26.10.11

Una giornata come tante


«Tu fai il libraio»
Esatto.
Ci sono vari modi di sbarcare il lunario e io lo faccio vendendo libri. Ci sono lavori peggiori e lavori migliori. Per migliori si intende qui: «che danno un'entrata certa e ragionevole», per peggiori, per quanto mi riguarda, quasi tutti quelli che mi vengono in mente.
Però anche così ci sono momenti difficili. 
È appena entrata una studentessa che cercava il libro di Chimica «fotocopiato». 
Non è stata la prima e certo non sarà l'ultima.
Il primo impulso è semplicemente quello di metterla alla porta, ma poi mi sono fermato e ho provato a ragionare. 
E il ragionamento lo potete trovare qui di seguito. 
I libri universitari sono costosi, non c'è dubbio. Anche troppo. Quelli per le facoltà scientifiche anche di più E anche il piccolo sconto offerto dalle librerie è poca cosa rispetto all'apparente megasconto costituito da un libro in fotocopia. «La copia anastatica di un libro», come l'ha chiamata un studente ignoto e farlocco.  
Esempio: libro di chimica di 800 pagine, euro 53,00. Fotocopiato: 800 x 0,03 = 24 euro. Quasi 30 euro - circa sessantamila lire - in meno. 
È pur vero che il libro fotocopiato fa abbastanza schifo, che le molecole senza i colori risultano solo faticosamente comprensibili, che la rilegatura a spirale taglia i fogli e che alla lunga il «libro» comincerà a perdere le pagine e sarà buono da buttare e che portarselo dietro a lezione non è così facile, né raccomandabile se il docente è anche uno degli autori, eccetera. 

Resta il fatto che l'avete pagato ben 30 euro di meno. 
Sono stato studente anch'io, detto per inciso, e ricordo di aver studiato anche su libri usati. Meno me ne fregava della materia in oggetto più ci mettevo convinzione nel cercare il tomo usato. Anche molto, usato. Qualcosina l'ho anche fotocopiato. Ricordo un centinaio di pagine fotocopiate dal glorioso Lehninger di biochimica a completare il testo canonico. Era bello, il Lehninger. A un certo punto lo comprai. Era faticoso, l'esame di biochimica. E il Lehninger mi piaceva davvero. 
Costava, se mi ricordo bene, più o meno trentamila lire. 
Mi rendo conto che provare a spiegare a qualcuno che esiste una sostanziale «eleganza» nella biochimica metabolica e ci sono libri capaci di rappresentarla si rischia di essere ricoverati come pazzi scatenati, ma è proprio vero. 
In sostanza: «come cazzo si fa a fotocopiare un libro senza sapere quanto vale?»
Non ne faccio un problema di disponibilità della famiglia. Per carità. L'università è diventata (troppo) costosa, tanto che adesso ci sono anche i genitori a premere per «risparmiare qualcosa sui libri, a comprarli usati o fotocopiati». Ma i libri non sono - o non dovrebbero essere - semplicemente un insieme di nozioni da ingoiare di corsa fino al giorno dell'esame e da dimenticare il giorno dopo.
