6.11.11

Piccoli che non cresceranno


Come tutti i librai del mondo posso godere della possibilità di ricevere gli editori che non hanno distributori e gli autori autopubblicati.
In genere sono soggetti più o meno timidi e in genere moooolto gentili che rimangono silenziosamente in attesa che si sia sbrigato l'ultimo cliente - o che si sia terminata l'ultima registrazione - prima di tirare fuori il proprio/propri libro/i e perorare la propria causa. 
Con l'esperienza li posso riconoscere senza fatica. Mentre il cliente tipico ha doti di pazienza limitate e una cortesia informale, l'editore/autore ha una pazienza in apparenza infinita e una gentilezza estremamente formale. Paradossalmente questo tende a rendere il sottoscritto libraio molto meno disponibile e molto più rigido di quanto non sia normalmente. Lo spio non visto, conscio della sua presenza, augurandomi che si stanchi e tagli la corda, ben sapendo che è perfettamente inutile: nessuno può risparmiarmi la più o meno disinvolta autopresentazione e l'offerta finale di tenere «qualche copia» della «sua opera». 
Ma non sono una m... come può sembrare, tanto è vero che spesso accetto di tenere l'opera. Si tratta semplicemente di conoscenza del mercato dei lettori che un autore orfano o un editore appassionato ma povero nella maggior parte dei casi non conoscono. 
«Lei potrà offrire l'opera tra le altre e lasciare che sia il cliente a scegliere / lei potrà esporre il mio libro in vetrina, in un angolino...»
I clienti che chiedono consigli sulla lettura sono un venti per cento scarso del totale. In genere persone che cercano regali per terzi, quindi anche più incerti e dubbiosi del solito e comunque per nulla interessati a sperimentazioni o a autori poco o per nulla noti. Gli amanti dei generi più frequentati dagli autori più o meno selvatici (poesia, romanzo sentimentale di stampo autobiografico, pamphlet politicamente rabbioso, memorie) sono meno dell'1% del totale. E tra costoro gli interessati a un nuovo autore sconosciuto hanno una frequenza infinitesimale.
Discorso non troppo diverso si può fare per gli editori, che spesso presentano con libri dalle copertine tragicamente e visibilmente inadeguate. Il tipo di copertine che spingono il possibile cliente a ignorare il libro o a metterlo frettolosamente da parte. 
«Bene. È il momento per tirare fuori il mestiere, perbacco!»
In sostanza affermare di aver letto il libro, di averlo apprezzato e proporlo senza dubbi né esitazioni al cliente.
Il libro magari lo si è anche letto o comunque guardato. E azzardato un giudizio. In fondo il mestiere nasce anche dalla capacità di «sistemare» un libro in un'immaginaria libreria. 
Ma quale può essere la classificazione possibile per un libro malcondotto, con i tempi dei verbi incerti e dubbi, puerile e stentoreo, paurosamente sentimentale o gratuitamente minaccioso, con un finale eccessivo e ridicolo?
Certo nessun libro ha tutte queste caratteristiche insieme ma ciascuna può essere senza difficoltà assegnata a uno dei libri autopubblicati che ricordo. E, vigliaccamente, mi rifiuto di spiegare all'autore o all'editore il motivo per il quale il libro non ha venduto nulla, neppure dopo sei mesi in libreria. In fondo sono soltanto un libraio e non un critico letterario. 
Autori coraggiosamente pieni di sé ed editori vanagloriosi non devono essere contraddetti o chiamati a un momento di riflessione sulle qualità reali del proprio prodotto al momento del rendiconto, pena un brusco cambiamento di stile nel comportamento, un'aggressività malamente tenuta a freno, una durezza improvvisa nei modi. In fondo poter attribuire la colpa dello scacco al libraio è un ottimo modo per poter scacciare lo spettro del fiasco personale ed evitare faticosi esami di coscienza e moleste riflessioni.
L'esistenza di internet ha solo lievemente ridotto il numero di autori autopubblicati e di coraggiosi editori. L'uso degli e-book e di tutte le altre possibili modalità di autopresentazione non sembra interessare molti «giovani autori», evidentemente alla ricerca di un lettore mitologico, impoltronato sotto lampada a stelo, puro stile anni '50 - lettore, lampada e poltrona, e ancora meno interessa gli editori - e qui forse per motivi non del tutto apprezzabili.
Ma ancora di meno a interessare entrambi è la possibilità di presentare onestamente il proprio testo, cercare qualcuno capace di rivederlo e dare qualche utile suggerimento, ideare una veste grafica accettabile, magari affidandosi a un amico / amica pratica di fotografia e di grafica, spendere qualcosa per ottenere un parere da un agente editoriale o da uno scrittore professionista. Ciò che davvero conta è poter arrivare davanti a un libraio e sventolare il proprio capolavoro o il proprio affare sicuro. Facendo finta di ignorare che la vita dei libri può certo essere eterna ma, molto più probabilmente, durare al massimo sei - sette mesi, trascorsi i quali il libro avrà terminato la sua breve vita. E trascorso questo tempo che cosa resterà delle speranze di gloria, di fama imperitura? 
Ciò che molti autori autopubblicati ignorano è la sorte di tanti «giovani autori» dei quali si sono perse le tracce dopo uno o due libri pubblicati da grandi editori. Semplicemente riingoiati dall'anonimato dopo un breve passaggio sul palcoscenico. 
Il famoso quarto d'ora di notorietà che si concede a tutti. 
Il desiderio di diventare scrittori o editori è una sirena impossibile da dimenticare, lo so bene, ma almeno in parte labile. Mentre considero la possibilità reale di vendita del nuovo romanzo edito da «Tipografia progetto nuovi autori» o dall'editore «L'ormeggio» mi chiedo per quanto tempo l'autore conserverà tutto l'entusiasmo che mostra. E se poi tornerà a controllare il venduto. 
In libreria devo avere almeno una cinquantina di libri «dimenticati» da autori o editori che immagino abbiano gettato la spugna. E questi fantasmi di libri sono più nudi e più tristi anche dei libri rimasti in libreria a invecchiare perché pubblicati da editori dichiaratamente nel frattempo falliti. 
Ma anche così sono riluttante a portarli al più vicino cassonetto per il recupero carta. Non so, qualcuno degli autori potrebbe ancora passare...





