30.6.13

Piccoli terremoti



Tori Amos è una forza della natura. Tori è intelligente, ha fantasia, ha gusto, ha doti musicali da vendere e un talento assolutamente eccessivo. Quanto mi basta per pensare che mi fa molto piacere ascoltarla ma che non sono affatto sicuro di volerla incontrare, nonostante il colore dei suoi capelli e la sua carnagione chiara che sono da sempre una delle mie inconfessate passioni. Non è bello stare con una donna della quale hai in fondo in fondo un po' paura.
...
No, sto scherzando, ovviamente. 
Non ho alcun motivo per pensare che Tori Amos sia in qualche modo pericolosa. Nonostante il modo con il quale martella sul pianoforte, urla o costruisce le sue canzoni. 
Però, però sono comunque convinto sia meglio venerarla da lontano. 


Immancabile, dopo, Cornflake Girl dal suo primo album. 





28.6.13

Etologia da appartamento

Come in molti avranno ormai capito, da un mesetto circa sono divenuto coinquilino di due creature non umane, un cane e un gatto, anzi una cana [1] e una gatta.
La prima delle due, che potete vedere qui sotto: 


è una femmina di nome Mirra, di anni 2 e qualche mese, peso circa 8 kg, indole affettuosa e forse un pochino troppo arrendevole. La seconda, qui immortalata: 


è una femmina di nome Isidora, di tre mesi scarsi, peso un chilogrammo a stomaco pieno e un carattere affettuoso ma volitivo e fortemente affermativo.  A parziale dimostrazione delle mie parole sottolineo che le due fotografie sono state scattate, la prima sul tappeto dell'ingresso - ormai definitivamente divenuto arena delle finte zuffe tra le due - e la seconda sul divano del salotto, dove il cane non può salire e il gatto nemmeno. In teoria. 
La convivenza tra i due animali procede bene, innegabilmente. Le due si cercano, si salutano affettuosamente, dormono insieme e inscenano zuffe apparentemente terrificanti - incontrare il cane «cavalcato» da un'erinni felina o una gatta con la testa infilata nelle fauci del cane - sono scene quotidiane, in famiglia, anche se ultimamente sono sorti alcuni piccoli problemi. 
Stamattina con mia moglie siamo andati dal veterinario per il richiamo della prima vaccinazione del micio e gli abbiamo chiesto se è normale che le gerarchie - ivi compreso l'ordine nel quale nutrirsi - tipici (sia pure in forma diversa) di cani e gatti, si possono verificare anche tra soggetti di due specie diverse. «Beh, può capitare. In fondo con un gatto come questo...». Già, perché il problema è che il cane, anche se nutrito prima del gatto, si rifiuta di mangiare se il felino può girare nei dintorni della sua ciotola e si nutre soltanto se qualcuno, gentilmente, chiude Isidora fuori dalla cucina.
E questo è soltanto il primo dei piccoli intoppi che Mirra e Isidora riescono a creare. In ogni possibile occasione, infatti, Isidora si comporta con l'improntitudine di un cavaliere rinascimentale provvisoriamente rimasto senza cavallo, mentre la povera Mirra come uno scudiero con contratto semestrale vicino alla scadenza.
Mia moglie, da sempre partigiana del cane nel contrasto a basso voltaggio che ci oppone, ha osservato che «siamo noi che non dimostriamo abbastanza considerazione per il cane», osservazione che è stata respinta con sdegno da me e da mia figlia. Il problema vero, temiamo, è che il nostro povero cane, da sempre timoroso di qualsiasi creatura semovente che incontri - naturale o artificiale -, ha purtroppo incontrato tra tutti i possibili gatti un simpatico spaccamontagne come Isidora. 
Oggi pomeriggio porteremo Mirra in montagna, lasciando Isidora a casa con mia figlia e sperando che qualche giorno di separazione renda il cane più sicuro di sé e il gatto, se non altro per malinconia, un po' più malleabile. Ma, sinceramente, abbiamo molti dubbi. 


Da un cane troppo buono e un da un gatto troppo furbo che cosa vi aspettate?


Nulla di buono, datemi retta. 

[1] So benissimo che il femminile di cane è «cagna», ma è un termine che non mi piace, anche perché il più delle volte usato fuori contesto e come appellativo dispregiativo verso altri esseri umani. Quindi per me Mirra è un "cane femmina" o, in alternativa, una "cana".

