31.1.12

Che altro aggiungere?


Cari tutti
Lo so, non inizio mai così un post, ma questa è una volta speciale. 
La CS chiuderà. 
Entro il 31 marzo 2012 chiuderò definitivamente la serranda. 
Tutti i particolari di ciò che avverrà in termini di offerta, sconti eccetera li potete trovare qui: 


Fateci un salto e leggetelo. Sarà un favore fatto a me e spero anche a voi. 
...
Che altro aggiungere? 
Beh, poco e moltissimo. 
Poco perché la realtà ha una sua cadenza e la storia non si fa con i se.
Moltissimo perché spero e mi auguro - anche se non lo credo - che la CS sia l'ultima delle librerie indipendenti a dover chiudere. 
Ma di questo moltissimo ritornerò a parlare e quindi non sto a farla lunga qui. 
Ho 57 anni e lavoro in CS da quando ne avevo 21. Fanno 36 anni di vita, se non sbaglio. 
Non poco, tutto considerato. 
E comunque vada so che rimarrò un libraio fino al mio ultimo giorno su questa terra. 
Senza libreria, d'accordo, ma sempre un libraio. 
Quindi noioso, spaccap..., poco impressionabile, cinico e impaziente.
Non potete dire che non vi ho avvisato.  

29.1.12

Niebelungen Lied e zone limitrofe



Un'altra settimana è passata, quindi... 
Questa volta, però, nulla di troppo ponzoso o di troppo serio. 
In fondo io non sono una persona (troppo) seria. 
Mi piace il classico contemporaneo e tutta una serie di stranezze musicali, ma ho un lungo passato di passioni più o meno ortodosse nel campo del pop e del rock. Oltre che dell'heavy metal. 
Un genere che non amo particolarmente in sè per sè - la linea musicale è troppo spesso elementare o ripetitiva o ovvia - ma che, come tutti i generi, possiede un 10% di eccellenza, come insegnava il buon Theodor Sturgeon. 
E in ogni caso le vicinanze e i collegamenti con la musica classica, particolarmente con il barocco e con l'opera, sono tali e tanti da indurre a un'attenzione particolare verso il genere. 
...
Nel settore heavy metal debbo ammettere un'amore - anche soltanto un affetto, via - per l'ex-collegiale Marylin Manson, per gli scozzesi Korn (scozzesi come Iain M. Banks), per gli armeno-californiani System of a Down e per i tedeschi Rammstein. Questa volta tocca ai Rammstein, ma prima o poi toccherà anche agli altri. 
Il pezzo che presento è Moskau, tratto dall'album «Reise reise» («Viaggiare, viaggiare», ma anche «Alzati, alzati», come nella canzone popolare Reise, reise, seeman, reise, cioé Alzati, alzati, marinaio, alzati). Un affascinante mix di cultura post-sovietica, heavy fantasy e lieder wagneriani, con un testo fortemente polemico nei confronti della politica russa contemporanea. 
Non alzate troppo il volume, se non volete litigare con i vostri vicini. 


27.1.12

Non dimenticare, comunque.

