che poi buona parte di essi verrano brutalmente eliminati - con il rischio già visto di mettere in scena una versione sanguinossima di Arsenico e vecchi merletti - ma non si rischia di perdere di vista l'intera vicenda? Se un lettore comincia a chiedersi «Ma chi è questo qua?» o «Ma non era morto questo?» o ancora «Avrei giurato che questo qui fosse già stato ucciso» c'è qualcosa che rischia di scricchiolare sinistramente nell'impianto, e non parlo di quello della casa... Il lettore non deve riuscire a distrarsi, nell'horror anche più che in altri generi. Se oltre a Pippo, Gino e Amanda inserisco anche Zeppo, Dido, Chiurla, Mara, Cotta, Sbanda e altri N figuranti, moltiplico inutilmente gli enti, come ci insegna Occam, senza che la vicenda ne abbia una sostanziale miglioria. Non sarebbe il caso di tener desta l'attenzione del lettore su pochi personaggi, evitando feroci mattanze e massacri notturni?  
Terza domanda: aggiungere nuovi orrori in altri ambienti e situazioni è utile per il prosieguo della vicenda? Moltiplicare fantasmi e apparizioni anche fuori dall'ambiente scelto è utile o si rischia di «buttare tutto in caciara», senza riuscire a tirare poi le redini di un grottesco crescente (e incontrollabile)? 
Quarta domanda: è ragionevole e pensabile che un personaggio «scompaia» davanti agli altri lasciando sul posto parti di sé (del suo corpo), come spedito affrettatamente da una malfunzionante macchina per il teletrasporto? 
Non è un po' «eccessivo»? 
O, volendo essere sinceri, non è un po' ridicolo?
Nell'horror nipponico, che ho frequentato con un interesse decisamente superiore a quello tributato al suo fratello americano, la scomparsa di un personaggio avviene in pratica sempre fuori scena o quando il personaggio è solo. Dopo di ché sono gli altri personaggi a cercarlo e infine a ritrovarlo, in genere morto atrocemente dopo essere stato terrificato ben benino. 
...
Soltanto quattro domande, lanciate a chi mi legge.  
Che, a ben vedere, trasportano nel campo della letteratura fantastica interrogativi che appartengono a tutta la narrativa. La coerenza, la credibilità, l'intima concordanza e la solidità, l'inequivocità di luogo/luoghi, lo spessore e la credibilità dei personaggi si possono trovare in S. King come in L. Tolstoi.
Tengo a chiarire, comunque, che non sono mosso da motivi polemici e che continuo a seguire SBS con immutata e immutabile fedeltà. Quando sarà il mio turno farò la mia parte - per il momento impossibile anche solo immaginarla - sperando che i fili del romanzo siano ancora ragionevolmente distesi e afferrabili. 
Sono del tutto pronto a sentirmi rimproverare di essere un vecchio barbogio e petulante, di avere un concetto di horror e di fantastico degno del principe di Metternich e che il mio concetto di terrore soprannaturale sia degno di Mélies o di Ridolini. 
Possibilissimo che mi sbagli.
Non chiedo altro che di essere - con argomentazioni ragionevoli - smentito e sbugiardato.

1.6.11

Sick Building Syndrome



È on line il primo capitolo del romanzo a più mani «Sick Building Syndrome», ovvero la Sindrome dell'edificio malato [SBS].
In italiano suona indubbiamente meno bene, innegabile.
Il primo a scrivere è stato l'ideatore del progetto, Davide Mana. Seguiranno altri 23 autori. Il mio posto, se non mi sbaglio, è il 15. Ovvero tra 45 giorni se il termine di tre giorni per la consegna è rispettato da tutti coloro che mi precederanno. Più o meno a metà luglio. Quando fa un caldo becco e immaginare di muoversi in una casa fredda, buia, maleodorante e umida è decisamente complicato.
Ovviamente è troppo presto per commentare o dare un giudizio su ciò che è apparso finora. E probabilmente tale sarà fin verso la metà del romanzo. Teniamo conto che SBS è un romanzo horror e quindi è normale e consueto attendersi una crescita lenta, a spirale della tensione, a «giro di vite» come sostiene Silvia Treves - parafrasandro Henry James - con improvvisi  «scatti» via via che l'innominabile prende forma. 
Personalmente non mi ritengo particolarmente abile nell'immaginare storie horror - e questo è perlomeno un eufemismo - ma confido sul talento di coloro che mi precederanno. 
Per il momento la domanda è: «Che cosa c'è al piano superiore?»
Non male, per un'horror novel.  


Invito tutti coloro che passano da questo blog a leggere e a sostenere il progetto SBS che potete trovare qui
Qui, oltre al link alla pagina del progetto, potrete eventualmente commentare il procedere del romanzo - anche se è ovviamente preferibile farlo direttamente sulla pagina di SBS - criticare, deprecare, aborrire e detestare. O anche, perché no, apprezzare. 
Noi 24, comunque, faremo tutto il possibile. 
E anche l'impossibile.