25.6.13

Il punto e il futuro


Oggi è il 25 giugno. Siamo entrati in estate da qualche giorno e luglio è ormai vicino. 
Per quanto mi riguarda comunico, a beneficio di tutti gli amici che mi hanno scritto in questi giorni, che i miei genitori stanno discretamente bene. Mia madre, dimessa dall'ospedale, è tornata a casa più o meno in forze mentre l'occhio operato di mio padre funziona discretamente bene e la pressione intraoculare dell'occhio non operato è ritornata normale. Se dio vorrà se ne andranno qualche tempo al mare, seguiti dalle mie benedizioni, tanto più fervide e sincere quanto meno sarà probabile una corsa notturna o una telefonata al loro medico curante.
Per quanto mi riguarda alla fine di questa settimana me ne andrò in montagna. A tirare un po' il fiato e a scrivere il racconto per ALIA Evo. Un racconto già iniziato, peraltro, ma che avrà bisogno di tempo e fatica per maturare. 
Le vacanze imminenti, lo svuotarsi della rete e la permanenza in montagna congiurano a ridurre il mio impegno nel blog. Blog che non sta troppo bene, a essere sincero, pesantemente disertato da molti visitatori e con sempre meno interventi. Una situazione che mi rendo conto non tocca soltanto me - è di pochi giorni fa la decisione di Nick il Noctuniano di sospendere a tempo indeterminato il suo (notevole) blog - ma che mi induce a limitare il mio impegno, tanto più che - come ormai sapete tutti - in montagna la connessione è un pò ballerina. Quando c'è. 
Il mio problema, in particolare, è quello di partecipare ed animare un po' troppi blog e altre pagine on line. LN-LibriNuovi, per cominciare, che richiede un impegno praticamente quotidiano, ALIA Evo, da poco rinato e da seguire con cura e attenzione, le pagine FB di LN, quella degli editori del Piemonte e quella dedicata alle nostre edizioni, la pagina di CS_libri. Oltre a questo cominciano ad arrivare i racconti per il prossimo ALIA, ALIA Evo... Ossignùr... è pur vero che tra una settimana l'ottima Silvia Treves avrà cessato la sua attività scolastica e potrà darmi una mano (anche tutt'e due, magari), ma anche così temo che non riuscirò più a intervenire con un minimo di regolarità su queste pagine. 
Quindi...
No, non si chiude. Non ho chiuso nemmeno nel 2006, quando in tutto l'anno postai in tutto un (1) intervento. Diciamo che per il mesi di luglio e agosto farò in tutto due interventi alla settimana (salvo improvvisi e indefiniti sussulti), uno dedicato a una passione musicale o a un libro appena finito di leggere, l'altro dedicato a un romanzo. 
...
«Mica vuoi mettere un romanzo on line? Non ti è bastata l'esperienza di Fatpass
Sì, ho intenzione di pubblicare un mio romanzo on line
Un romanzo non di fantastico né di fantascienza. Un mainstream, via, l'unico, peraltro, che abbia scritto. Un romanzo che ho fatto leggere a qualche amico e che inviai al concorso di Alga, dove arrivò tra i primi dieci, ma evidentemente non oltre il sesto posto, visto che i libri pubblicati sono in tutto cinque all'anno. 
Un libro che ha un personaggio che amo particolarmente e che racconta una storia buffa e malinconica. Che qualche volta fa ridere e qualche altra volta un po' meno. Che ho steso lavorando su una forma particolare di stile. Che ha un titolo che forse soltanto lui ha qualcosa di davvero fantastico: «Le bambole in volo».
Lo presenterò capitolo per capitolo, anzi movimento per movimento, da momento che il romanzo non è diviso in capitoli ma in movimenti. Ogni movimento verrà pubblicato sul sito per testi che ho utilizzato per pubblicare i racconti in formato .pdf. Entro l'anno lo farò comunque uscire in forma di e-book. E presenterò ogni movimento su questo blog. 
Ovviamente mi aspetto di perdere qualche altra decina di lettori e gran parte dei commenti, ma d'altro canto, da un certo punto di vista, ci sono abituato.
Aggiungo il prologo al testo, augurandomi di ritrovarvi qui: 

«Storia normale di ambientazione urbano/padana con qualche risvolto fantastico, una vera storia d'amore che non si sa quanto durerà, alcuni immigrati, qualche animale, una pianta di nome Robespié, un contabile anarchico, numerosi effetti speciali e circa duecento bambole.»

Un grosso abbraccio e a presto.



23.6.13

Quale universo è il nostro universo?


Sono le ore 18.00, più o meno, ed è domenica 23 giugno. Inizio adesso questa rece, cercando di finirla entro oggi. Se, come è probabile, non dovessi farcela, data e ora riportate sopra saranno state la prova del mio impegno...
Il libro, innanzitutto, da un punto di vista macroscopico. Un parallelepipedo di rispettabili dimensioni, del tipo 220 x 150 x 50, di un peso approssimativo di 0,7 kg, composto da 432 pagine, 409 di testo, 4 di suggerimenti per ulteriori letture e il resto di un fondamentale e sempre più raro indice analitico.
Edizione originale 2011 di Brian Greene, edizione italiana 2012, Einaudi Saggi 929, titolo La realtà nascosta, sottotitolo Universi paralleli e leggi profonde del cosmo, traduzione di Simonetta Frediani, euro 26,00.
Un libro di fisica, indiscutibilmente. Incentrato sulla visione che noi - poveri sfigati che abitiamo su un pianeta periferico di una galassia qualunque tra qualche miliardo di galassie - cerchiamo di farci della storia, vita e destino di questo universo. Che, come ci spiega il prof. Greene, docente di fisica e matematica alla Columbia University, è con ogni probabilità soltanto uno di millanta universi paralleli che costituiscono ciò che definiamo realtà. 
Calma. 
Un libro di questo genere va molto oltre la capacità di affabulazione della narrativa ad essa deputata, la fantascienza. Sempre che voi non siate Greg Egan, naturalmente. Se leggete un libro del genere per farvi venire qualche idea nuova e sorprendente per le vostre storielle di sf, farete bene a rinunciare in partenza a qualsiasi idea di tempo, di popolo alieno, di civiltà, di possibili incontri. Qui Greene fa ballare miliardi di anni come un broker sposta milioni di dollari e se non siete pronti ad annullarvi da un punto di vista temporale e a proiettarvi in un universo senza limiti di spazio e di tempo, lasciate perdere questo libro. 
L'esistenza - matematicamente inoppugnabile - di multiversi o pluriuniversi è probabilmente un ulteriore passo verso una collocazione più precisa della nostra specie e della nostra storia nella realtà. Una collocazione che, me ne assumo interamente la responsabilità, sembra cancellare o ridicolizzare qualsiasi idea di un divino «a nostra immagine e somiglianza». 
«I capitoli che seguono tracciano un arco narrativo attraverso nove variazioni del tema del multiverso», ci avverte Greene a pagina 5, ed è esattamente ciò che farà, parlandoci attraverso i capitoli del suo libro di Multiverso patchwork, Multiverso inflazionario, del Multiverso a brane, del Multiverso ciclico, del Multiverso paesaggio, del Multiverso quantistico, del Multiverso olografico, del Multiverso simulato e del Multiverso estremo.
Dal momento che spiegare con poche parole la realtà possibile di questi multiversi esorbita molto largamente le dimensioni di un articolo medio su un blog, mi limito a presentarne i nomi, invitando i curiosi - ce ne sono anche in tema di cosmologia - a procurarsi il volume e indagare personalmente storia, natura e disegno dei numerosi multiversi possibili. In ogni caso non escludo affatto di ritornare sul tema dei multiversi, magari presentandoli uno ad uno...
«È avvilente e al tempo stesso emozionante immaginare quanto possa essere vasta la realtà», scrive Greene, autore de L'universo elegante (2000) e La trama del cosmo (2004), definendo in poche parole la sensazione di smarrimento che la lettura del suo libro crea nel lettore.
Piccolo particolare di non secondaria importanza: da vero divulgatore Greene evita di utilizzare formule matematiche per illustrare i concetti presentati. Questo non rende le sue ipotesi tanto più comprensibili, ma certamente aiuta. 
In ogni caso non avvicinatevi al libro senza disporre di matita, gomma, evidenziatore e molto tempo.

 
In calce, la presentazione di Greene al suo libro.