Ogni anno si ripete e qualche editore si scomoda a ristampare - ovvero a presentare come ristampe le rese dell'anno precedente - alcuni titoli più o meno fondamentali sull'argomento, dall'immortale Shirer della Storia del Terzo Reich ad Anna Foa ed il suo Diaspora, all'immancabile diario di Anna Frank a qualche libro più recente, come Una strana fortuna, di Maurice Grosman. Tutto come dovuto, come previsto, com'è giusto e necessario. 
Ma...
No, non ho nessuna tentazione negazionista, per carità. 
A coloro che negano l'esistenza dei forni e dei campi di sterminio auguro la possibilità di passare un giorno ad Auschwitz - o Oswiecim, come è chiamata ora dai polacchi.  Magari in un giorno d'inverno del 1944.
Se avete letto non solo Se questo è un uomo ma anche I sommersi e i salvati di Primo Levi sapete che è drammaticamente tutto vero. E se avete letto con la necessaria attenzione la Storia del Terzo Reich di Shirer o il libro di Detlev Peukert, ormai esaurito, Dentro il nazismo, conformismo, opposizione e razzismo nella vita quotidiana, conoscete fin troppo bene non solo l'orrore del nazismo, ma anche il sottile orrore quotidiano di chi non voleva sapere e vedere. L'orrore di ogni giorno, il lento, quasi inconsapevole e insostenibile scivolare nella logica dell'eliminazione. 
No, ciò che mi lascia perplesso è il silenzio che continua a gravare sulle vittime non ebree del massacro nazista[1]. Parlo degli zingari, degli omosessuali, dei disabili e dei Testimoni di Geova. Le Vittime dimenticate di cui parla un piccolo libro arrivato ieri in libreria, scritto da Giorgio Giannini. 
Ecco, se vi capita, non fatevi sfuggire questo piccolo libro.
Nulla di che, ma utile quando pensate - come è capitato anche a me, dopo che mi hanno alleggerito del portafoglio - che i Rom dovrebbero essere deportati, nascosti, eliminati
O quando i Testimoni di Geova di abbordano per la strada. 
O trovate poco tollerabili i modi effemminati di qualcuno.
O non riuscite a sopportate l'ecolalia, le ripetizioni, le balordaggini di un malato di mente. 
Ecco, questo può essere un buon modo per non dimenticare il Giorno della Memoria. 

[1] Ho una certa resistenza a usare il termine «Olocausto». La sua radice religiosa («Sacrificio») lo rende, a mio parere, poco appropriato a indicare un massacro prolungato condotto secondo regole e modi di procedere tragicamente familiari in una società ad alta industrializzazione. C'è qualcosa di profondamente e patologicamente «moderno» nello sterminio di milioni di persone condotto come la produzione di gomme da cancellare o di montature di occhiali. «Olocausto» allontana le nostre menti dalla vera radice dello sterminio.

24.1.12

Scatola nera


Continua a essere un pessimo momento. E questo non è certo un fatto nuovo.
Quando sarà finito, comunque, i passanti da questo blog saranno i primi a saperlo. 
Mi rendo conto che nell'anno nuovo ho postato sostanzialmente brani musicali, un racconto e un po' di lamentele. Così adesso saranno due, i racconti. 
Anche questo è piuttosto breve. 
Ma può comunque vantare una bella trombatura al concorso per i racconti indetto qualche anno fa da Delos. 
Tra me e i concorsi per racconti non corre troppo buon sangue, evidentemente. 
Dev'essere colpa mia, ovviamente.
...


        Almeno il prete che c'era prima era vecchio.
    Non anziano come lui: proprio vecchio cioè stanco, stufo, ancora in circolazione a dispetto di se  stesso.  Brontolava, sapeva di canfora,  di tonache conservate in  vecchi  armadi  di  stanze  dai soffitti  troppo  alti,  con  una lampadina impolverata appesa in mezzo alla volta.
    Era morto  dormendo, in modo ovvio,  liscio, e si  era portato via un  pezzo del loro segreto.
    – So  che eravate  molto legati.   –  Il pretino  ha mani  pallide, sottili,  da pianista.
    – Padre, lei suona?
    – Solo la chitarra, qualche volta.
    Perché sorride?  Cosa c'è da sorridere?
    – Ci conoscevamo da tanti anni, tutto qui.
    – Padre Antonio le  ha lasciato alcuni oggetti.   Lei è il suo  unico erede, non aveva più nessuno.
    – Lo so.
    Sta seduto malamente, dondolandosi.  Vorrebbe ordinare un altro bianco ma finché il pretino rimane lì è difficile.  Le due del pomeriggio: la piazza senza ombre, la chiesa dal portone  chiuso, le sedie di metallo e i  due ombrelloni a spicchi bianchi e gialli del bar.  Sceglie sempre  la stessa sedia – quella d'angolo – e guarda passare la gente nascosto dal fondo del bicchiere.
    – Le ho portato tutto, Padre Antonio l'aveva già preparato.
    Fa sì con la testa come un bambino immusonito.
    Il pretino gli  porge la borsa: una borsa  di plastica bianca con il  nome di un supermercato stampato sopra.
    Lui la prende e se la dispone in grembo con cautela.
    Lo scocciatore  non se ne  va.  Magari vuol sedersi  e far due  chiacchiere.  È nuovo, e prima di farsi accettare in  quel paesino di mezza montagna ce ne vorrà un pezzetto.  Per il momento la gente non gli vuole né bene né male: lo saluta e tira diritto.
    – Non credo sia roba di valore.  Padre Antonio era molto povero.
    Lo guarda  senza alzare  la testa.   Avrà già frugato  nella borsa,  il pivello? Dirgli qualcosa?  A qualcuno dovrà pure dirlo prima o poi.
    Prende un sedia  con le mani chiare, sottili  e dice: – Se permette  mi siedo un momento.
    Annuisce.  – Io prendo un bianco. Un altro.  – Dice con intenzione.
    – Buona idea.  Ne prendo uno anch'io.
    Il pretino  rovescia indietro  la testa  e si mette  a guardare  il cielo  di un azzurro polveroso.
    Apre un pochino la borsa: è tutto lì.
    – Sono curioso, lo so.  Ma cosa le ha lasciato Padre Antonio?
    Ha voglia di ridere: – non lo so.  Non lo sapeva neppure lui.
    Il pretino fa  un sorriso ingessato, beve  un sorso del suo bianco  e stringe le labbra.
    No, non gli dirà niente.  Quando toccherà  a lui farà come era d'accordo con Don Antonio, riporterà tutto al buco e buonanotte.
    – La saluto, allora.  Venga a trovarmi qualche volta.
    – Sono sempre qui, io.
    Padre Carmelo si  allontana a passi troppo lunghi, leggermente  sporto in avanti per non perdere l'equilibrio, più o meno come camminano i merli.
    «Forse ci riesci a diventare vecchio» dice tra sé.
   