I libri sono un discorso, un approccio, una visione del mondo. 
Focopiandoli si rischia, seriamente, non solo di impoverire le case editrici (che va bene, in qualche caso se lo meritano), ma di far aumentare il prezzo del libro - tiratura più bassa = aumento del prezzo di copertina -, prendendo a prestito senza pagarlo il lavoro di autori, traduttori, correttori e tipografi. 
Vi terreste una bicicletta del comune? 
Uscireste da una pizzeria senza chiedere il conto? 
Lo so, non è un concetto così facile da comprendere, ma sono convinto che se da un lato esistano libri che «dovrebbero esistere» esclusivamente in forma di fotocopia - fotocopie viventi, in sostanza - e che potrebbero senza problemi essere scaricati via internet, d'altra parte esistono libri che meritano un po' di sacrificio. Che meritano di rinunciare al prossimo cocktail o alla prossima birra - non è un'invenzione, ho una figlia matricola - per poterli possedere. Che forniscono non soltanto nozioni ma anche un sistema di riferimento per gestirle, comprenderle, assimilarle e farle proprie. 
Certo, anche un libro fotocopiato può svolgere la stessa funzione, ma... riuscireste a tagliare la corda dalla pizzeria se conosceste e stimaste il pizzaiolo? 
E una volta che il pizzaiolo avesse chiuso per fallimento, dove andreste a mangiare la sua leggendaria pizza ai funghi, melanzane e speck? 
Ma ciò che mi colpisce davvero - abbiate pazienza, sono un candido - è la bella faccia da sberle esibita da alcuni studenti, per lo più, faccio notare, con evidenti mezzi per sopravvivere a questa ed altre crisi. Come se uno andasse in giro tutto furbo e soddisfatto per aver fregato una bici o non aver pagato il conto. Il tipo di aria furbetta da un Lavitola qualunque. 
Aggiungete, infine, la mia scarsissima simpatia per gran parte per le copisterie, spuntate come funghi nella zona universitaria, spesso dotate di una professionalità vicino allo zero e che tirano avanti vendendo libri fotocopiati stampati altrove e che li stivano nei dintorni della fotocopieria, anche nel retro di un negozio di parrucchiera (vita vissuta...). 
Credo che faccia parte dell'essenziale disonestà di questo paese «fare i furbi» e non pagare il dovuto. 
E presentarsi con una bella faccia da pirla a chiedere, in libreria: «Avete mica libri fotocopiati?».
«No, però possiamo vendertene uno da fotocopiare». 
Mi consola un pochino pensare che in futuro il libro universitario passerà in gran parte da internet. 
Se finirò sotto un ponte, avrò a farmi compagnia tutti i fotocopiatori della zona.