«La mia intenzione è quindi spiegare in modo chiaro e conciso i passi intellettuali e la catena di intuizioni teoriche che hanno portato i fisici, partendo da un certo insieme di prospettive, a considerare la possibilità che il nostro sia uno di molti universi. Vorrei darvi un'idea di come alcune indagini scientifiche moderne suggeriscono naturalmente questa sbalorditiva possibilità. Mi propongo di farvi vedere come certe osservazioni altrimenti sconcertanti possano diventare perfettamente comprensibili nell'ambito dell'uno o dell'altro scenario di universi paralleli; allo stesso tempo, vorrei descrivere le questioni critiche non risolte che hanno impedito, finora, la piena realizzazione di questo approccio esplicativo. Il mio scopo è far sí che, dopo aver letto questo libro, la vostra idea di ciò che potrebbe esistere - di come potrebbero essere ridisegnati in futuro i confini della realtà da sviluppi scientifici ora in corso - sia molto piú ricca e piú vivida».

22.6.13

CS_libri su librodifacce (FB)




Non è che io ami particolarmente FB. Meno ancora amo mr. Zuckerberg, il suo patrimonio degno di un Creso e i suoi trucchetti con la security 'mmericana, senza contare le mie riserve sui social network (date un'occhiata in fondo al post), ma è indiscutibile che FB ha il pregio di garantire una comunicazione rrrrapida e di far sapere al mondo della tua esistenza. 
Che poi il mondo se ne fotta è un altro discorso, e comunque non siamo qui per questo. 
In quanto editore e unico titolare di CS_libri devo fare in modo che quanta più gente possibile apprenda dell'esistenza della casa editrice. Non solo, è abbastanza fondamentale che si sappia che i libri editi dalla fu libreria CS sono tuttora in commercio e non sono periti tragicamente insieme alla libreria. 
Qualche mese fa ho tentato di aprire un sito utilizzando Altervista. Ho preparato qualche pagina ma ho scoperto abbastanza velocemente che se potenzialmente il sito era per molti versi ricco, perfetto, elegante e potente, aveva anche il grosso difetto di richiedermi una quantità impressionante di tempo. Personalmente non sono proprio un genio, lo so, ma passare quel che resta del mio tempo in questo mondo a ingoiare menu, sottomenu, cartelle, pagine amministratore, colonne, banner, pannelli e template per creare una semplice pagina di segnalazione mi è risultato troppo faticoso per il mio QI e per il mio tempo.
Da qui l'idea di puntare su una pagina FB, che non è per particolarmente bella, lo vedo anche da me, dove inserire le informazioni importanti (il libro c'è o è esaurito / quanto costa / di quante pagine è fatto / ci sono spese nella spedizione / è bello o fa schifo) non è poi così agevole e dove non è che l'inventiva personale riesca a rifulgere in modo particolare. Sempre ad averne di inventiva personale, per dire. 
Ma che potrebbe perfino funzionare. 
Mah.
Io comunque ci ho provato. 
Per il momento ho inserito soltanto tre titoli dello sterminato catalogo di CS_libri, quasi esauriti o del tutto esauriti, ma conto di inserirne altri durante la prox settimana. 
Date un'occhiata qui, e magari tornateci tra qualche giorno. 
E se qualcuno ha qualche suggerimento - non distruttivo - mi scriva pure: sono tutto orecchie. 




   

20.6.13

Fuoriusciti


Un racconto lungo, nato come "regalo" a Silvia, mia moglie, e poi inserito in Fata Morgana 8, Fantasmi, Rimorsi, Assenze, Oscurità
Onestamente difficile da classificare, nato come incubo, visione, assurdo e infine "sistemato" come racconto di sf, anche se mi rendo conto io per primo che la sistemazione nel genere fantascientifico risulta un po' stretta. 
Diciamo che rappresenta piuttosto bene il genere di incubi che possono nascere all'interno di una vita assolutamente normale e quotidiana. Di seguito, comunque, la presentazione che ne fece Silvia nell'introduzione a Fata Morgana 8.

Un delirio. Un bel delirio, proprio il genere di cose che mi piace leggere. Niente di strano, in un certo senso, Fuoriusciti è stato uno dei miei regali per il Natale 2003. Perché mi piaccia non lo so: probabilmente perché nel mondo visitato dal protagonista non è rimasto letteralmente nulla. Restano soltanto assenze e questo, per chi teme perdite e distacchi è molto tranquillizzante: peggio di così non può davvero andare. O forse sì. Comunque, gli altri regali che ho ricevuto quel Natale sono stati meno «intensi». 

Per leggerlo vi sarà sufficiente cliccare qui

18.6.13

Contrattempi del vivere


Mercoledì prossimo mia madre ritornerà a casa, dimessa dall'ospedale. Rientrata l'anemia, fatto un controllo a fondo dell'apparato digerente, può rientrare, anche se sarà necessaria una dieta molto attenta e aiuto in molte attività che finora mia madre riteneva banalità. Mio padre, invece, operato ierimattina, va in giro come Moshe Dayan - o come Von Stauffenberg o Orazio Nelson, se preferite - probabilmente più soddisfatto del suo (temporaneo) vulnus di quanto l'abbia preoccupato l'intervento in sé. 
Sto disperatamente tentando di terminare 2666 di Bolaño ma fatico a procedere. E non per colpa dell'autore. Sostanzialmente arrivo a letto pre-addormentato, leggo un paio di pagine (che poi rileggerò la sera seguente) e cado a dormire senza più nulla sentire o vedere. In compenso mi porto dietro - più come portafortuna che come oggetto in qualche modo utilizzabile - l'Urania 1595, Nove inframondi, prima parte della Year's Best SF 14.  Non ho tempo, anche in questo caso, per riuscire a leggere più di una mezza pagina o qualche riga correndo su e giù tra ospedali, cliniche e laboratori. Finora ho letto il racconto di Ted Chiang, Espirazione, ovviamente insuperabile come accade quasi sempre nel suo caso, il più che buono Arkfall di Carolyn Ives Gilman, mentre godibile ma nulla di più il brevissimo racconto di Neil Gaiman, Arancione. Degli altri spero di dirvi qualcosa di ragionevole e sensato non appena possibile.
...
Ho la sensazione, ovviamente spiegabilissima, di essere circondato da creature più o meno senescenti. che procedono lentamente su strade torride, tirando carrelli troppo pesanti o sorreggendo sacchetti troppo pieni. Creature che incontro continuamente sull'autobus - il 42, la "linea degli ospedali" - e che mi attendono anche la mattina presto, quando porto a spasso il mio povero cane, con i loro ghighi tristi e sarcastici, i volti smarriti o rabbiosi, i loro passi lenti e ineguali. AIUTO! Ma c'è ancora qualcuno di giovane che non sia arabo o cinese? 
Non ho nulla contro di loro, intendiamoci, ma ho un ricordo diverso delle nostre città. Rumore di bambini e richiami di madri, non questo futuro cimitero.
Va bene, va bene, la smetto. In fondo sono (abbastanza) vecchio anch'io. 
Mi auguro di poter riprendere presto il tema del tempo nella narrazione. Ho giusto notato un passaggio in Arkfall che merita una riflessione. Adesso scappo: devo accompagnare mio padre alla sua visita di controllo... 