    Si ferma per un'altra oretta poi torna a casa.  La borsa pesa, appena entrato la posa sul tavolo scostando la tovaglia macchiata di vino.
    Va a lavarsi, beve un sorso del suo in piedi.
    Tira fuori dalla borsa l'involto, foderato  con un vecchio maglione.  Le foto le mette sul  tavolo, disposte  regolarmente come  in un  solitario.  In  un angolo mette  il coso,  acceso  come sempre,  con  la  serie di  lucine  gialle che  si accendono e si spengono in successione.
    Le foto le ha fatte lui e per giunta  di notte.  Del disco o cosa diavolo era se ne vede  poco: era  quasi tutto  interrato.  In una  foto si  vede anche  il Don Antonio di trent'anni prima con in  mano un pezzo di metallo stranamente leggero e la bocca un po' aperta a finir di dire "...che robaaaa."
    C'è anche una foto del pilota, stecchito come un gatto morto.
    Se era un maschio o una femmina né  lui né Antonio l'avevano capito e togliere i calzoni ad un alieno oltre che inutile era parso irrispettoso.
    L'avevano seppellito e Padre Antonio aveva meditato per una mezz'oretta.
    – Dai.  – Gli aveva detto.
    – Ma siamo noi ad essere stati creati a immagine...
    – Piantala.  È morto, no?  Che ti costa?
    Aveva dovuto decidere lui, un prete  di campagna, senza nessun concilio e nessun aiuto.
    Con l'olio santo l'aveva assolto di chissà quali peccati.
    – È buffo, no?  Sembra un micio.
    – Sono gli occhi.  Ha gli occhi un po' storti.
    Avevano lavorato come due facchini per seppellire lui o lei e per far sparire la nave.  La terra era sua, un bricco irraggiungiubile  stretto tra due  dorsi di monte, umido e sempre all'ombra.
    Avevano portato via il coso che continuava ad accendersi e spegnersi.
    Don Antonio non  aveva più detto una parola mentre  tornavano al paese: guardava l'alba come un esiliato.
                                                                  
    – È una specie di scatola nera.
    – Forse serve a segnalare il naufragio.
    – Comunque dev'essere importante.
   
    Non  ha più  molto da  campare.   Al massimo  può  rimettere il  coso dove  l'ha trovato.
    Se i colleghi del pilota rivogliono il coso, comunque, devono venire da lui.
    E lui li ha aspettati tanto, sarebbe contento di incontrarli.



