4.7.11

Quando il gioco si fa duro...


È di questi giorni l'appello della rivista L'Indice per salvarla dalla chiusura definitiva.
Un'emergenza per il momento rientrata grazie a una «sottoscrizione [che] ha avuto grande successo, anche sulla spinta di una parte qualificata dei media (soprattutto Rai Tre e il "Corriere della Sera"). Ci sono stati gesti importanti di solidarietà come quello della rivista "Satisfaction" che ci ha offerto una delle sue pagine che intendiamo contraccambiare» ma che, come giustamente rileva l'home page della rivista «Per essere fuori pericolo, occorre un’altro grande sforzo collettivo. Invitiamo tutti a usare al meglio la rete, diffondendo l'appello sottostante.»
Quindi leggete e, se lo ritenete giusto e ragionevole, contribuite alla salute della rivista, anche solo acquistandola. 
Sbrigato ciò che potrei descrivere come il mio dovere, provo ad articolare in modo un po' meno telegrafico il mio personale punto di vista non solo sull'Indice ma anche su ciò che sta accadendo intorno al mondo dei libri. 
L'Indice non ha mai navigato nell'oro, questo è un dato di fatto. Una rivista «che ha allineato in 26 anni di vita ben 37.500 recensioni» ma che non ha mai goduto di una salute ferrea. Nata con il merito - e l'onere - di rappresentare un punto di vista autonomo e indipendente sulla produzione italiana di libri; attenta, probabilmente fino all'eccesso, al grado di comprensione e intellegibilità dei libri presentati, tanto da sostenere che le recensioni di libro stranieri potevano essere considerate unicamente se presentate da lettori delle edizioni in lingua originali e con un'attenzione quasi ossessiva al punto di vista accademico e alle opinioni cattedratiche. L'Indice, in sostanza, nelle sue prime pagine rappresentava l'aspetto migliore dell'universo accademico nazionale, anche se necessariamente vincolato a dare spazio a conflitti, ruggini e rancori tra dipartimenti, istituti e facoltà, di interesse ovviamente molto relativo per i semplici lettori. 
Altra caratteristica dell'Indice, in questo caso un elemento a mio parere decisamente meno positivo, il disintesse più o meno totale per la realtà economica e produttiva del libro. Un disinteresse dai risvolti talvolta quasi divertenti, che spesso provocava una curiosa miopia nei giudizi e nelle considerazioni di redattori e recensori. Basti pensare all'attenzione degna di miglior causa dedicata ai premi bancarella o Strega... La realtà economica del libro, necessariamente un po' volgarotta, non ha mai suscitato più che tanto interesse tra i redattori de L'Indice, che hanno finito per suggerire un universo del libro disincarnato ed etereo, dove i libri nascevano grazie a passioni e interessi sostanzialmente estetici ed artistici, senza prendere in considerazione il parere di alcuni (Schiffrin ecc.) per i quali sempre più spesso a decidere della pubblicabilità di un libro era il direttore commerciale piuttosto che quello editoriale.
Tutte caratteristiche queste che noi di LN - passo temporaneo a un «noi» redazionale – abbiamo tenuto in debito conto. Qualche volta sforzandoci di seguirle, più spesso dissentendo educamente, ma avendo comunque in mente i criteri - per noi più o meno accettabili - del «grande» Indice. 
Adesso che LN è in crisi (come la libreria che ne è l'editore, peraltro) come lo è l'Indice viene spontaneo chiedersi se la radice di tale crisi non sia, in realtà, da cercare proprio in quella maledetta disattenzione a ciò che potremmo marxisticamente definire «la forma di produzione del libro». 