16.6.13

Quando arriva il mostro...


Sono messo malissimo a tempo. Non sto nemmeno a rispiegare perché, tanto siete tutti svegli e sapete perché. Avevo pensato di recensire un libro "enigmatico" ma non ho avuto mai il tempo e soprattutto la testa per farlo. Quindi torniamo alla musica, per questa settimana.
...
Il clarinetto basso è quello strumento che, soprattutto nella prima metà del secolo scorso aveva il compito di introdurre nelle colonne sonore, possibilmente con una scala discendente, l'avvicinarsi di un mostro e/o di qualcosa di terrificante, inatteso, terribile, orribile ecc. ecc.
Il clarinetto basso, o clarone, non ha mai avuto una vita facile, anche perché con il suo suono nasale, profondo, legnoso e lento sembrava lo strumento meno adatto all'utilizzo nel jazz. Poi è arrivato Eric Dolphy, collaboratore tra gli altri di Charles Mingus e di John Coltrane a dimostrare che con il clarone si poteva fare praticamente tutto. 
L'ho conosciuto in quanto flautista di talento ma mi è rimasto in mente proprio per il suo sgraziato, goffo e terrificante strumento, da lui divinamente suonato.




 

15.6.13

Senza fermarsi


Sono a metà della mattina, ritornato da casa di mio padre dove gli ho inflitto la sesta di N iniezioni in vista dell'operazione di cataratta che lo aspetta alle 8 di lunedì e in attesa di andare a trovare mia madre, tuttora ricoverata in ospedale. Che comincia a dare segni di insofferenza, dal momento che la fase di emergenza è finita. È stata una settimana decisamente pesante, con pochi momenti in famiglia e quasi nessuno per me. Sono di un umore curioso, come di chi è talmente impegnato da non trovare né la voglia né sentire il desiderio di fare qualcosa di diverso da correre a destra e sinistra. 
Ma passerà, certo, lo so. 
Ho comunque trovato il tempo per andare a sentire l'ottimo Pezzini che presentava il XIV capitolo del Dracula di Stoker, in collaborazione con Cristiana Astori, autrice di due Gialli Mondadori, usciti nell'ottobre del 2011 e nel dicembre del 2012. Eccellente come il solito la presentazione di Pezzini e interessanti le osservazioni di Cristiana, un ircocervo o una chimera magicamente sospesa tra il cinema e la letteratura, soprattutto come nel suo primo libro - Tutto quel nero - dove dedica spazio, tempo e suggestioni a Soledad Miranda, una delle attrici preferite dal regista Jess Franco e che ha recitato nel suo El Conde Dracula considerato da molti una delle versioni cinematografiche più vicine al romanzo di Stoker.
Si tratta, forse qualcuno lo ricorderà, del Dracula, protagonista Christopher Lee, dove a fare la parte di Renfield fu l'ottimo Klaus Kinsky. 
Qui di seguito propongo, per coloro che hanno più voglia e più tempo di me, la possibilità di dare un'occhiata al film: 



o quantomeno all'impagabile trailer della versione tedesca: «Nacht wenn Dracula erwacht»: 

  

13.6.13

Un banale incidente


Soltanto poche righe per una banale notizia di cronaca che mi ha colpito. 
A Roma, soltanto ieri, in seguito ad un banale incidente d'auto, un tamponamento o qualcosa del genere, probabilmente risolvibile con poche centinaia di euro, un uomo è stato eseguito sul posto con un colpo alla nuca, dopo aver ferito con un coltello il giovane alla guida dell'automezzo, figlio della guardia giurata che lo ha "giustiziato". Da aggiungere che gli infermieri del 118 sono stati aggrediti quando sono sopraggiunti sul luogo dell'assassinio dai parenti e amici dell'ucciso, l'ambulanza è stata fatta segno del lancio di pietre e uno dei volontari è stato ferito con probabile rottura della clavicola.
In apparenza nulla di particolare da segnalare. Un delitto banalmente ovvio, come ne avvengono con cadenza settimanale in un paese di perfetti imbecilli come questo. Una discussione che si fa sempre più rabbiosa, dove cominciano a volare "parole grosse" finché uno dei presenti non tira fuori il coltello. Tutto il resto viene da sé. 
Ma la cosa che mi ha colpito davvero della vicenda è stata l'ansia di risolvere la disputa facendo ricorso a categorie più o meno medievali. L'onore ferito, l'attacco alla famiglia, la necessità di reagire all'invasore, il sangue che scorre. Certo, vista l'età di uno dei contendenti non è difficile immaginare che il problema sia nato dalla crisi imprevista creatasi. Un giovane presumibilmente fresco di patente o forse privo di essa - ben che vada con il foglio rosa - un individuo ben deciso a far valere i suoi buoni diritti e un padre preoccupato fino a giungere alla completa idiozia di eliminare il "nemico". Un giovane che rischiava di veder scomparire fino a data remota la sua patente e un padre tanto terrorizzato da reagire tanto virilmente quanto asininamente. Ma no, non è possibile scuotere la testa e tirare avanti. Certo, si tratta di un fatto dannatamente quotidiano, di un vero complotto di idioti, ma sul quale merita fermarsi un attimo. Se la patente fosse stata fondamentale per il diciottenne, l'unica occasione per acchiappare un lavoro di un qualche genere? Se il suo contendente si fosse trovato nella condizione di non poter fare ricorso all'assicurazione perché aveva saltato la rata? E privo del denaro per aggiustare l'auto? In questo caso perché non minacciare, ricattare, evocare sfracelli? Ma il giovane non può fare passi indietro, non può promettere denaro per cancellaro lo sgarbo, il padre - presente - non glielo permette. Ci si intigna, si esagera, si minaccia. L'argomento del danno viene cancellato, passa in seconda linea, ora a essere messa in discussione è la propria condizione di babbuino alfa o omega. Appare un coltello - chi tra chi mi legge porta con sé un coltello in automobile? -  e la virilità sembra riconquistata. Almeno finché non salta fuori una pistola. 
I parenti del morto arrivano di corsa, lo vendicano lapidando un'ambulanza e picchiando tre uomini vestiti in arancione che non possono intervenire. 
«Saranno stati tifosi della Lazio [1]», mormora qualcuno, «Ultras fuori dallo stadio, ndranghetisti de Roma». 
Certo, è possibile. Nei prossimi giorni lo sapremo. Ma resta la sensazione che alcuni momenti, alcuni fatti, riescano ad penetrare profondamente nella realtà presentandoci una serie di fatti che possono avere la più semplice delle spiegazioni - tre idioti alla guida: un malavitoso e due imbecilli - come denunciare una situazione di crisi molto più profonda di quanto immaginiamo.

