29.4.16

Letture rimandate


Tra un'impegno e l'altro ho lasciato che la famosa pila sulla mia scrivania crescesse ancora. A questo punto siamo a nove libri letti e anche da un punto di vista strettamente di statica della pila non siamo più troppo sicuri. Quindi abbiate pazienza, ma devo fare qualcosa. Nella fattispecie parlarne.
Cominciamo andando in ordine di stabilità, ovvero dal libro più spesso, cioè quello che verticalmente può dare più problemi. 
Si tratta de La congiura dei Dorsai di Gordon Dickson, Nord 1990, ed. orig. 1988, titolo originale The Chantry Guild, trad. di Annarita Guarnieri. 
Un libro ahimé decisamente noioso. 
In parte la colpa è stata (anche) mia che, dopo aver letto e apprezzato i primi volumi del ciclo dei Dorsai – Generale genetico, Soldato non chiedere, Tattica dell'errore e Il Dorsai perduto –, sono saltato all'ultimo volume ignorando due volumi verosimilmente fondamentali del ciclo, L'Enciclopedia Finale 1 e l'E.F.2. 
Ma qual è il problema della Congiura? La vicenda? 
Beh, certo non è particolarmente complessa – Hal Mayne, ricercatore a bordo dell'Enciclopedia Finale, riceve notizie da Amanda Morgan. Parte per andare a salvare la Gilda Cantoria (la The Chantry Guild del titolo originale) stretta d'assedio dai cattivi della situazione – Bleys Ahrens e i suoi accoliti – e soprattutto per ritrovarla. 
Sì, lo so che basterebbero una trentina di parole per raccontare I promessi sposi, Cime tempestose o il Mostro di Frankenstein ma il problema di Dickson è che, bene e male, non ha molto di più da raccontare e che quindi 428 pagine sono davvero troppe. Ovviamente non racconterò come finisce il romanzo, ma posso tranquillamente affermare che fino a pagina 120 non accade nulla che sia essenziale sapere e che da in poi, la compagnia dei maestri della Gilda Cantoria risulterà purtroppo ovvia. Tra tutti i generi di umani immaginati dall'autore canadese-americano gli Esotici dei pianeti gemelli Kultis e Mara sono il gruppo umano più complesso da narrare e con il quale, necessariamente, il rischio di affastellare parole senza giungere a una definizione precisa è altissimo. Gli Esotici, virtualmente ricalcati sui monaci buddhisti, sono individui mistici senza essere credenti, sono non-violenti per vocazione, intelligenti in maniera imprevedibile e sorprendente, antiautoritari, praticano una società ugualitaria che rifiuta ogni forma di consumismo e pur sapendo utilizzare ogni genere di tecnologia non ne sono né schiavi né succubi. Gli Altri, ovvero i seguaci di Bleys Ahrens, sono una razza nata dall'incrocio fra tre culture separate e il loro capo sa utilizzare armi di persuasione sottili e pericolose come l'ipnosi (!)
Il maggior problema di Dickson è quello di avere un'ottima visione d'insieme, capace di colpire e affascinare, ma non è altrettanto bravo nel passare dal livello sociale a un livello personale e più in generale da un'idea grandiosa alle piccole banalità della vita quotidiana. Il suo «cattivo», Bleys Ahrens, funziona a meraviglia come remota forza maligna ma sul piano personale risulta una sorta di Mussolini in pigiama, con qualche fissazione pericolosa e un genere di potere personale che lo rende più simile a Mandrake che a un vero dittatore multiplanetario. E lo stesso discorso finisce per essere vero anche per gli Esotici e più in generale per le diverse culture in cui l'umanità si è spezzata e divisa. Ed è da questa incertezza nella definizione precisa al di là di immagini e mascherature – che obbliga Dickson a costruire pericolose cataste di parole per descrivere al meglio i suoi personaggi senza, in ultimi analisi, riuscirci fino in fondo.
In definitiva non posso che confermare la sensazione riferita in un post del 2011 dedicato a Gordon Dickson, scomparso nel 2001:

L'umanità si è divisa e separata secondo le proprie diverse caratteristiche di temperamento e capacità. I mistici, i religiosi, i tecnologici, gli economici, i militari. Ognuno con il proprio pianeta, unito o separato dagli altri dal tipo di controllo condotto sulla mano d'opera. Puoi essere venduto a un altro pianeta senza possibilità di discuterne o essere ceduto secondo la tua disponibilità e i tuoi interessi. Il modo di trattare il personale specializzato - scienziati, guerrieri, ingegneri, bibliotecari o preti - determina la posizione politica del pianeta nell'universo umano. «Comunista», se è il pianeta a decidere per te, oppure «liberale». Inevitabile constatare ora, anno 2011, tutta la banale semplificazione di questo modello di società futura.