22.1.12

Musica domenicale


Rieccomi qui con il mio pezzetto di musica della domenica sera.
Un'abitudine che mi sta prendendo, tanto è vero che da qualche tempo a questa parte sto dedicando qualche momento la mattina per cercare un'esecuzione su You Tube che mi sembri adeguata. 
Stamattina ce la siamo vista tra Erik Satie, King Crimson, Steve Reich e John Adams. 
Alla fine ha vinto (per questo giro), John Adams.
...
Compositore e direttore d'orchesta californiano, Adams è anche commediografo - vincitore di un premio Pulitzer nel 2003 - e fa parte di un gruppo di musicisti ai quali sono particolarmente legato, il già citato Reich, Terry Riley e Philip Glass che in un modo o nell'altro avrete occasione di ascoltare. 
La composizione presentata è un po' lunga (26' e 42") ma penso meriti ascoltarla. Magari mettendo il volume al massimo...




19.1.12

Un concorso



È appena uscito il bando per il concorso 2012 dell'editore Alga, di Torino. 
Lo potete scaricare 
Vale la pena? 
Beh, io in quanto non-vincitore all'edizione precedente non avrei molti motivi per sostenere che merita partecipare. 
Ma lo faccio ugualmente.
Perché è un'iniziativa coraggiosa. 
Perché i libri pubblicati sono - nella peggiore delle ipotesi - interessanti, vivaci, imprevisti. Libri vivi per un'Italia migliore. 
Perché la giuria è fatta di persone disinteressate (sì, maledizione) che non hanno legami, rapporti, marcature, pesi, obblighi nei confronti del mondo dell'editoria. 
Tanto è vero che l'editore Alga non ha distributore e non manda i libri in libreria. Ma i suoi libri potete trovarli ugualmente.
Insomma, se avete scritto qualcosa di interessante, purché sia almeno di 100.000 caratteri, mandatelo. Non costa nulla, escluso il prezzo di una fascio di fotocopie, e può meritare. 
...
Io parteciperò ancora? 
Non credo. 
Non ho molto sottomano, a meno di usare un romanzo hard-sci-fi che non è vietato dal regolamento ma che non tutti digeriscono. O un'antologia di racconti gotico-enigmatici. O il famoso romanzo ucronico del quale ho parlato qualche tempo fa
Essendoci poi la possibilità/probabilità di essere uno dei giurati-lettori, direi che non c'è trippa per gatti. 
A proposito: i lettori ricevono i manoscritti rigorosamente anonimi, quindi non contate sulla mia presenza. 
Oppure potete sempre provare con un incipit tipo: 

Ma mentre correva verso...
Allora, proprio allora...
Sì, era stata lei, proprio lei a...
Sberle, quello avrebe dovuto dargli...
Impossibile. Non era un momento per cui...
Ma forse no. Forse aveva ancora tempo per...
O forse poteva provare in un altro modo, poteva...
Correre di nuovo, affrettarsi...
Impazzire, si sentiva pesante, assediato...
Troppo disperato per resistere, per combattere... 
Inutile, tutto inutile.

Ma anche così non saprete se il romanzo arriva a me...

Grandissimi auguri a tutti, comunque. 



18.1.12

Figurine


Periodo pieno di lavoro. Non lavoro di quello che porta soldi e fama, ma seccature, creditori in agguato, libri in ritardo, ordini scomparsi... Insomma, un brutto momento. 
Per non lasciare il blog sfornito pubblico un racconto breve, pubblicato nel 2003, mio ma allora apparso a firma Giulio Artusi nell'antologia Fata Morgana 2. 
Nulla di che, anche se è un racconto di sf. Ma di un genere davvero particolare. A cominciare dal nome del protagonista, un anagramma facilissimo...
Buona lettura!
...