[1] Infatti i giornali hanno appena dichiarato che il morto era un "tifoso della Lazio".

11.6.13

Per aspera ad astra


Nei giorni scorsi (ci) è venuto a mancare Iain Banks. Nei giorni precedenti John Holbrook Vance, Jack Vance per chi lo conosceva e l'apprezzava. Banks ucciso da un tumore incurabile, dopo una sua dichiarazione di qualche mese fa nella quale raccontava con perfetto humour nero della sua condizione di walking dead e della sua convivente, sposata negli ultimi mesi della sua vita per poter diventare «la mia vedova». Vance, morto a 97 anni, aveva dovuto cessare la sua attività di scrittore già da qualche anno perché colpito dalla cecità. Un morbo inguaribile e una morte giunta in ritardo. Per due autori che sono stati per me - e per tutti i lettori di sf al mondo - estremamente importanti, per quanto mi riguarda innanzitutto come lettore ma anche come autore.
Solo nei mesi scorsi ho pubblicato un paio di articoli su Banks su Il futuro è tornato, precisamente qui e qui e che ho poi ripubblicato su questo blog. E un articolo sull'ultima opera di Jack Vance, pubblicato in origine su ALIA Evo e poi di nuovo su Il futuro è tornato. È stato un puro caso, in entrambe i casi, ma adesso, perlomeno per me, suona come un addio. 
Ma non sarà l'unico né l'ultimo, lo prometto. Su ALIA Evo comincerò presto una serie di recensioni/presentazioni sui due autori, rivisitandone le opere principali. È una promessa [1]. 


...
Ma, a fianco della sensazione di vuoto inevitabilmente provata, restano aperte una quantità impressionante di domande. E come sempre siamo noi che restiamo a dover fare i conti con ciò che rimane. E soprattutto con ciò che rimane disponibile in Italia. Della sorte della sf scritta e tradotta nella lingua di Dante. 
Bene. In italiano rimane davvero molto, molto poco. Scomparse o mutate, come sappiamo bene, le principali case editrici, semplicemente nessuno ha i soldi - o, meglio, pensa di poterne investire - in un settore apparentemente marginale e foriero di naufragi come la SF. Ed è questo almeno in parte un problema non esclusivamente italiano, tanto più tenendo conto che è la sorte stessa del libro (cartaceo) a essere in discussione. Gli editori, non soltanto quelli italiani, avanzano su terre infide e se esiste un momento nel quale puntare sui nuovi talenti dev'essere nella direzione opposta a quella verso la quale stiamo avanzando.
Per noi appassionati non rimane altra possibilità che leggere direttamente in lingua inglese. O tedesca. O francese. O in russo... Più o meno come uomini colti e interessati del XVII secolo che vivevano in aree eccentriche dell'Europa dell'epoca e quindi obbligati a imparare a leggere e scrivere in latino. 
Ma il panorama non si ferma qui.
Qui da noi - e non solo da noi - esiste tuttavia un ricco, anche se non sempre felice, sottobosco di nuovi e vecchi autori che pubblicano ugualmente, presso minieditori o autoeditandosi. 
Non è tutto perfetto e meraviglioso, certo, si tratta di una letteratura grezza, spesso insufficiente sia da un punto di vista formale che di contenuti, ma qualcosa di vivo che caparbiamente resiste alla morte più volte dichiarata della fantascienza. La SF cacciata dalla porta ritorna in mille e mille rivoli, mutata, ibridata, incrociata, distorta ma sempre riconoscibile. Un fantasma inquieto e impossibile da cancellare. Qualcosa che ci dà, nonostante tutto, qualche speranza per il futuro.  



[1] Ho comunque diverse recensioni già pubblicate sul sito www.librinuovi.net, sia mie che di mia moglie Silvia Treves, recensioni che potete trovare qui, qui, qui, qui e qui

9.6.13

Freddo post-orgasmo




Charlie Big Potato, tratto dall'ultimo album degli Skunk Anansie prima dello scioglimento, nel 2001, seguito dopo dopo otto anni, da un «reunion», è un pezzo esemplare nella carriera del gruppo e, come video, uno dei migliori della fine del secolo scorso. 
...
Debbo ammettere di apprezzare di più la prima produzione del gruppo, fino a Post Orgasmic Chill, mentre ho la netta sensazione che i due album usciti dal 2009 siano frutto di mestiere e manchino del gusto acido e rabbiosi dei primi. Quanto alla carriera solista di Skin preferisco non esprimermi: ho troppa simpatia per lei. Questione di gusti, comunque.
...
Domenica scorsa avevo promesso di darmi qualche vacanza dai post musicali e di presentare qualche libro. Ma per far questo c'è bisogno di tempo. E ieri, oggi e presumibilmente nei prossimi giorni sarà impegnato al "capezzale" di mia madre, ottantunenne colpita da una grave anemia, probabilmente dovuta a un'ulcera asintomatica. Quindi oggi Skink Anansie e nei prossimi giorni si vedrà. Non sto nemmeno a far perder tempo a nessuno per dire quanto sono affezionato alla mia "vecchia". 
Vai tranquilla, noi non ti lasceremo.