Ma nessun rancore, Gordon, i tuoi semi hanno comunque dato frutti, anche se tardivi.
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E rimaniamo sulla fantascienza, visto che siamo partiti da lì. John Scalzi, Le Brigate Fantasma, Gargoyle 2013, titolo originale Ghost Brigades, 2006.
Godibile senza alcun dubbio, il romanzo di Scalzi ha il solo difetto di lasciare il lettore in qualche modo insoddisfatto, come se molte delle cose scritte e dette mancassero di una cornice più ampia nella quale inscriverle. Il tema è semplice e poderoso, il Dottor Boutin, neurofisiologo di punta ha tradito la causa dell'umanità per mettersi al servizio di ben tre razze aliene diverse, tutte e tre decise a rintuzzare le mire espansionistiche dell'Unione Coloniale terrestre. Per parare il colpo militari e scienziati terrestri preparano un clone del dottor Boutin, lo battezzano Paul Dirac (tutti i cloni ricevono un nome derivato da quello di un grande scienziato) e lo inviano in un reparto di militari formato da altrettanti cloni, nati già adulti e addestrati – anche da un punto di vista sociale – in pochi mesi e guidati da una sezione indipendente del proprio cervello, il cosiddetto BrainPal che li rende profondamente empatici tra loro. E il punto di vista di Dirac(2), la sua peculiare visione della realtà fino all'incontro con l'Originale sono il centro del libro. 
Il tema, come si vede, è ricco e stimolante. Dirac(2) finirà per seguire le tracce del dottor Boudin – che ha un suo preciso anche se opinabile giudizio sull'Unione Coloniale –, o seguirà la sua personale visione del mondo, maturata in compagnia degli altri cloni, in qualche modo separati dall'umanità? E gli impulsi che lo assalgono avranno la meglio sulla sua fedeltè? E il dottor Boudin ha torto o in fondo ha qualche elemento di ragione nel suo odio per una organizzazione sovranazionale (e sovraplanetaria) che sembra non aver alcun rispetto per chi lavora per loro?
In qualche modo lo scontro si consuma fino a una soluzione comunque credibile, ma, come spiegavo all'inizio, si rimane vagamente perplessi e leggermente delusi per l'occasione perduta. Non completamente perduta, sia chiaro, ma passata troppo velocemente sullo sfondo. In fondo la ghiottissima occasione di mettere in scena un conflitto di personalità tra due soggetti che posseggono lo stesso DNA è un elemento di notevolissima drammatizzazione che meritava, anche in questo libro, qualche riga in più. Ma tant'è, in fondo il modo di procedere narrativamente di Scalzi è sempre stato segnato da una sottile aria di deja-vù, come a dire «ecco qua un'ottima storia di sf, vera space opera come se ne scrivevano una volta, ma, tranquilli, non prendetela troppo sul serio...». Altra caratteristica dell'autore il ricorso costante a uno crepitante humour antiautoritario, attentamente calibrato verso il mondo militare e civile, e l'assoluta mancanza di qualsiasi sense of wonder di senso religioso
È un buon autore, Scalzi, e merita leggerlo. Fine.
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Terzo libro di sf. A volerla definire così, cosa nient'affatto facile. Sto parlando di Jacques Spitz, autore francese che non è facile definire di fantascienza, anche se così viene sempre presentato. Di Spitz ricordo L'Occhio del Purgatorio (Urania 622, luglio 1973), un vero fulmine nel panorama sonnolento della sf italiana anni '70, prima dell'esperienza de L'Ambigua Utopia e di Robot.  
Spitz, morto nel 1963, non ha avuto nessun successo in vita e le sue opere sono tuttora difficilmente reperibili in Francia. È stato tradotto in Italia – e questo La guerra mondiale N° 3 raccoglie una serie di inediti – e solo parzialmente in altri paesi europei. L'aspetto caratterizzante di Spitz è il suo evidente legame con il surrealismo e con André Breton, il suo riferimento costante al sogno e alla follia che ritorna più volte nelle sue opere, basti pensare a Le Mosche – pubblicato in Urania 1510, maggio 2000 –, con i piccoli ditteri lanciati alla conquista del mondo. 

Follia, certo, ma una follia sociale, diffusa, impossibile da controllare e che non si può in alcun modo fermare. In questo senso La guerra mondiale N° 3 è un perfetto esempio di follia pianificata, di una febbrile passione per la distruzione che sembra possedere tutti senza distinzioni di razza, di ideologia o di genere di economia. E lo squilibrio mentale è, secondo Spitz, il segno reale della nostra civiltà, capace in qualsiasi momento di ritornare a un grado zero di violenza e terrore. Ma non si tratta di un testo deprimente, sia chiaro, Jacques Spitz racconta utilizzando un grado variabile di humour nero tale da rendere le sue colossali stragi e i suoi titanici incidenti essenzialmente ridicoli, come se ci fosse stata donata una visione sovra-umana che permette di sogghignare davanti ai buffi drammi di un'umanità troppo stupida per sopravvivere. A completare il testo, troppo breve per un singolo Urania, sei racconti tutti a loro modo godibili, con una piccola predilezione personale per Dopo l'era atomica, breve e divertita cronaca di un incubo assolutamente imprevedibile.  


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Mi fermo qui. La pila si è ridotta di poco più di un terzo del suo spessore. Un risultato, bene o male. A presto.