Leonia, quello che aveva le figurine.
Un nome strano, una bella casa, grande. Mi invitò un sabato pomeriggio, i suoi non c'erano.
    Vieni da me, che oggi giochiamo alle figurine?
    Certo!
Sapevo già che Leonia era uno speciale, ma non me sarei mai aspettate tante: calciatori, animali, piante, film, auto, motociclisti, animali preistorici. Persino i calendari profumati dei barbieri e le cartoline con le immagini che scivolavano seguendo il riflesso.
Leonia apriva cassetti, spalancava ante ed estraeva pacchetti e pacchetti di figurine, collezioni che non avevo mai visto e neppure immaginato, e io le guardavo con un piede in paradiso. Il pavimento ne era coperto.
Leonia era davvero speciale, sempre il primo in ogni cosa, riservato senza essere distaccato, gentile senza ostentazione, occhi verdi come il vetro di una chiesa e con un taglio particolare, ciglia lunghe, mani sottili ma forti. Le ragazze ci impazzivano ma lui le considerava poco. Noi maschi - ma anche i professori - ne eravamo intimoriti e anche un po' affascinati, qualcuno sussurrava che le donne non gli piacessero ma poi s'era sparsa la voce che stava con una di terza e tutti avevano pensato: «É normale, per Leonia»
Il mio pacchetto tenuto con l'elastico se ne stava intimorito in fondo alla tasca del giubbotto appeso nell'ingresso. La mia collezione quasi completa del campionato 1963-64 era nulla in confronto alla sue e anche «scambiare le doppie» sembrava una completa scemenza, a quel punto.
    Ti piacciono?
    Certo, ma ne hai...
  I miei ci tengono che faccia collezioni, dicono che si imparano un sacco di cose.
    É vero, hanno ragione. Cosa fanno i tuoi?
    I miei? Sono degli studiosi. Diciamo degli scienziati.
  Il telefono ci interruppe: guardale pure, non ti preoccupare.
Altro che dirmi, come facevano i miei, che i soldi per le figurine erano sprecati. «I genitori di Leonia fanno gli scienziati e gli comprano tutte le figurine che vuole.»
Lo sentivo parlare al telefono. Non parlava italiano, ma sapevo che Leonia veniva da lontano. Mi alzai: aspettavo quel momento da tanto. Piano piano spalancai le porte dell'armadio. In alto, ce n'erano altre. Le presi. Figurine sportive, c'era il nome e sopra il ritratto. Strane. La figura era profonda, sembrava di poterci infilare dentro il dito. E il nome era scritto con caratteri curvi, mai visti. Leonia al telefono continuava a parlare, probabilmente erano i suoi. Mi sembrava rassegnato, come quando ti dicono che devi fare una cosa, e lo sai che è giusta, ma non ti piace.
Altre figurine: animali, piante. Strani gli uni e le altre. Di qualche film di fantascienza, avrei detto. Belle, con luci che si accendevano e spegnevano, di una carta fredda, lucida. Come piccoli schermi di una TV. Non mi accorsi neppure che Leonia era tornato.
    Ti piacciono?
    Molto.
    Se vuoi prendine una.
    Ma da dove...
    Sorrise, saputo senza darsi arie, come riusciva a fare solo lui.
    Tu ne hai una? Una da darmi?
Andai a prendere il mio pacchetto e ne estrassi la più preziosa: Altafini, bisvalida. Era un bel sacrificio, nemmeno per un fratello...
    Grazie.
La guardò, la girò annuendo, serio.
    Sarà un ricordo. Mi spiace ma adesso devo uscire, vengono i miei a prendermi. Non ci vedremo per un po', credo. 

    Leonia il lunedì non venne più a scuola. Partito, chissà per dove. O tornato chissà dove. La sua figurina ce l'ho ancora. Ogni tanto la guardo ma non capisco il nome, né riesco a immaginare il gioco.
E comunque è probabile che sia una schiappa, Leonia me l'ha regalata troppo volentieri. 
O forse è che mi voleva bene.
Quando viaggio nelle notti stellate la porto con me, comunque. Mi fermo in mezzo alla campagna serena e guardo in alto, le stelle.
    Ehi, Leonia, come si chiama questo qua?
Lo so che dov'è non può sentirmi, ma non importa. Sono contento così.
Le figurine sono una bella cosa, cosa credete? Non solo per noi.