8.6.13

Briciole




Un racconto pubblicato nel 2006, nell'antologia «Sviluppi imprevisti» della mia ottima amica Cettina Calabrò, antologia ora finita esaurita ma che rimane nel mio cuore. 
Un racconto nato da una fotografia (Cettina è fotografa), anzi, che doveva nascere da una fotografia, quella che riporto qui sopra.  Lo stesso valeva per gli altri sei autori, ciascuno guidato da una fotografia di Cettina. Venne un'ottima antologia, esaurita in pochi mesi.
Personalmente scrissi un racconto di sf che, però, si  sviluppò eccessivamente, tanto da diventare inaccettabile per l'antologia - e che, opportunamente sistemato finì nell'ALIA autori italiani del 2008 - e in sostituzione questo. Un racconto fantastico ma non fantascientifico, nato da un incontro su un autobus che mi diede non poco da pensare. Buona lettura a tutti. 


Detesto gli assicuratori.
Nonostante si sforzino di apparire semplicemente gentili hanno sempre un che di saponoso, di sfuggente, un doppio sguardo che, mentre ti considera con una cortesia ovvia e sterile – da barbiere o da tassista – calcola mentalmente quanto ti potranno ancora spillare per una polizza vita o per un’assicurazione sulla salute.
Quando stipulai quell’assicurazione erano tempi diversi. Mi sentivo irragionevolmente ricco, tanto da fingere di preoccuparmi della vecchiaia, da costruirmi un feticcio, un alibi per l’irrazionale desiderio di possedere l’ennesimo paio di scarpe, un’altra inutile maglia o un nuovo gadget elettronico. Poi sono venuti tempi più difficili, ho dovuto tagliare acquisti e capricci, Monica e io ci siamo separati senza fortunatamente aver mai messo in pratica il delirio sempre più frequente che ci prendeva dopo qualche bicchierino. «Un bambino»; «Sì un bambino»; «Ciò che ci manca»; «Un bambino nostro».
Ho capito soltanto dopo che si trattava di un segnale d’allarme, del segno di un rapporto che aveva esaurito in fretta le parole e si nutriva di azzardi sempre più alti. Un bambino, andare via da questa città, da questo paese, vivere di poco, riscoprirci naturalmente felici. Sei mesi di pura imbecillità fino alla morte di sua sorella, lei che se ne va da questa città, le telefonate che si diradano, qualche incontro nella stazione della cittadina di provincia a metà strada tra noi. Poi la cena, più silenziosa, l’albergo più vicino alla stazione, la sua pelle opaca, i segni arrossati degli elastici di reggiseno e collant che mi disturbavano, che mi davano fastidio. Insofferenza per ciò che giudicavo trascuratezza, sciatteria. I litigi lividi, freddamente rabbiosi, le spiegazioni tardive, ripetute, sempre uguali e poco convincenti. Avevamo smesso di parlare di bambini, di vita naturale, della casa ai piedi della montagna. Lei beveva di più, io trovavo scuse per rimandare i nostri incontri. Sapevamo che era finita ma non avevamo nemmeno il coraggio di dircelo. È stato un rapporto immaturo, una somma algebrica di desideri e piccole presunzioni. Ma io non sono cambiato, forse soltanto più acido, più rattrappito.

Devo pagare la rata dell’assicurazione. Una delle poche cose che mi legano ancora a quel tempo. Mettere insieme il denaro, adesso, non è più facile come allora. Per telefono il «dottor Mambri», come lo chiama la sua segretaria, ha tentato il solito colpo: «Sarebbe il caso di aumentare il premio…»; «Non se ne parla neppure»; «Mi piace, lei, dottor Arena, è proprio un duro»; «Grazie, ma non ho intenzione di aumentare il premio»; «L’aspetto, nella Wolfsschanze, venga pure».
La Wolfsschanze, la tana del lupo. Il rifugio di Hitler.
Disseminare i suoi discorsi, sospesi tra il paterno e il complice, con i lustrini di una cultura raffinata che non possiede, è parte del suo talento. Lo detesto, probabilmente, perché sa come lusingarmi. Come un prostituta abilissima mi fa sentire prezioso, al centro dell’attenzione.
Per arrivare al suo ufficio ho preso l’autobus. Passa sulla riva sinistra del fiume, nella striscia sottile che separa la sponda dalle vie che salgono alle pendici della collina. È una linea non troppo frequentata e attraversa una zona delle città che conosco molto poco. Ho scelto l’autobus per questo, oltre che per l’illusoria convinzione di non accrescere l’inquinamento in città. Piove, una pioggia sottilissima che potrebbe continuare per giorni. Un inverno lunare, secco e freddo, e una primavera grigia e umida. Nel Nord metropolitano in lento degrado.


A metà mattina sull’autobus c’era pochissima gente. Un paio di studentesse che hanno saltato scuola, tre o quattro pensionati con minuscole sporte, sei o sette immigrati, per lo più donne. Badanti o prostitute nere in libertà. Un solo bambino in braccio alla nonna. Il percorso è più lungo di quanto lo ricordavo. Pochi salgono o scendono. Qualcuno chiacchiera troppo forte, molti tacciono e guardano dai finestrini con l’attenzione vuota di curiosità di chi ha già compiuto quel percorso molte altre volte.
Sale scuotendo l’ombrello, vestita di una cerata rossa che la rende ancora più giovane. La osservo soltanto per un istante prima di allontanare lo sguardo. Wilma. Vent’anni almeno che non la vedo. Un paio di sere con lei è tutto il nostro passato sentimentale. La prima un fiasco completo, la seconda nervosa, inutilmente aggressiva. La guardo mentre si tiene alla sbarra accanto all’uscita. Bionda, i capelli ricci, la pelle chiarissima, gli occhi grandi, da miope, tanto chiari da essere quasi incolori.
Non so se sarei contento che mi riconoscesse. Non abbiamo mai avuto molto da dirci. La guardo ancora, lei solleva gli occhi e torno a fissare l’erba grigia che scorre oltre il finestrino rigato di polvere.
No. Qualcosa non va. Non è Wilma, non può essere lei. Non può essere identica alla Wilma del mio ricordo, come se il tempo non fosse passato. Io sono cambiato: molti capelli sono diventati bianchi, sulla fronte e intorno agli occhi si sono schierate le rughe, cerco di ignorare nei e altri difetti della pelle, piegare la schiena mi provoca brividi e dolori ancora indistinti. Ogni tanto mi assalgono paure indefinite se non riesco a ricordare un nome o un incontro. Sono invecchiato, anche se mi illudo di essere ancora me stesso al 99 per cento. Una questione di percentuale. La percentuale di me stesso dentro il mio corpo che scende inesorabilmente. Sarò l’ultimo a capirlo, comunque.
Wilma-non-Wilma guarda verso di me. Ha la sensazione di avermi già visto? Più giovane, certo, molto diverso. Mi sento osservato da un fantasma. Una sensazione assurda. Non è Wilma, è una ragazza che le assomiglia, tutto lì. Una sorella minore. Una figlia prematura. Lei stringe gli occhi, da miope che ha tolto gli occhiali per non bagnarli.
Scendo alla fermata successiva, aggregandomi d’impulso a due slavi in abiti da muratori. Sotto la pioggia la osservo ancora una volta, privo di energie.