21.10.11

Ma perché li regali?


Qualche tempo fa - più o meno nel corso del mese di settembre - ho pubblicato un paio di e-book, Coralinda e Luna lontana. Si tratta di testi inediti che, nel caso di Coralinda, ho offerto a un paio di editori con esito nullo e che quindi non ho avuto difficoltà a offrire alla lettura gratuita. 
Mi hanno chiesto: «Perché li regali? Perché non riprovi? Non hai sottomano un paio di rappresentanti editoriali a cui rifilarli? Non hai un ricco carnet di numeri di telefono al quale ricorrere? Non conosci altri scrittori ai quali affidarli?»
Beh, proverò a rispondere a tutte queste domande, anche senza rispettare strettamente l'ordine nel quale mi sono state poste. Risponderò anche per aprire una discussione sull'antico e mai esausto tema della pubblicazione che, poco o tanto, mi ha toccato, sia come editore alle prese con turbe di autori che cercano uno sbocco purchessia alla loro pubblicazioni, che come autore assai poco calcolato dal mondo dell'editoria maggiore.
...
«Perché li regali?»
Mi rendo conto che regalare un testo, frutto di lavoro, è come mettersi sull'angolo di una strada a eseguire brani musicali con un piattino o un berretto rovesciato posto davanti a sé, confidando nella bontà di chi passa casualmente. Ma, d'altro canto, arriva un momento della propria vita nella quale ci si stanca di contemplare i propri cassetti pieni di manoscritti più o meno ignorati e si desidera di saperli per lo meno in mano a qualcuno, anche se magari per dimenticarsene due minuti dopo averlo scaricato o per poterne ridere leggendone ad alta voce brani scelti agli amici. 
Pubblicandone un paio - da notare che si tratta comunque di una porzione ridotta dei «miei scritti» - ho se non altro fatto calare un pochino la pila dei testi in attesa di pubblicazione. 
Quanto alla possibilità di pubblicarlo in quanto CS_libri, beh, la pubblicazione in formato e-book non esclude la pubblicazione in formato cartaceo, quindi se la CS (che, ovviamente, non coincide con me stesso) dovesse decidere di pubblicarli, la partita rimane sostanzialmente aperta.
E in ogni caso sapere di avere una pattuglia di lettori «personali» è un ottimo balsamo per il proprio ego.
...
«Perché non riprovi?»
Complicato rispondere. 
Ma forse nemmeno troppo.
Sono semplicemente un po' stufo degli editori italiani. Bravi o così così, generosi o micragnosi, attenti o arruffoni. Un po' stanco di incontrare sulla mia strada editor (più o meno) capaci che, facendosi scudo delle esigenze di un pubblico di lettori più o meno vasto, mi risponde che «no grazie, il suo testo non ci interessa». 
È probabilmente un po' puerile reagire dicendo: «E a me non interessa il vostro disinteresse», ma lo stato d'animo che mi ha spinto ad autopubblicarmi è più o meno questo.
Sono sicuro che il mio atteggiamento non pesi per nulla nel generale bilancio culturale italiano, ma sinceramente la cosa non mi turba nemmeno un po', regalandomi la sensazione - va bene, un po' volatile - di aver saltato un'interrogazione.
In ogni caso un romanzo per ragazzi di gusto urban fantasy e un romanzo breve in puro stile sf «Space opera» non hanno mai avuto molte possibilità di trovare qualche editore entusiasta... C'è la crisi e non è certo il momento nel quale lanciare un nuovo autore. Oltretutto uno che ne sa fin troppo di diritti, commercializzazione, vendite e rese.
No, no per carità.
...
«Non hai sottomano un paio di rappresentanti editoriali a cui rifilarli?
Già fatto, rispondo. 
Coralinda, per fare un esempio, è stato affidato in tempi diversi a due rappresentanti editoriali che normalmente frequentano la libreria. Disgraziatamente i rappresentanti fanno parte dell'universo commerciale del mondo dell'editoria e non di quello puramente editoriale e tutto ciò che proviene da loro è di norma semplicemente ignorato da un editor appena serio. I librai non possono essere anche scrittori, a meno che non siano poveri faticatori o ignoti fattorini che il mondo editoriale ha sempre disprezzato, dei poveri cenerentoli che il libraio egoista e misantropo non ha mai preso in considerazione e che soltanto un abile e consumato editor può valutare.
...
«Non hai un ricco carnet di numeri di telefono al quale ricorrere?»
Certo.
Ma non è simpatico farsi vivo con un editore lasciando cadere distrattamente un «lo sai che ho scritto un romanzo?»
No. Non si fa. 
E comunque è necessaria una faccia di bronzo che non ho mai posseduto.