In questi ultimi anni la profezia enunciata già nel 2000 da André Schiffrin nel suo Editoria senza editori è diventata di strettissima attualità. Con un mondo editoriale ormai largamente in mano - più o meno l'80% - ad amministratori che non hanno alcuna affinità né possono vantare una qualche provenienza dal mondo del libro, con una produzione editoriale che vive ormai di best-seller predeterminati e prefabbricati, la funzione delle riviste di recensioni vive un momento di profondissima crisi. Recensire i best-seller, scritti con una lingua anonima e seriale, è ora come è sempre stata, pratica sostanzialmente inutile. Riferire e recensire libri usciti in un momento di crisi economica (di nuovo l'economia, maledizione!), quindi bene o male nati e scelti cercando di inseguire i gusti di un pubblico sempre più disattento, è nuovamente un esercizio stancamente inutile. Che cosa resta, allora? I libri pubblicati da editori di frontiera - editori «veri» come e/o, Minimum Fax, ISBN, Saggiatore e altri - che si sforzano di valorizzare autori e temi meno sfruttati, autori che non (ri)scrivono per l'Nsima volta il thriller truculento, il noir surgelato, il vampiro educato e galante, il fantasy campestre. Editori che, tuttavia, faticano a trovare uno spazio ragionevole nelle librerie. In quelle di catena perché vincolate a regole ferree di produttività per centimetro quadrato, in quelle indipendenti perché cercano disperatamente di sopravvivere, svendendo onore e orgoglio. 
Non troppo diverso il panorama per quanto riguarda la saggistica. 
Venuta meno la storia recente per raggiunti limiti di età di autori e lettori, storia, psicologia e scienze vengono masticate, digerite e ripresentate in forma ultradigeribile da uno sterminato nugolo di alberonidi che, come le mosche, sono ovunque e crescono e concrescono felicemente su un rumore di fondo che copre e confonde notizie e riflessioni. 
Mi basta ripensare a S.J.Gould e a Shirer per capire dove ci troviamo ora... 
Anche qui non mancano gli editori «seri» (Codice, Sironi, Dedalo, Donzelli, Cortina, Orme, Carocci solo per citarne alcuni) che si adoperano a diffondere e costruire importanti riferimenti storici e scientifici nel deserto comunicativo che ci circonda. 
Ma il problema maggiore è che ormai è la stessa cultura in forma di libro, venduta a prezzi onestamente eccessivi, ad avere il fiato corto. I libri non possono resistere a lungo a un mercato così chiaramente «drogato» da prezzi ormai fuori dall'orizzonte degli eventi per milioni di persone. A una crisi economica che ha massacrato il portafoglio e le speranze di milioni di persone non si può rispondere aumentando ogni anno il prezzo dei libri di un 4-5%, in cambio della promessa di sconti stratosferici. Gli sconti altissimi, che soltanto i grandi gruppi editoriali possono proporre e sostenere, segnano la morte per tutto il sottomondo di piccoli e medi editori «di proposta», come li chiamava Alfredo Salsano, e la distruzione del mondo di librerie locali diffuse sul territorio.
Questo, sia pure necessariamente ridotto ai termini essenziali, il panorama nel quale l'Indice (e anche LN) si trovano a tentare di sopravvivere. Un mondo dove il tessuto formato da librerie indipendenti, autori ingenui e volenterosi, bancarelle a metà prezzo, consigli, discussioni e innamoramenti, insomma tutto l'universo librario con il suo aroma di libri e di parole, dove è nato l'Indice e dove io stesso mi sono formato, si va sgretolando e rischia di svanire definitivamente.
Dappertutto tranne che in un solo luogo.
Già, internet. 
Per il momento ancora il luogo dei libri virtuali, delle speranze da verificare, degli esperimenti e delle invenzioni. Ma anche l'unico luogo dove si può scrivere anche senza un editore. E senza esibire un Nome. 
Dove il substrato delle idee non si presta a campagne di sconto e a silenziosi e massicci rincari.
Non è ancora facilissimo farsi pagare - anche per l'abitudine di molti navigatori al «free» a tutti i costi - ma è forse possibile pensare di trasferire una rivista e una casa editrice on line. 
Forse è vero che «Quando il gioco si fa duro, i duri cambiano il luogo dove giocare...» 



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