Ritorno a casa in taxi. Mambri non c’era. Ha lasciato l’incarico di raccogliere il mio assegno alla segretaria, falsa bionda stretta in jeans di una misura inferiore al necessario. Non mi ha sorriso, pallido e fradicio dovevo sembrare entrato lì per caso, un increscioso estraneo nel mondo dell’investimento e della ricchezza paziente.
Evito la riva sinistra e passo costeggiando il futuro mancato di Italia ‘61. Stanno restaurando, cercando di trasformare il sarebbe-potuto-essere, il trapassato futuro, come lo chiamavamo con Monica, in un monumento all’inutile. Trapassato futuro aveva una sua imbarazzante dignità, i suoi eredi – rivisti, ripuliti e riutilizzati – non avranno neppure quella.
Mi sento sollevato per avere evitato l’incontro con Mambri, ma il falso incontro con Wilma continua, tormentoso, ad accompagnarmi. Un errore, un falso riconoscimento, che altro? Sono poi così certo di avere conosciuto una ragazza di nome Wilma? Che pensiero idiota. Certo, mi ricordo perfettamente la sua biancheria lucida di falsa seta. Sorprendente per una ragazza di nemmeno vent’anni. La radio del taxi trasmette una vecchia canzone. Non ricordo il nome del gruppo e nemmeno il titolo della canzone. Eppure era una canzone che ricordavo perfettamente. Ne avevo tradotto il testo. Era una delle canzoni che amavamo di più, io e… il mio amico, il mio miglior amico. Il suo nome si nasconde da qualche parte, oltre la pioggia. Vicino e inafferrabile. Insieme al nome del gruppo, al nome della canzone, a tutto il passato che sta scivolando via dalla memoria. O ritornando inatteso e falso. – Scendo qui, grazie –, balbetto.

Il mio piccolo appartamento odora di fumo e di acido. Apro le finestre, lascio entrare la pioggia e l’aria. Due stanze più il piccolo bagno. Sarebbe un perfetto pied-à-terre e dell’alloggio da week-end con la segretaria ha anche il prezzo e il contratto rinnovabile ogni due anni. Invece ci vivo davvero, senza nemmeno una segretaria da sbattere.
Devo essere grato a mio padre che è riuscito a trovarmi ancora un posto presso una concessionaria d’auto dopo il fallimento dell’agenzia viaggi. «Non è stata colpa mia», mi ripeto nelle ore della prima luce, quando, già sveglio, non posso impedire al mio io di istruire un processo sommario al mio fallimento e dichiararmi ogni volta colpevole. «Non è stata colpa mia», ripeto. Non riesco a convincermene, non sono mai riuscito a convincermene.
Tolgo le scarpe e scivolo in camera da letto nella luce grigiastra della pioggia. È quasi mezzogiorno ma potrebbero essere le sette del mattino o le cinque del pomeriggio. L’odore acido è più forte, insopportabile, c’è fumo. Corro ad aprire la finestra. Il piano di plastica del comodino è annerito e piegato, il libro che stavo leggendo ieri sera prima di addormentarmi per metà bruciato. Smarrito, soffio e dal piano annerito si alza una nube di frammenti di carta bruciata. Di fianco al libro il portacenere di cristallo, ingiallito ma ancora intero. Stamattina ho acceso una sigaretta prima di uscire, l’ho appoggiata sulla scanalatura del portacenere e poi mi sono ricordato di non essermi fatto la barba. Sono uscito senza ripassare dalla camera. Tutto qui, una sciagurata trascuratezza che poteva creare danni molto più gravi.
Torno in cucina a prendere uno straccio, dell’acqua. Pulisco, elimino i resti di cenere e le ombre. Del libro, che ho l’abitudine di posare a copertina in giù, sono bruciate, per un curioso capriccio della fisica, soltanto le pagine successive al segnalibro. Circa metà del libro che non leggerò. Pazienza, un libro mediocre che trascinavo per non ammettere di avere sprecato i miei soldi. Lo infilo in un sacchetto di plastica per gettarlo via. La stessa sorte cui andrà incontro il comodino, che sostituirò provvisoriamente con uno sgabello.


Raggiungo la concessionaria a piedi. A metà strada mi rendo conto di non aver portato con me il libro per gettarlo via. «Come si chiamava l’autore?» Nebbia. Nacht und nebel, «notte e nebbia», avrebbe detto Mambri in uno dei suoi accessi di cultura. Come si chiamava l’autore? Il panico non arriva ancora a stringermi la gola, sono soltanto sorpreso. Alzheimer. Ricordare il passato remoto e non riuscire a ricordare il passato recente. Giro l’angolo prima della concessionaria. Autore: «Enrico Volpato», titolo «Saluti e baci». Niente Alzheimer, per il momento.