15.1.12

Ostinato


È domenica sera e quindi è il momento del brano musicale. 
Andrò sul pesante, questa volta. Nel senso di impegnativo, naturalmente. 
...
Tuxedomoon è una band californiana, che io sappia tuttora in azione. Guidato da due polistrumentisti, è un gruppo musicale & teatrale che ha lavorato parecchio qui in Europa e in Italia. 
Il breve pezzo proposto fa parte dell'Album «Ghost Sonata» che avrei messo anche tutto, ma... No, ci ritornerò. 


14.1.12

Parlando e scrivendo


Sostanzialmente provocato da due post apparsi qui e qui, opera, rispettivamente di Davide Mana e di Alessandro Girola, sento il dovere - in quanto autore, editore, libraio, recensore ecc. ecc. - di provare a portare il mio piccolo tizzo al fuoco che allegramente divampa. 
Cominciamo col dire che, in quanto impubblicato o giù di lì, non ho minimamente il diritto di intervenire sul tema della scrittura o dello scrivere. 
Mi mancano le basi, direbbero alla Holden.
Scrivo fantastico e non sono Murakami Haruki.
Non ho un editor. 
E non ho un editore, esclusa la libreria dove lavoro che gentilmente mi ha pubblicato una piccola antologia e qualche altra cosuccia nei vari ALIA. La libreria non ci ha perso denaro (buon per me), ma non sono diventato famoso e importante. E, sinceramente parlando, l'unico contributo al bilancio familiare me l'ha dato il premio Omelas e qualche altra piccola collaborazione a letture e concorsi. 
Insomma, se esiste un livello B (o C o P o Z) nel mondo degli scrittori direi che posso tranquillamente ambirvi. 
Perché mai non ho fatto i soldi? Non sono diventato ricco? Non...
Per alcuni motivi sui quali non ho mai riflettuto serenamente. 
Il primo dei quali, probabilmente, è la sostanziale irrilevanza della mia produzione su un piano nazionale, storico, epocale. 
Un'irrilevanza che qualche concorso al quale ho partecipato si è ben peritato di sottolineare. 
Pazienza. 
Sono cose che fanno male, ma poi passano. 
Ma dal momento che ciò che nasce dal mio cervello non è probabilmente del tutto inutile mi chiedo che cosa mai non  funziona e cosa dovrei fare per riuscire non tanto a pubblicare (già fatto) ma a sopravvivere onestamente con 3-4.000 lettori che una volta l'anno vanno in libreria o si collegano con Amazon, IBS ecc. e si comprano il mio libro.
«Perché scrivi storie dementi e fuori moda».
Ecco il mio amato SuperIo. 
Già. La sf non tira nemmeno un po'. Scriverne in Italia è un po' come ostinarsi a parlare in arabo a Ponte Chiasso. Ben che vada ti guardano come un poveretto. 
Scrivi sf e sei già fuori dai circoli che contano. Ti guardano come un panda cremisi. Un'assurdità del tutto transeunte. Come tale irrilevante. 
In ogni caso, anche nell'ambiente fantascientifico, ho incontrato una quantità di soggetti decisamente curiosi. I fissati di concorsi che non se ne perdono nemmeno uno, i delusi che generalmente si reincarnano in lettori per i concorsi in questione, i bonzi e i vicebonzi che hanno collaborato, hanno rivisto, hanno curato, hanno tradotto, hanno intervistato, i fissati di qualche autore, serie televisiva, film o videogioco che non sanno parlare d'altro.  Una cena tra «appassionati» è in genere un felice troguolo di maldicenze, pettegolezzi, perfidie e dileggi. Il gruppo A parla malissimo del gruppo B, del gruppo C, di XQ, di JG, di YK, compatisce il povero BH che ormai lo sanno tutti «è un povero coglione» e ride di XD che, lo sanno tutti, «riscrive lo stesso libro da vent'anni». 
Se ci finite da novellini avete due possibilità:
1) aderite più o meno entusiasticamente al clima, unica possibilità per essere invitati nuovamente.
2) sorridete moderatamente e non parlate. Ovviamente sarete scaricati e probabilmente giudicati «uno chesselatira».
Non esiste, curiosamente, la possibilità di parlare di scrittura, testi, soluzioni stilistiche, forme della scrittura e prospettive del genere. Se provate a farlo sarete a maggior ragione ritenuti «uno chesselatira».
Al di fuori dell'ambiente sf, ovvero nel mondo mainstream il clima non è purtroppo diverso. Ho qualche esperienza in proposito che non ci tengo minimamente a replicare. 
Conosco diversi allievi della Scuola Holden, con cui la libreria è convenzionata e sentire i loro discorsi è in grado di suscitare in me una violenta reazione allergica . 
Il guaio è che un clima del genere non è esclusivamente italiano. Scrivere, oltre a tutti i difetti, ha anche quello di rischiare di rendervi dei fuori di testa, paranoici, pettegoli e livorosi come una zitella o uno zitello che passano il tempo ad auscultare la parete del vicino. 
Bah.
Immagino che almeno in parte il mio scarso successo sia dovuto ai miei atteggiamenti. 
Che infatti vengono in genere considerati come quelli di uno che...
Bravi, avete capito. 
Temo che la stessa cosa si possa dire per le nostre edizioni. 
Libri chesselatirano
O per la libreria. 
Una libreria di gente chesselatira.
R.I.P.
In ogni caso, se qualcuno volesse mai tirarmi in una discussione sulla scrittura comunque sono pronto. 
In fondo mi capita così raramente...


