6.5.16

Distopia, via podcast


Un post breve, penso, per anticipare l'uscita su Hugmented, fantascienza in podcast (qui il link) della prima parte dello speciale sulle distopie. 
La distopia è... beh, possiamo utilizzare, una volta tanto, la Treccani: 

distopìa2 s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]. – Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa): le d. della più recente letteratura fantascientifica

E magari anche Wikipedia: 

Per distopia (o antiutopia, pseudo-utopia, utopia negativa o cacotopia) s'intende la descrizione di una immaginaria società o comunità altamente indesiderabile o spaventosa. Il termine, da pronunciarsi "distopìa", è stato coniato come contrario di utopia ed è soprattutto utilizzato in riferimento alla rappresentazione di una società fittizia (spesso ambientata nel futuro) nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche avvertite nel presente sono portate a estremi negativi.

Io e Silvia Treves siamo stati, come d'abitudine, coinvolti da Cooper del sito a dare il nostro contributo. 
Così abbiamo scoperto di essere dei veri nerd lettori per quanto riguarda la distopia, avendo letto una buona parte di ciò che esisteva in commercio in proposito. 
Abbiamo, per l'occasione preparato una sorta di brevissima guida al genere, un genere – forse sarebbe più giusto definirla una varietà letteraria – che si è rivelato ricco di incontri e sinergie tra autori mainstream e di sf. Praticamente un forum dove si sono incontrati alcune tra le migliori penne del '900.
Di seguito la nostra brevissima guida alla distopia: 


La Distopia è una sorella della sf, nel senso che si sforza di definire un ambiente, una situazione, una forma di governo direttamente derivata dal nostro presente esaltandone alcuni aspetti fortemente negativi e sottolineandone gli aspetti peggiori. Non esiste nella distopia un «novum» tecnologico capace di modificare la realtà ma un cambiamento esiste ed è essenzialmente politico o sociale.

Non è quindi un caso che a scrivere distopia, soprattutto negli anni '30 e '40 del secolo trascorso, siano stati autori che non avevano nulla a che vedere con la sf di quegli anni, autori europei come George Orwell, Evgenij Zamjatin, Aldous Huxley, ma anche Alfred Döblin, Katherine Burdekin, Ferdinand Bordevijk, Alfred Kubin. O, in America, autori come Jack London o Sinclair Lewis.

Se negli anni '30 e '40 la distopia è essenzialmente politica nel periodo compreso tra gli anni '50 e gli anni '70 assume una valenza prevalentemente sociologica, tecnologica o culturale come in Fahreheit 451 di Ray Bradbury, ne Il signore delle mosche di William Golding o in Livello 7 di Mordecai Roshwald, dove appare per la prima volta il nucleare come destino ultimo dell'umanità, in Arancia Meccanica di Anthony Burgess, nell'allucinante Il gregge alza la testa dell'inglese John Brunner, nel racconto lungo Soluzione Screwfly di Alice Sheldon (firmato come Racoona Sheldon), in Considera le sue vie di John Wyndham, in In terra di nessuno di David G. Compton, nei romanzi di P.K.Dick: Tempo fuori di sesto, Redenzione immorale, Scorrete lacrime, disse il poliziotto e, imprevedibilmente ne Gli Amaranto di Jack Vance.

A predominare in questi casi è da un lato la percezione di un grado di insanìa mentale incontrollabile, dall'altro la minaccia di un consumismo inarrestabile che trasforma il reale nel sogno di uno shopping interminabile, con l'apparire, a cominciare dagli '70, di una situazione di allarme per le condizioni del pianeta. Buon esempio la tetralogia degli elementi di J.G.Ballard: Vento dal nulla, Deserto d'acqua, Terra bruciata e Foresta di cristallo.

È quegli anni che si crea un rapporto di reciproco sostegno e di comune ispirazione tra sf e distopia, non a caso gli autori di sf tendono sempre più spesso a “invadere” il campo della distopia, estrapolando modelli di società – o di consumo, di desiderio, di apparenza, di medialità – in grado di suscitare urgenti interrogativi nell'ambito dell'opinione pubblica.

Verso la fine del secolo e nei primi anni del nuovo millennio la Distopia continua la sua corsa, non solo letteraria ma anche cinematografica. Appaiono testi come Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood, Battle Royal di Koushun Takami, Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, Ricambi di Michael Marshall Smith, Regno a venire di J.G.Ballard. La strada di Cormac McCarthy, Hunger Games di Susan Collins fino a Il Cerchio di David Eggers, testi dove la tecnologia finisce per invadere e spossessare anche l'area privata della persona.

La distopia è morta? No, anzi, la sua presenza è sempre più evidente e difficile da cancellare, essendo probabilmente divenuta un modo per respingere una società sempre meno comprensibile e soprattutto sempre meno governabile.

Gli autori dei quali abbiamo parlato per una quarantina di minuti sono indicati in rosso nel testo. 
Il podcast sarà prevedibilmente disponibile dalla fine di maggio, ma tenete d'occhio il sito per sapere la data precisa.
Nota a margine, potete cercare alcuni degli autori e dei libri elencati nel sito di LN-LibriNuovi

 

6 commenti:

Glò ha detto...

Non mancherò *_* Intanto ho annotato alcuni titoli e autori che già mi avevano solleticato!
Non amo troppo le "etichette", trovo che debbano essere assolutamente pratiche e utili e spesso mi sembra si tenda ad abusarne. Qui il discorso è ovviamente differente, anzi il post rivela nomi che mai avrei avvicinato alla distopia, vedi London (del quale ho terminato il terribile, a mio parere, Martin Eden :P).

Orlando Furioso ha detto...

Distopie e ucronie mi hanno sempre affascinato e sono quindi lietissimo di questo articolo, pieno di spunti e di opere/autori/autrici che mi sono subito segnato!
Conosco i, diciamo così, "classici": Orwell, Huxley, Ballard, Dick... ma molte delle opere citate non le ho mai (ancora) lette.
Attendo il prossimo podcast con molto interesse!
A presto.

Massimo Citi ha detto...

@Giò: la distopia è un tipo di letteratura che credo nasca da un esercizio di volontà e insieme da un'oscura paura. «Il Tallone di Ferro» di Jack London è un ottimo esercizio di questo genere di arte come, credo, i testi di molti degli autori indicati, che sono poi una frazione del grande numero di autori che ne hanno scritta.

Massimo Citi ha detto...

@Orlando: un viaggio nella distopia è un esercizio non facile ma fortunatamente non pericoloso... Il podcast dovrebbe uscire con l'inizio di giugno, ma ne darò notizia.

Marco L. ha detto...

Secondo me sorellastra della distopia e il post-apocalittico. La differenza è che la distopia è più sociologica mentre il post-apocalittico è più decostruttivo.

Massimo Citi ha detto...

@Marco: sui problemi di cladistica tassonomica in narrativa tendo a disunirmi... Direi che comunque hai ragione, anche se esistono esperti e critici che inseriscono il post-apocalittico nella distopia. Con mia meraviglia, peraltro.