Al massimo si può inserire un proprio libro - in forma di testo già edito, ovviamente - in un pacchetto indirizzato all'editore in oggetto, sperando che non lo butti via e che prima o poi gli getti un'occhiata. 
Cosa che finora non è ancora accaduta. O che, se è avvenuta, non ha avuto reazioni. 
D'altro canto in genere un editore - parlo per la mia piccola esperienza - ha bisogno di tutto meno che di un giovane o meno giovane autore in cerca di fama e notorietà. Gli editori generalmente detestano gli autori e vogliono avere a che fare con loro il meno possibile. E non scherzo. 
...
«Non conosci altri scrittori ai quali affidarli?»
Ne conosco, certo.
Con alcuni ho un rapporto di frequentazione quasi quotidiano perché forti lettori, con altri un rapporto meno frequente ma comunque vivo e vitale, con altri ancora un buon rapporto epistolare. Ma anche in questo caso chiedere loro di presentare un proprio testo in casa editrice assomiglia un po' a chiedere loro se amano farsi appendere a testa in giù prima di far l'amore o se la loro signora ha l'abitudine di ruttare. 
È bene specificare, comunque, che gli scrittori che conosco e stimo non sono autori da centinaia di migliaia di copie a ogni uscita.
E comunque se pure gli rifilo volentieri i miei testi da leggere non chiederei mai loro di sostenerli, raccomandarli o proporli. Li dò da leggere per il piacere di farlo, accolgo commenti e osservazioni e li ricambio con commenti e osservazioni ai loro testi se mi vengono richiesti... e basta. 
...
Probabile che, a questo punto, emerga il dubbio che, semplicemente, io non sappia scrivere. 
Il ché è perfettamente possibile, ovviamente. 
Ma che non è del tutto la verità, dal momento che qualcosa l'ho pubblicato e un paio di premi li ho portati a casa. 
Più probabile che io sia:
a) un individuo dotato di un orgoglio inumano, che si farebbe torturare piuttosto chiedere favori, pur essendo disponibile a farne.
b) un soggetto impaziente, ombroso, intollerante e sarcastico che non riconosce le altrui competenze, rischiando di non riconoscerle persino quando sono giuste e sacrosante. 
c) un soggetto che ha già un lavoro e scrive per il puro piacere di farlo, permettendosi il lusso di snobbare il mondo che pure gli dà da mangiare.
d) uno scrivente fissato a scrivere un genere di testi che chiunque abbia un minimo di cervello non leggerebbe mai. Un uomo disgraziatamente demodé che continuerà a scrivere fantascienza anche se ipoteticamente spedito nel medioevo da uno scherzo temporale. 
e) uno sciagurato che pur non avendo fatto studi umanistici si sforza di lavorare su un terreno che conosce poco.
f) un povero disgraziato che non comprende che in questo momento il talento letterario è la cosa meno importante del mondo. Meglio, molto meglio essere un giovane diseredato ex-black bloc, un'ex-cubista ora scrittrice impetuosa e amara, un vecchio signore che mette in scena una giovane commissaria di polizia delusa (delusa lei, non la polizia) o un ex-profiler divenuto mercante d'arte e fine gastronomo. 
O un fattorino di libreria ecc. ecc.
Che tutto ciò abbia o meno a che fare con la letteratura non è minimamente importante. L'importante - anzi il fondamentale - è un titolo sparato nel settimanale di cultura in omaggio con il quotidiano nazionale.
Ma qui si rischia di andare un po' troppo vicino al mio vero lavoro. 
...
Non ho la minima intenzione di demotivare nessuno, sia chiaro. È probabile che avendo sufficiente testardaggine, un certo talento genuino e non poca fortuna possiate riuscire a emergere. 
Se non riuscite, però, non demoralizzatevi. 
Possibile che semplicemente vi sia mancata la fortuna. O un po' di talento. Tenendo conto che il talento non è soltanto un dono di natura ma può emergere ed essere fortificato con l'esercizio. 
Già, l'esercizio. 
Ciò che lavorando non è facile - o è impossibile - coltivare.
In ogni caso il talento non è ciò che riconoscono le scuole di scrittura creativa. La scuole di scrittura creativa possono insegnare - quelle che non si limitano a succhiarvi una certa quantità di denaro - la forma dell'essere scrittore, la puntualità, la serietà, la stringatezza. 
Tutte cose importanti, senza dubbio.
Ma non il talento.
Per il momento, comunque, vi consiglio di autopubblicarvi. Male non fa, negli States e in altri paesi dove si legge davvero è diffusissimo e con un po' di fortuna permette di ricevere i pareri di veri lettori.  
Che è già moltissimo, giuro.