11.1.12

Letargia senza desideri


Ripresa letargica, per usare un'eufemismo. 
La gente passa davanti alla libreria senza curiosità né desideri. Depressi senza rendersene del tutto conto, perplessi senza più ricordare il perché. Non entrano. Non chiedono notizie. Conseguentemente non comprano. 
In libreria il clima non è diverso. Si preparano le rese, si improvvisano scuse di ogni genere per i fornitori non pagati che telefonano per chiedere gentilmente di essere pagati. Qualcuno si limita a mandare un'e-mail, qualcun'altro tace, ostentatamente, facendo nascere dei dubbi curiosamente deprimenti sulla loro salute commerciale. 
Una crisi economica è una cosa così. 
Il desiderio di essere altrove, a guardare il cielo, le nuvole, a respirare profondamente e a farsi domande un po' oziose e un po' stupide sul motivo della nostra esistenza su questo pianeta. 
Invece si resta qui ad affrontare il suono del telefono e a rispondere con gentilezza ai pochi che osano entrare. 
È un periodo così, si dirà. 
Il periodo dopo Natale è sempre depresso e deprimente. 
Ma questa volta ho la sensazione che sia diverso. 
Che i passanti si stupiscano in fondo, dentro se stessi, che esistano ancora negozi, che qualcuno resista ancora a offrire beni che non interessano. Perché lo fa? A che cosa serve?  
I bambini urlano più piano quando vanno a prenderli a scuola. 
Il barista scuote la testa mentre fa il caffè e non spara cazzate. Questa volta, a quanto sembra, nessuno ha molta voglia di prendersela con gli immigrati. Sono in pochi a pensare che si possa incolpare qualcun altro della situazione. 
In tutto ciò, ogni tanto mi chiedo dove sia il buco. 
Quello dal quale la nostra vita se ne sta andando poco per volta. 
Niente buco, troppo facile. 
...
Arrivano le segnalazioni dei nuovi titoli in uscita. 
Ci sono dei buoni libri. Nonostante tutto mi rallegro. 
C'è Malvaldi - nulla di che, ma sempre gradevole - c'è un libro sulle storie delle giovani moglie giapponesi mandate a contrarre matrimonio oltre oceano, scritto da Jennifer Otsuka. C'è un romanzo, scritto da Yasar Kemal, ambientato nel periodo successivo alla guerra greco-turca del 1919, un romanzo di Bolaño, un lib(r)idinoso (per me) saggio di cosmologia. 
Il giro riprende.
Non so quanto durerà ma siamo qui. 