P.S. Per completezza di informazione voglio soltanto ricordare alcuni piccoli editori che normalmente ospito in libreria e che non hanno alcuna parentela con quelli qui presentati. Un editore di fumetti, uno di fotografia, uno di filosofia. Lavorano da anni e puntualmente mi presentano le loro novità, una alla volta. Qualcosa si vende persino. Talvolta ho il desiderio di tagliare la corda, vedendoli, ma in fondo sento questo impulso anche con i ben più titolati rappresentanti dei Veri Editori. 
Devo essere un tipo poco socievole, come ha sempre detto mia mamma.
   

 

7 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

non fai che confermare una cosa che penso da anni, cioè che spesso manchi l'umiltà e la capacità di affrontare le critiche in molti giovani autori.
Non tutti, ma in alcuni sicuramente si. Alcuni anni fa persi un amicizia decennale solo perchè mi permisi di segnalare alcune imprecisioni storiche su alcuni aspetti di un racconto scritto da questa persona.

Massimo Citi ha detto...

De te fabula narratur...
Purtroppo per esprimere un parere su un testo scritto da altri bisogna avere una competenza - reale o fittizia - che comunque non libera da odii silenziosi e sempiterni. Si può risolvere il problema tacendo spudoratamente su eventuali errori o imprecisioni. In fondo le smanie sul testo dell'autore non saranno mica eterne. Ma poi assalgono i sensi di colpa, vedendo l'amico girare felice e contento di un testo in realtà non privo di sciocchezze. Forse bisogna farlo ubriacare o mandargli una lettera anonima. O rassegnarsi a perdere un amico.
Personalmente cerco di essere profondamente zen di fronte alle critiche altrui. In quanto a riuscirci sempre... vabbè. In tutti i casi ci penso, ci rifletto e ne concludo che in genere il critico aveva ragione.
«Dio, lo odio anche di più per questo...».
No, no, per carità.
Scrivere è come giocare a poker. Più è alto il punteggio che avete in mano, peggio ci rimanete quando qualcuno sfodera un punto maggiore. Ma si tratta sempre di un gioco ed è buona norma far finta di nulla. Sorridere e giocare un'altra mano.
E in ogni caso mai giocare con un novellino.

Lucrezia Simmons ha detto...

Se scrivo boiate, inesattezze, stupidaggini, castronerie galattiche vi prego gentilmente di dirmelo. E senza tatto alcuno.
Detto questo, l'idea del libro stampato sullo scaffale di una libreria è l'Excalibur dello scrittore. Le pagine profumate, leggermente ruvide, color panna, con le lettere quasi a sembrare in rilievo. E' poesia pura.
Ma la realtà è quella descritta da Maxciti, è il quarto d'ora di gloria e poi nulla, specialmente in caso di prodotti difficili o non propriamente interessanti.
La critica rafforza i capaci e distoglie gli incapaci. L'e-book è un mezzo democratico, ma crudele, è più facile precipitare dal proprio ego alla fogna.
Un libro stampato resta lì, quasi altro da se', sullo scaffale. Viene maneggiato ed esposto in assenza dell'autore, non lo mette all'immediata berlina.
Non buttarli quei libri.
A me piace molto chiedere consiglio sui libri da comprare (quando il libraio ha l'occhio competente).

cily ha detto...

Mio Dio Massimo il tuo post mi ha messo una certa ansia e anche un po' di malinconia...