19.10.11

Compito eseguito


In calce al capitolo 2 di Sick Building Syndrome potete trovare le mie cento parole
Probabilmente a qualcuno verrà il dubbio che abbiamo deciso di prendere di mira il capitolo 2, ma non è così.
Semplicemente, per quanto mi riguarda, mi ha colpito un personaggio molto secondario ma in qualche modo significativo. Parlo di Armida, un «fantasma» che appare brevemente sibilando oscure minacce che non riuscirà a realizzare.  Un personaggio nel quale un'apparenza brutale e volutamente ributtante cela un tenace e inguaribile rimpianto.
Un «ottimo» fantasma, credo, al quale ho tentato di regalare un piccolo passaggio in prima persona.

13.10.11

100 e non più


Altra proposta oscena o giù di lì di Davide Mana, eminenza grigia alle spalle dell'osceno progetto «Sick Building Syndrome».
Questa volta si tratta di «aggiungere» un contributo personale a un brano altrui, la famosa «scena tagliata». 
Cento parole, non una di più.
Ovviamente non è affatto facile. Sia perché si tratta di imitare uno stile non proprio, sia perché i tempi di quasi tutti i contributi a loro tempo scritti sono piuttosto stretti e ravvicinati. In fondo il primo giro prevedeva un massimo di 1.500 parole che, come ognuno immagina, non permettono di scialare e di dedicare, per esempio, cinquecento parole a descrivere il paesaggio e l'ambiente o lo stato d'animo corrusco e ombroso di Armida o di Stefano.
Cento parole sono poche, non c'è dubbio. 
Basta dire che fino alla parola «dubbio» di questo post erano già 126...
Ma perché mai un ultracinquantenne, carico di cose da fare, occupato in libreria dalle 9.00 alle 19.00 in pratica tutti i giorni e talvolta anche la domenica o la sera, dovrebbe dedicare tempo a scrivere un oscuro passaggio che non gli frutterà nulla di nulla né in termini di denaro né di fama?
Bella domanda.
Proviamo a cambiarla un pochino. 
Perché esiste gente che dedica tempo e fatica a giocare a poker? Chi glielo fa fare, tanto più che si rischia di perdere dei soldi? 
Ecco, scrivere è una piccola maledizione della quale è impossibile liberarsi. Costa tempo - rimediato dove capita e come si può -, fatica, molto impegno e molto difficilmente li ricambia anche solo in minima parte. 
Come il poker, appunto, dove è difficile arricchire, a meno di non barare. 
Eppure...
A questo punto avrete capito che ho intenzione di partecipare anche a questo giro del Round Robin. 
Rilancio, insomma, immemore e incurante del fatto che la vita è breve e la salute anche di più.
Quando avrò postato il mio contributo, lo saprete su queste pagine, oltre che su quelle di Sick Building Syndrome.  


  

11.10.11

Dopo i Portici

Anche questa volta ce l'abbiamo fatta.
Ci siamo alzati intorno alle 7.00 il sabato per arrivare a predisporre il banchetto in tempo. 
E alle 8.00 la domenica per lo stesso motivo, dopo aver presidiato il nostro piccolo ridotto fino alle 23.30 del sabato. 
Lo so, avremmo dovuto presidiarlo fino alle 24.00, ma la latitanza dei possibili clienti ci ha spinto a tagliare la corda un po' prima. 
I Portici nel loro insieme avevano questa apparenza: 

 Una lunghissima serie di banchi carichi di libri, in sostanza.

Più o meno frequentati. E più o meno visitati.
«Rispetto all'anno precedente...»
In questi casi è normale e praticamente automatico fare paragoni, valutare se si è perso o guadagnato in presenze, se si sono venduto più o meno libri. 
Se si è guadagnato qualcosa.
Beh, beh...
I portici 2011 non passeranno certo alla storia per l'affollamento, di visitatori, di espositori, di ospiti, di scrittori, critici ecc. 
Anzi.
Si è trattato di un'edizione un po' «scura» o «buia»...