8.1.12

Pezzo domenicale

A casa ho un disco dalla copertina bianca, stampata con caratteri davvero minuscoli.
Un disco che mi ha accompagnato per un periodo di intenso lavoro, al limite dello stress.
Mi alzavo la domenica mattina intorno alle 5.00, bevevo un caffè e cominciavo a scrivere con in testa le cuffie per non disturbare la mia bimba all'epoca seinenne. Recensioni, soprattutto, ma anche altre cose. 
Il disco era poi scomparso e, come capita spesso in questi casi, avevo rinunciato a cercarlo.  
...
Oggi, rimettendo a posto una libreria particolarmente incasinata ho ritrovato il disco. 
Quello che vi propongo oggi è Enery Flow, di Ryuichi Sakamoto, dal disco BTTP. 
Piccola nota a margine, lessi all'epoca una recensione che tra le altre cose accusava Sakamoto di aver pubblicato un disco solista di pianoforte senza avere le capacità tecniche per farlo. 
Curioso. 
Qualcuno pronto ad accusarvi di incompetenza si incontra sempre. Anche se non è il tema del quale si sta parlando. 
 


4.1.12

Libri a perdere e libri da perdere


Eccomi di ritorno. A casa e a questo post. 
Stavolta voglio provare a disegnare un principio di ipotesi sulla sorte delle librerie - e quindi anche sulla cultura e sulla sua diffusione in questo paese. 
Temo non dirò cose particolarmente positive né consolanti, ma è anche possibile che mi sbagli. In fondo sono soltanto un quasi ex-libraio.
Partirò da una decisione appena presa dal governo in carica.
Parlo della cosiddetta liberalizzazione degli orari dei negozi. 
Detto in poche parole, significa che chi vorrà potrà tenere aperto il proprio modesto o lussuoso esercizio anche nelle ore notturne.
E durante le feste comandate. 
Ovviamente i commercianti hanno reagito con una certa stizza al provvedimento. L'idea di essere sempre aperti o quasi non risulta facilmente digeribile a chi tiene già aperto il proprio negozietto per 10-11 ore al giorno. 
Non ho sentito il parere in proposito dei grandi centri commerciali ma non ho difficoltà nell'immaginare la loro soddisfazione. 
Essere sempre aperti è esattamente il loro modo di imporre definitivamente il proprio ruolo. 
D'altro canto, dal momento che tutti dobbiamo lavorare per troppo tempo ogni giorno abbiamo sempre più bisogno di avere luoghi per acquistare i beni di prima necessità che siano aperti sempre o quasi. 
È una questione di tendenza. 
La quantità di ore lavorate tende a crescere. O per volontà del datore di lavoro (straordinari, straordinari) o per la necessità di mantenere la famiglia, pagare il mutuo, la luce, il gas, le autostrade ecc. ecc. svolgendo qualche lavoretto extra.
Come i nostri bisnonni stiamo lavorando anche il sabato. 
Spesso la domenica mattina.
Qualche volta anche il pomeriggio. 
Intanto anche i centri commerciali cominciano a tremare. 
Più grandi, più potenti, più veloci di loro ci sono gli esercizi on line. Quelli che gli stanno portando via i beni a maggior ricarico. Tutta l'elettronica e anche i libri. 
Già, anche i libri.  
...
In un mondo di questo genere - il mondo che stanno preparando per noi - quale credete sarà la fisionomia del libro? Ci sarà ancora tempo per il libro?
Poco, certo. 
E la forma del libro commercializzato - una distinzione non piccola quella tra libro commercializzato e libro liberamente disponibile - sarà comunque diversa. 
Libri rapidi, da consumare velocemente e thriller ad altissima velocità, inframmezzati da libri di maggiore durata, magari parti di lunghi cicli. In modo da non dover reimparare i nomi dei personaggi. 
Pochi autori, organizzati in gruppi di scrittura, office di ghost-writer guidati da un bonzo, con un buon nome da sparare in copertina. 
Un nome stampato sempre più grosso del titolo. 
In fondo l'importante è chi garantisce il libro, non di che cosa parla. 
Con un panorama di questo genere, con la crescita delle vendite di libri precotti, premasticati e predigeriti non rimane molto spazio, temo, per le librerie indipendenti. Il problema centrale, infatti, è sempre di più la qualità della produzione offerta piuttosto che le condizioni di acquisto previste, che rimangono, in ogni caso, fortemente punitive per i librai indipendenti.
Un brutto panorama? 
Indiscutibilmente.
Come diavolo potranno sopravvivere le librerie? 

Ho qualche idea ancora molto vaga e probabilmente del tutto prematura, ma ne riparleremo.
Giuro.