Ansia perchè mi fa paura pensare che di alcune cose le persone proprio non si rendano conto.
Mi mette ansia il tipo che è convinto di aver scritto un best seller e non si rende conto dei difetti ad esempio che hai citato tu (e che spesso ritrovo anche io nei libri autoprodotti o nei racconti che partecipano a concorsi e ahimè nei miei vecchi scritti di qualche anno fa).
Mi mette ansia perchè sebbene io sia molto critica con me stessa e di solito apprezzi parecchio le critiche specialmente se ben argomentate e puntigliose, mi domando se comunque anche io non possa ricadere in questo gruppo di chi non si rende conto.
Di solito odio le critiche del tipo :"Non so, quello che hai scritto ha qualcosa che non mi convince!" ecco queste tendenzialmente fatico a mandarle giù.

Ma quando uno viene e mi fa le pulci a quello che scrivo e magari ha pure ragione, gli faccio un monumento perchè ha perso il suo tempo e il suo intelletto appresso alle mie farneticazioni.
Le critiche mi fanno male e pure parecchio, ma io non scrivo per me. Io scrivo sperando che qualcuno legga e si diverta. E allora le critiche mi servono. Perciò cerco come te di essere Zen e di prendere la parte utile oltre che la parte dolorosa.

Invece mi ha messo un sacco di malinconia pensare ai libri abbandonati dagli autori stessi. Oddio è un po' come abbandonare un figlio...
Scusami, lo so, sono un po' troppo sentimentale per certe cose!

Cily

P.S.
Io ho smesso di chiedere consiglio ai librai perchè troppe volte mi hanno proposto emerite monnezze che però erano molto pubblicizzate.
Lo dico sempre che il libraio che sa quello che vende è sempre più raro!

Massimo Citi ha detto...

@lady simmons: indubbiamente hai ragione, il libro stampato ha una maestà naturale che altri media non posseggono. Però se il libro non è gradevole - per la copertina, la scelta della carta, l'impaginazione, i testi collaterali - che cosa farsene? Sono d'accordo, non li getto via, ma i libri non scelti da nessuno risultano, ahimé, stupidamente inutili, quasi imbarazzanti. Un piccolo, greve monumento all'umana stupidità.
@cily: il fallimento è una conseguenza della solitudine nel fare e di un giudizio su se stesso un po' lasco. A tutti penso sia capitato di stupirsi dell'apparente qualità di ciò che si scrive e mettersi lì con pazienza a cercare di demolire la propria creatura è un'azione praticamente contronatura. Ma senza questa azione, senza una freddezza autoimposta è impossibile capire dove sono i difetti, che pure certamente non mancano. La mia impazienza nei confronti dei «giovani autori» nasce anche da questo innamorarsi di se stessi e delle proprie frasi fino alla cecità. Caratteristica che, comunque, non è così difficile trovare anche in autori moooolto più noti. Tempo fa mi capitò di leggere un libro di fantastico scritto da un gruppo di nuovi autori italiani, pubblicato da Mondadori. Il curatore era Sandrone Dazieri, il titolo «I confini della realtà». Riporto qui l'indirizzo della recensione che scrissi allora: http://www.librinuovi.info/modules/xfsection/article.php?articleid=293
Una demenziale raccolta di nuovi e vecchi talenti malamente abborracciata con temi e modi degni di un fumetto di serie Z. Quando i «maestri» scrivono così, cosa ci si deve attendere dagli allievi?
Venendo a un altro punto del tuo intervento: resistere alle critiche vaghe e imprecise fino al punto di ignorarle, è fondamentale per la tua professionalità :)
In quanto, infine, alla professionalità dei librai, sinceramente non so bene che cosa rispondere e questo meriterebbe un post a parte. Prometto di scriverlo.

gelostellato ha detto...

bel post!
e penso che si possa applicare, con le dovute variazioni, a molti altri campi.
Come diceva il cartone animato coi globuli rossi con gli occhioni... siamo fatti così :)
però non buttarli quei libri,
magari, uno alla volta, in quelle scatole là, dove girano i libri...
comunque sì, è malinconico, è vero.
Dovresti organizzare una lotteria!
oppure, al prossimo che viene, dici:
"si guardi, non c'è problema, glielo tengo il suo libro, lei però in cambio mi compra quest'altro, più o meno dello stesso genere del suo."
Magari genereresti qualche esame di coscienza, sia che uno ti dica no, sia che uno ti dica sì. :)

Massimo Citi ha detto...

Dovrei regalarlo, il libro, giusto per non passare per il consueto bottegaio avido e micragnoso. Categoria nella quale, vista la mia semplice posizione professionale, rischio di essere arrruolato senza difficoltà, anche tenendo conto della posizione stancamente progressiva di molti autori ed editori, in genere convinti che un commerciante non possa essere schierato a sn. Passargli un libro dopo la lettura del famoso libro, comunque, è un'ottima idea. Unico problema, temo che sarebbe presa come un insulto. «Come, a me, autore di "Cuore che pensa"[1], mi regali Anna Karenina? E per chi mi prendi, per un analfabeta? Io l'ho letto Cechov, perbacco.»
Buona idea, appunto, ma poco praticabile.
[1] Titolo reale. E confusione di autori altrettanto (ahimé) realmente avvenuta.