... E non soltanto per il ritardo nell'aver acceso le luci la domenica sera, ma perché povera di autori e povera di librai. 
È pur vero che la libreria Mondadori di Via Viotti (che non partecipava ai Portici) ha affisso uno stupendo manifesto che recitava «In occasione dei portici di carta, sconto 15%!!!», ma a parte le barzellette di sapore berlusconiano, è evidentemente diminuito il numero di librai presenti. 
Economicamente defunti? In coma? Con la testa nel cappio? 
Difficile dirlo, fatto sta che i mitici due chilometri di libreria si sono intrinsecamente ridotti, lasciando più spazio tra un libreria e l'altra e facendo partire la sfilata delle librerie qualche metro dopo l'angolo della via.
In ogni caso non si può dire che non ci fosse nemmeno un cane, nonostante il poco o pochissimo che ha fatto il comune di Torino.
Né che mancassero personaggi decisamente particolari. 



Il pubblico e anche chi lavorava ai banchetti non ha perso il buonumore, 


I Portici sono, nonostante tutto ciò che (non) si fa per difenderli e promuoverli, una manifestazione importante per Torino. Anche più di altre pompatissime e finanziatissime iniziative, ipoteticamente rivolte ai lettori.
...I soliti quattro, peraltro. 
Rocco Pinto ha dichiarato ieri, in un'intervista a La Repubblica, che sarebbe bene che i Portici divenissero una sorta di Salone d'autunno. Questo per evitare che, un po' per volta, impallidiscano fino a svanire.
Personalmente ho poca simpatia per il Salone e credo che il suo rapporto con i libri sia più pacchiano ed esibizionista che realmente efficace, ma capisco che per ragionare con gli enti locali è necessario fare riferimento a progetti che hanno avuto successo, per lo meno mediatico.  
Sicuramente nella prossima edizione, nei fantomatici Portici 2012 sarà bene che la segnalazione dell'evento parta almeno quindici giorni prima, che i volantini con gli eventi e la posizione tematiche (QUI narrativa, QUI letteratura tradizional, QUI spiritualità, QUI scienza) siano pronti in modo da poter essere distribuiti in libreria. Ma anche sulla metropolitana, negli uffici pubblici, nelle biblioteche, nei teatri ecc. ecc. 
Perchè lo vedano giovani, tanto per dire...


 E «pronti» non significa che ci sono il venerdì mattina quando la manifestazione comincia il sabato...
Perché col tempo si rischia di disaffezionarsi. 
Di stancarsi. 
Di mandare al diavolo comune, provincia e regione. 
...
In ogni caso arrivederci ai prossimi Portici.
Speriamo.







5.10.11

La Libreria più grande del mondo (?)


