5.7.17

Il settimo Clone o un Problema di tempo


Ho perso un bel po' di tempo prima di scrivere questo (breve) post dedicato alla recensione scritta da Stefano Sacchini e pubblicata il 28 giugno su Cronache di un Sole lontano. Il problema essenziale, quello che mi ha dato più grattacapi, è il dato di fatto che si tratta della recensione al mio ultimo romanzo – in primo luogo – e una recensione molto positiva, aggiungo. 
Alla fine sono giunto alla conclusione che se al buon Sacchini il romanzo non fosse piaciuto e avesse scritto delle sue perplessità o delle sue riserve, mi sarei sentito in dovere di intervenire per chiarire, spiegare, discolparmi. Allo stesso modo debbo intervenire, anche per apprezzare il buon lavoro fatto dal recensore in questo caso e non lasciarlo cadere. 
Direi che per prima cosa fareste bene a leggerla, la recensione. Qui (ma anche qualche riga prima) la potrete trovare. 
Fatto? 
Bene, ottimo. 
Al di là delle considerazioni svolte da Sacchini sulle mie qualità di autore di fantascienza – ovviamente graditissime, anche se giustamente opinabili – ci sono alcuni elementi della recensione che merita sottolineare. 
La mia passione per Cordwainer Smith, in primo luogo, grande autore che ho avuto l'improntitudine di sfidare giocando con gli stessi elementi della sua narrativa, con gli underpeople divenuti ne Il settimo Clone, i tranx (o zoogeni o moreauviti). I tranx – e in questo romanzo penso si possa cogliere meglio che in altri – sono i veri protagonisti dell'avventura della Corrente. Nati per sostituire gli umani nelle missioni più rischiose hanno finito col diventare un'armata di silenziosi servitori che gli umani – i «Signori» o «le Guide» – utilizzano senza porsi domande sulla loro intelligenza, volontà, desideri o sogni. E i tranx, come tutti i servitori, spesso amano immaginare come dev'essere vivere una vita lunga come quella dei Signori, altrettanto ricca e altrettanto potente. Ma tuttavia essi non provano invidia, né desiderano spodestare gli umani dal dominio della Corrente. Il debito di vita, quella che ritengono di dovere agli umani, li trattiene e spegne qualsiasi aggressività. I più acuti tra loro hanno creato una forma particolare di filosofia del vivere, una sorta di rovesciamento dell'Io in una forma impersonale, ipotizzando – non si sa se avendolo immaginato o meno – una sostanziale uguaglianza tra tutti i tranx che divengono così un unico, enigmatico, popolo pronto a seguire un'umanità dispersa tra le stelle, un popolo ubbidiente ma nel contempo divenuto conscio di se stesso.


In questo senso il commento contenuto nella recensione: «depositari di una sensibilità e di una vitalità che il genere umano sta progressivamente perdendo» mi è sembrata decisamente indovinata, soprattutto perché io, che ne sono l'autore, non avrei potuto coglierla con altrettanta chiarezza. 
Un altro elemento che tengo a sottolineare è il worldbuilding, ovvero il tentativo di raccontare un mondo (o più mondi). Un elemento che mi è costato e mi costa non poco tempo durante la scrittura di un testo ma che ritengo assolutamente centrale nella fantascienza. Se non riuscite a descrivere credibilmente un altro mondo, diverso dalla nostra Terra, una buona quota del senso del meraviglioso (sense of wonder) del vostro libro sfumerà via, lasciandovi nella condizione di una attore al quale sia crollata la scena alle spalle, lasciandovi a recitare davanti a un fondale semibuio e ingombro di oggetti.
Ultimo elemento, il dato di fatto che nel romanzo i dialoghi in più occasioni «sostituiscono l'adrenalina», creando – in qualche caso – inevitabili lungaggini. Anche in questo caso l'autore può aver avuto il qualche occasione la sensazione di aver inseguito un po' troppo a lungo i personaggi e le loro interminabili chiacchiere, ma direi che è necessario un lettore
che l'autore non conosca personalmente a fargli notare questo genere di difetti. 



In parte, comunque, devo ammettere di essere un po' tirchio nell'utilizzare l'adrenalina e in generale armi, esplosioni o altre mirabolanti disgrazie. Ho preferito creare un intreccio complesso, anche a rischio di far sbadigliare qualcuno in qualche passaggio e, in ogni caso, sono anche famoso per aver scritto un romanzo di military science fiction – «Settembre» – che mi hanno detto appassionante ma molto avaro di scontri a fuoco e di massacri particolarmente appariscenti
In ogni caso la recensione a Il settimo Clone è stata un'inattesa e buona occasione di riflessione, della quale ringrazio di cuore Stefano Sacchini.
Ultima cosa: chi avesse intenzione di chiedermi una copia del romanzo per recensione può scrivere a massimo.citi[at] fastwebnet.it.

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