Detesto trattare con i clienti. Mi hanno assunto per occuparmi dei rapporti con i fornitori, lo stesso lavoro che facevo in agenzia. Ma le macchine sono qualcosa di solido: modello, tipo, cilindrata, anno di produzione, accessori eccetera. I viaggi qualcosa di volatile, capriccioso, intrinsecamente idiota. Qui sono chiamato a trattare con pochi fornitori non a destreggiarmi tra offerte mirabolanti e sconti inquietanti. Non sono brillante, ma macino il mio lavoro senza infamia e senza lode. Uno dei venditori non è venuto a lavorare. Dovrò sostituirlo. Piove, se sarò fortunato non capiteranno clienti. Che fretta c’è? Perché comprare un’auto proprio oggi?
Dimentico sempre che il cattivo tempo immobilizza le auto più vecchie o fa nascere desideri, anche se vaghi e informi, di qualcosa di nuovo. Odore di un’auto mai usata, colore di vernice cromata, di rapide ombre metalliche sotto il cielo limaccioso. Un pomeriggio di lavoro, pochi affari e moltissime chiacchiere. Un bordello dove si chiedono i prezzi, si ammirano cosce e seni ma non si scopa. Vorrei riuscire a condividere la passione esegetica con la quale certuni discettano di carburatori, cilindri e prestazioni. Ma non me ne importa nulla. Sorrido e annuisco, fingendo di riconoscere genuina competenza. Vanno via contenti, alle spalle un altro pomeriggio inutile.
Arriva tra gli ultimi, quando manca un quarto d’ora alla chiusura e io sono quasi riuscito a dimenticare l’incontro con Wilma.
Stefano, lo riconosco senza esitazioni. I capelli lunghi come li portava allora, il sorriso incerto, i modi cauti, tra l’aristocratico e l’ingenuo. Non lo vedo da anni. E nemmeno adesso lo sto vedendo, ne sono certo. Rimango immobile seduto alla scrivania fingendo di consultare qualcosa al computer. Spero se ne vada, che sia entrato qui per errore. Stefano non è il tipo da battere i pugni sul tavolo e gridare: «Sono qui!» E infatti, si guarda intorno per qualche istante e fa dietrofront. La porta automatica scivola silenziosamente quando la fotocellula avverte la sua presenza.
Si volta ancora e mi fa un cenno prima di scomparire nel crepuscolo grigio.



Come ho perso di vista Stefano, Wilma, gli altri?
Come si perdono di vista amici e conoscenti di un’altra età. Impossibile stabilire un momento. Quando certi legami si fanno deboli è sufficiente un’estate per perdersi. Diventano vita alle spalle, ricordi poco frequentati, immagini confuse. Ci si rassegna facilmente, a certe perdite, e ritrovarsi è imbarazzante. Quando si è smesso di fare fronte comune contro la vita che ci aspetta non ci sono più parole né desideri comuni.
Finalmente di nuovo solo, sul tavolo una pizza ancora avvolta nel cartone caldo che non mi decido ad aprire e mangiare. Mi alzo, vado ancora una volta in bagno, in piedi davanti all’unico specchio che posseggo. Sono io, con tutti gli anni che mi spettano. Troppo stanco del passato per aver davvero voglia di un futuro. Un caso. La memoria che mi fa brutti scherzi. Suona il telefono. Mia madre che mi ricorda che tra due giorni è il compleanno di mio padre. «Dov’è adesso?»; «Fuori con il cane»; «Sta bene?»; «Certo, che sta bene»; «Me ne ricorderò, stai tranquilla»; un sospiro. Prima ero presuntuoso, troppo sicuro di me. Adesso non sono più sicuro di nulla, di me meno che mai. Mia madre non se la sente di chiedermi se ci sono donne nella mia vita e cerca di non pensare che la sua vecchiaia sarà vuota e secca. Nella sua voce si nasconde un rimprovero sempre più flebile. La pizza è ancora tiepida, la mangio in pochi bocconi. Se accendo la televisione dovrei riuscire a dimenticare questa giornata assurda.
Dimenticare, per lasciare posto a che cosa?
Sono immobile, seduto al tavolo troppo alto che avrei voluto cambiare da molto tempo.
Nella stanza d’albergo, l’ultima volta che mi vidi con Monica, c’era un lampadario di cristallo a gocce, le lampadine a risparmio energetico troppo grandi, troppo alte. Le abat-jour con i paralumi di raso color nocciola con qualche macchia più scura. La parte macchiata girata verso il muro. Il sesso tra noi era diventato affannoso, frenetico. Lo facevamo con enfasi, come se i nostri gesti fossero tanti punti esclamativi, lo facevamo per dovere verso il nostro rapporto che cadeva a pezzi. Sul divano, sotto la doccia, sulla moquette dall’odore di plastica acida. Siamo stati trasgressivi, perversi. Siamo stati disperati. Non eravamo più capaci di essere soltanto vicini, soltanto felici. Increduli, ma testardi, non sapevamo rassegnarci.
Non voglio questo genere di ricordi. Li ho evitati con cura per tutto questo tempo. Nuda, sdraiata sulla moquette, i capezzoli piccoli e chiari, quasi invisibili nella luce verdastra delle abat-jour, la consideravo con distacco, immaginando di provare desiderio. Il suo sguardo era assente, forse paziente, forse distratto.
Briciole di momenti senza sapore, consegnate all’infinito temporaneo del ricordo.


Il libro bruciato è appoggiato sulla cassettiera, di fianco al letto.
Lo estraggo dalla busta, lo scuoto.
Scorro le pagine già lette.
Come sempre non mi ricordo i nomi dei protagonisti.
Ah, sì. Mariano. Un nome idiota. Ieri sera Mariano… Che cosa stava facendo? Guidava sulle colline toscane cercando la casa di Enrico. Si erano persi di vista da tempo, ma…
Nelle pagine bruciate ci sarà il loro incontro. L’incredulità e la constatazione del tempo ormai perduto. Dell’età che ci fa percorrere traiettorie diverse. Sempre più lontane. Forse. O forse si tratterà di un felice incontro, di una nuova amicizia che nasce dalla vecchia. Per saperlo mi basterebbe andare a comprare un’altra copia dello stesso libro. Domani.
Ma domani mi sembra un tempo infinitamente lontano. Da tempo non c’è stato davvero un «domani», ma soltanto un oggi interminabile, un tempo amorfo e immobile da percorrere in tutte le direzioni senza riuscire a trovare un’uscita.
La pioggia è cessata. I balconi umidi del palazzo di fronte al mio stanno perdendo il debole riflesso di luce regalato dall’umidità.
L’ultima parola che ho letto ieri: «transizione». Nella pagina di fronte si distinguono, sui limiti estremi del nero opaco della bruciatura, una «f» e una «o». Folla, follia, folaga, fottere.
Basterebbe comprare un’altra copia dello stesso libro.
Basterebbe.
Se soltanto potessi riavviare la piccola sveglia sul comodino, immobile sull’ora ottimista dei pubblicitari: le dieci e dieci.
Se soltanto il mio orologio, abbandonato sul tavolo, riprendesse a macinare secondi, minuti, ore.