L'8 e il 9 di ottobre, ovvero questo week-end, ci sarà la nuova edizione de «I portici di carta», rassegna libraria inventata dai librai torinesi e giunta alla sua quinta edizione. 
Di che cosa si tratta?
Sostanzialmente di un mercato librario all'aperto, alloggiato sotto i portici di Via Roma, ovvero nelle «vasche» del passeggio festivo e semifestivo pomeridiano a Torino. 
Un «mercatino» di considerevoli dimensioni, ovvero un paio di chilometri - più o meno - di bancarelle con romanzi, saggi, biografie, manuali, pamphlet, interventi, trattati, ebdomadarii, enciclopedie, riviste, calendari, albi, e-book e DVD  in edizioni lussuose o ultraeconomiche, in forma di tascabili, brossura, in-folio e rilegati, nuovi e usati, organizzati secondo le aree di specializzazione (Narrativa, Passioni, Arti espressive, Storia e società, Bambini, Scienza e tecnologia ecc.) in grado di saziare anche il lettore più incontentabile. 
Un'iniziativa non piccola né così facile da organizzare e che ha, ovviamente, dei costi. 
E qui veniamo al problema con il quale i Portici si sono dovuti scontrare più o meno dalla sua nascita, aggravato quest'anno dalla crisi economica e dalla situazione non facile degli enti locali. 
A Torino, città ormai da lustri governata dal centro-sinistra, esistono non poche iniziative legate al libro. Dall'annuale Fiera del Libro al Circolo dei Lettori, iniziative in un caso legate all'esposizione da parte degli editori della propria produzione e nell'altro alla presentazione al pubblico dei lettori di autori e titoli di una certa rilevanza culturale. 
In mezzo a questi due «giganti» - per lo meno in termini di investimenti da parte degli enti locali - ci siamo noialtri librai con i nostri piccoli e pelosi «Portici», che, a quanto pare non stimolano particolarmente giunta e assessori. 
Quest'anno il calendario dei Portici è slittato da fine settembre a metà ottobre cosa che non è poi così secondaria, dal momento che esporre i propri banchi sotto la pioggia non è una buona idea... Senza contare la soddisfazione impareggiabile di rimanere per un intero week-end esposti letteralmente ai quattro venti dietro a un tavolino... 
«Ma a Torino a settembre ci sono già troppe iniziative, ed è il caso di scaglionarle un po'». Sulla base di questa argomentazione, illustrata dall'assessore alla cultura di Torino - dottor Braccialarghe -, la prima proposta arrivata ai librai è stata quella di tenere i Portici in novembre (!!!), proposta fortunatamente rientrata. 
I manifesti per la manifestazione sono stati preparati soltanto lunedì (3 ottobre), mentre i volantini non sono ancora pronti e dio solo (e forse l'assessore Braccialarghe) sanno quando saranno pronti. Come per le passate occasioni la pubblicità all'iniziativa è quantomeno in ritardo, e quest'anno si rischia seriamente di non vederla per nulla.
Non parliamo poi di un minimo di pubblicità in Piemonte e nel resto dell'Italia del Nord. 
Scomparso il sito web dei «Portici», sono apparse alcune - brevi - segnalazioni sul sito della Fondazione per il libro, la musica e la cultura (Fiera del libro) e su siti locali (Ecotorino ecc.), meno dello spazio e del risalto che avrebbe avuto un passaggio a Torino di Umberto Eco o di Andrea Camilleri. 
Insomma, il dubbio che viene è che se i Portici non fossero proprio andati in onda nessuno nelle giunte comunali e regionali si sarebbe suicidato per il dispiacere. Ed è veramente un esempio di felice ed immemore imbecillità aver fatto così poco per una manifestazione unica in Europa. 
Prontissimo a rimangiarmi tutto e a pubblicare grandi post pieni di scuse nel caso le cose andassero diversamente e il comune di Torino dimostrasse un po' di interesse e di considerazione per noialtri «bottegai della cultura», ma stando così le cose non posso che constatare che ancora una volta ha prevalso la considerazione, odorosa di una sinistra stantia e un pochino radical-chic e comunque piuttosto idiota e parecchio datata, per la quale «fare cultura» e «vendere libri» sono cose lontano anni luce. 
Non è vero, maledizione.
Chi vende libri lo fa perché li ama.
Ama la lettura e persino i lettori : )
E non passa il tempo a escogitare sistemi per bidonarli. 
In ogni caso se avete qualcosa da replicare a questo post (o anche soltanto per salutarmi) potete trovarmi nella sezione «Scienza e Tecnologia», al solito posto, tra Piazza San Carlo e Piazza Castello. 
Sperando che non piova.

2.10.11

Giochi infiniti

Postato poco fa il mio personale contributo al Primo Livello Segreto di Sick Building Syndrome.
Ho evitato la difficile partita di mettermi nei panni di un essere soprannaturale, accontentandomi di un demiurgo, ripescato in un capitolo - il numero 5 - che ho a suo tempo particolarmente apprezzato. 
La mia riscrittura gioca sugli stessi momenti, ma in un altro luogo e immagina il passato possibile di quel particolare personaggio, purtroppo perdutosi nel procedere della vicenda. 
È stato divertente, e ne approfitto per ringraziare Cily, che non conosco ma che, a questo punto, è come se conoscessi :)
Potete trovare QUI il mio testo.